il Punto Coldiretti

Adriatico, in crisi la pesca a strascico

Una crisi già latente che nel 2010 ha trovato il suo culmine, questa è la sintesi della situazione che attraversa la pesca con sistemi a traino in Adriatico. Le ragioni sono diverse, ma hanno un unico comune denominatore: da molti anni ormai non si fa reddito e la situazione si è aggravata negli ultimi mesi.

Motivi di mercato penalizzano la pesca del pesce azzurro con sistemi a volante, i cui picchi negativi hanno raggiunto i 3 euro a cassa (circa 0,35 euro al kg) per le alici. C’è molto da fare in questo comparto, soprattutto nella valorizzazione/gestione dei prelievi/commercio in alcuni mercati completamente abbandonati dal sistema.

Per il pesce bianco catturato a strascico le motivazioni sono più profonde e preoccupanti: la crisi è dovuta in parte alla carenza di risorse, unita alla mancanza di strumenti di gestione; ma le responsabilità maggiori sono di un sistema di lobby che da anni pensa all’oggi e non al domani. Lo si evince chiaramente anche dal fatto che tante barche stanno già anticipando il blocco della loro attività per una forte carenza di catture.

C’è chi nel settore dice che è colpa del gasolio, delle maglie della reti, o dell’anisakis o della carenza di pesce, ma non è così. Dal 1985 ad oggi l’aumento del gasolio da trazione per la pesca si è mantenuto al sotto dell’aumento del costo della vita. La perdita del prodotto  imputabile all’allargamento delle reti non ha superato effettivamente il 5-7%. L’anisakis è un parassita endemico in certi tipi di pesce che è sempre esistito e sparisce con la cottura. E infine, per quanto riguarda le quantità, la media di cattura degli ultimi anni non si discosta molto da quelle di 25 anni fa.

Il problema vero è il mercato e la diffusione di tutte le tipologie di pesca. Le triglie da fondo nel 1985/86 venivano battute al mercato all’ingrosso ad una media di 13-14.000 lire, oggi sono tra i 6/8 euro al kg; questo vale anche per la frittura, il brodetto/zuppa e tante altre tipologie di prodotto. E’ quindi evidente che qualcosa non funziona, con i costi di gestione delle imprese in forte aumento e un mercato che va stabilizzandosi su prezzi di un quarto di secolo fa, con una perdita per le imprese di circa il 150% delle entrate.

Di contro, circa il 95% delle nostra produzione nazionale viene venduta nel segmento del fresco, ove sul fatturato complessivo circa il 60% del consumo nazionale è di importazione da Paesi Terzi; questo enorme flusso in entrata – spesso spacciato per pesce italiano con mille escamotage – trascina verso il basso i prezzi dei nostri prodotti.

In questa corsa chi ci perde è sia il produttore nazionale – che vede penalizzati i suoi sforzi nel produrre con standard e garanzie europee (con tutele del lavoro, della salubrità e dell’ambiente) – sia il consumatore, il quale si trova spesso nel piatto prodotti non identificati e non tracciati, senza neppure esserne consapevole.

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