il Punto Coldiretti

Cresce il fronte anti-Ogm per la tutela della biodiversità

Il Salone internazionale del gusto e Terra Madre hanno rappresentato l’occasione per ribadire le numerose perplessità sul tema Ogm e per riflettere sui punti poco chiari che ne caratterizzano la disciplina. I relatori presenti, moderati da Stefano Masini, si sono detti preoccupati per i danni che gli organismi geneticamente modificati  sono in grado di causare alla biodiversità. Le tipicità locali che hanno invaso il Salone del gusto di sapori e colori tutti italiani sono la chiara dimostrazione che tale biodiversità può essere garantita soltanto dalla passione, fatta di sacrifici e intensa dedizione, che i nostri agricoltori ci mettono nell’offrire un cibo riconoscibile per la sua genuinità.

Una biodiversità che è la chiave del vero cambiamento, che si alimenta di terre fertili e diversificate, di tradizioni, radici e identità culturali. L’esperienza che ci è stata portata da Adelita San Vincente Tello, direttrice esecutiva della Fundación Semillas de Vida, evidenzia chiaramente l’importanza di questo aspetto nel suo Paese, il Messico, dove lo scambio, la cura e la selezione dei semi ha portato una piccola piantina detta Teocintle che produceva pochissimi chicchi di mais, ad evolversi, grazie alla sperimentazione naturale e non dannosa delle colture, nella pianta che oggi rappresenta il simbolo dell’origine del mais in Messico.

La perdita di questa immensa ricchezza conseguente alle prime coltivazioni geneticamente modificate, a partire dalla cosiddetta Rivoluzione verde, ha scatenato una reazione decisa e diffusa delle popolazioni locali, che hanno rivendicato il diritto alla libertà di disporre dei semi da scambiare e piantare, perché, è stato ricordato, la banca migliore in cui depositare i semi è la terra. È nella terra che i semi imparano ad adattarsi ai cambiamenti climatici, è nella terra che i semi ricevono il nutrimento necessario ad alimentare la pianta che ne verrà. Molti cittadini si sono attivati presentando un’azione collettiva contro Monsanto e Pioneer, e hanno ottenuto la temporanea sospensione della coltivazione di mais transgenico.

In Argentina, invece, Jorge Rulli del Grupo de Reflexión Rural, ha ripercorso la storia delle prime coltivazioni di Ogm consentite senza una espressa dichiarazione formale, a partire dal 1996. Si è cominciato a produrre soia transgenica nonostante i governi si dichiarassero contrari, tanto che la commercializzazione del Roundup a base di glifosato per piante capaci di resistere agli erbicidi, ha raggiunto negli anni una diffusione estesa a tutta l’America latina, specie in Brasile. In Argentina sono 25 milioni gli ettari di terra destinati alla soia gm, mentre in Brasile 50 milioni.

Pochi giorni fa è stata presentata una lettera a Papa Francesco per chiedere aiuto: dal 2001, dopo la devastante crisi economica che ha condotto sul lastrico milioni di argentini, si è avviata l’intensa produzione monocolturale di soia, che sta portando non soltanto all’inaridimento dei suoli, con necessità di utilizzare sempre nuovi terreni che vengono sottratti ai proprietari, ma anche all’aumento esponenziale dei casi di malformazioni, tumori e difetti neonatali.

La Prof. Manuela Giovannetti, dell’Università degli studi di Pisa, ha affrontato l’argomento dal punto di vista scientifico, mostrando con i dati forniti da riviste specializzate che i semi gm sono utilizzati soprattutto per la produzione di cotone, mais, colza e soia, impiegati quasi esclusivamente nel settore industriale. La maggior parte di queste piante (l’83%) è resistente agli erbicidi (HT) mentre il restante 17% è resistente agli insetti (IR). La capacità di resistere agli erbicidi comporta che le ecotossine presenti nella pianta per difendersi dalle infestanti, si propagano nelle radici e intaccano il suolo, diffondendosi in aree molto vaste.

In relazione alla resistenza degli insetti alle tossine transgeniche è stato fatto notare come negli Stati Uniti le etichette apposte sui sacchi delle sementi riporti l’avviso “Respect your refugee”: la coltivazione, in sostanza, deve essere tenuta lontana da zone di rifugio per evitare la contaminazione, ma in moltissimi casi si è verificata una diffusione delle ecotossine proprio in tali aree. Inoltre, è stato rilevato che durante la fioritura il polline è in grado di viaggiare a lungo raggio, con il rischio di contaminare anche campi posti ad una distanza di più di 3 chilometri. Questo dimostra che le aperture verso una possibile coesistenza devono essere assolutamente bandite perché altamente rischiose.

Marco Contiero, responsabile di Greenpeace per l’Unione Europea, ha fornito dati e informazioni sulla evoluzione della proposta di regolamento volta a modificare la direttiva (CE) 2001/18 sulla emissione deliberata nell’ambiente di ogm. Dal 1° novembre Josè Manuel Barroso lascerà il posto al lussemburghese Jean Claude Juncker che guiderà la Commissione europea e che sembra essere maggiormente favorevole a che gli Stati decidano in autonomia sul divieto. 

Nonostante il grande rumore che accompagna le azioni dei pro-Ogm, è il caso di soffermarsi su ciò che ancora non si dice e non si sa. Ed è proprio su questi aspetti che bisogna ancora indagare, sottolineando che essere contro gli Ogm non significa essere contro la scienza ma contro un modello di sviluppo economico che privilegia la monocoltura e mortifica le diversità culturali che caratterizzano le produzioni agroalimentari tipiche di tutti i popoli. Il Salone del gusto e Terra Madre ne hanno dato una dimostrazione davvero straordinaria. Ed è di quella straordinarietà che bisogna parlare per continuare convintamente a dire no agli Ogm e per rendersi conto che l’evidenza non si può negare.
 

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