il Punto Coldiretti

La sostenibilità del settore agroindustriale comincia a tavola

Una scelta alimentare più consapevole è la strada più efficace per riuscire a rendere sostenibile il settore agro-industriale, molto più delle strategie di risparmio energetico imponibili ad agricoltori ed allevatori. Questo quanto emerge dagli studi di alcuni ricercatori dell’Università della Tuscia (tra cui Riccardo Valentini e Mauro Moresi), recentemente presentati alla conferenza “Sostenibilità ambientale della filiera alimentare” tenutasi a Parma in occasione di Cibus.

I ricercatori hanno sottolineato quanto concreto sia l’allarme per la situazione attuale e per le conseguenze dell’impatto ambientale del settore agroindustriale che – come sottolineato anche dalla Fao – produce il 14% delle emissioni globali di gas serra (attualmente al massimo della concentrazione da 800.000 anni a questa parte, con una forte impennata a partire dalla Rivoluzione Industriale).

Una crescita vertiginosa che, affermano gli scienziati, deve essere in qualche modo arginata, pena la messa a rischio della vita umana sulla Terra. Fra i fattori principali che concorrono all’emissione di questi gas i ricercatori segnalano quelle dovute alla trasformazione del prodotto a livello industriale, all’imballaggio e al trasporto (che per il 98% dei prodotti supera i 50 km).

Quali sono le possibili strategie per rendere più sostenibile l’agricoltura? Le soluzioni sono varie e interessano diversi settori: ad esempio, per il trasporto tramite l’utilizzo di mezzi non adeguatamente sfruttati come quelli su rotaia, o la località dei prodotti; sulla trasformazione tramite la stagionalità e l’utilizzo di prodotti freschi o da vendita diretta; sull’imballaggio tramite l’utilizzo di materiali a ridotto impatto ambientale e il riciclaggio.

Per la produzione esistono varie possibilità, dalle tecniche per l’aumento di sequestro di carbonio nel terreno, allo sfruttamento delle biomasse, ad ogni tipo di risparmio energetico. Tuttavia, secondo i ricercatori, il punto è un altro: per produrre un cibo in Italia viene utilizzata una quantità di energia almeno cento volte superiore all’apporto energetico del cibo stesso sia rispetto all’agricoltura pre-industriale (in cui il rapporto non era di uno ad uno ma sensibilmente inferiore) che a quello degli anni ’50.

Quel che nel frattempo è cambiato è il regime alimentare dei consumatori, sempre più orientato a cibi raffinati industrialmente, con un’impennata, a livello mondiale, dell’utilizzo della carne. La sovrapproduzione di carne non riguarda l’Italia, che ne importa molto più di quanto ne produce; in questo senso  ad impattare sull’inquinamento globale non è tanto l’allevamento, quanto il consumo spropositato di carne e lipidi, sensibilmente superiore rispetto anche solo qualche decennio fa, quando il regime alimentare medio era molto più in linea con la dieta mediterranea. Si rende necessaria, quindi, una rinnovata educazione alimentare del consumatore ed un ritorno a un regime di vita più salutare, non solo per il bene del singolo ma per quello del Pianeta stesso. Concetto da sempre non solo condiviso, ma fortemente portato avanti da Coldiretti.

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