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Qualifica dei sottoprodotti, pubblicato il decreto

Con 11 articoli e 2 allegati, dopo diversi anni di istruttoria, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il ”decreto sottoprodotti” (regolamento 13 ottobre 2016, n.264) con i criteri indicativi per aiutare gli operatori  a dimostrare che un residuo di produzione rispetta le condizioni per essere qualificato come sottoprodotto e non come rifiuto.

Nel medio-lungo periodo, il decreto dovrebbe consentire un incremento del ricorso alla gestione dei residui di produzione come sottoprodotti invece che come rifiuti, agevolando, al contempo, anche le attività di controllo da parte delle Amministrazioni e degli organi competenti, che potranno contare su un quadro normativo di riferimento maggiormente dettagliato.

Come precisato nella relazione di accompagnamento al decreto, scopo del  provvedimento è anche quello di chiarire i concetti principali di riferimento, in modo da evitare che l’utilizzo del termine “sottoprodotti”, effettuato in altri contesti normativi in modo atecnico, come sinonimo di “residui produttivi”, possa generare negli operatori l’aspettativa che quel particolare materiale possa essere considerato come escluso a priori dal campo di applicazione della disciplina in materia di rifiuti.

La proposta di decreto è stata adottata in attuazione dell’articolo 184 bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, che recepisce l’articolo 5 della direttiva quadro in materia di rifiuti. Le norme citate fissano una serie di condizioni che un materiale o una sostanza residuale devono rispettare al fine di poter essere qualificate come sottoprodotti con la possibilità, quindi, di essere gestiti al di fuori della normativa in materia di rifiuti. In particolare, la normativa comunitaria e nazionale richiedono: 1) che la sostanza o l’oggetto siano residui di produzione e non prodotti; 2) la certezza dell’utilizzo; 3) la possibilità di impiego diretto della sostanza o dell’oggetto senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale; 4) la legalità dell’utilizzo, vale a dire il rispetto di tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente.

L’articolo 184 bis, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, quindi, rinvia a uno o più regolamenti del Ministro dell’Ambiente, da adottare sulla base delle condizioni indicate, la definizione di misure per stabilire criteri qualitativi o quantitativi da soddisfare affinché specifiche tipologie di sostanze o oggetti siano considerati sottoprodotti e non rifiuti.

Il decreto pubblicato precisa, quindi, a titolo non esaustivo, le modalità con le quali il detentore può provare che sono soddisfatte le condizioni generali di cui all’articolo 184 bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, anche al fine di favorire ed agevolare l’utilizzo come sottoprodotti di sostanze ed oggetti che derivano da un processo di produzione e che rispettano specifici criteri di qualità e di quantità.

E’ assicurata la possibilità, in ogni caso, di dimostrare la sussistenza dei requisiti richiesti anche con riferimento a materiali diversi o utilizzando strumenti e modalità differenti riaspetto a quanto indicato dal decreto, ferma restando la necessità di rispettare la normativa eventualmente vigente per lo specifico settore di riferimento.

Restano esclusi dal campo di applicazione del decreto i prodotti, i rifiuti, nonché i materiali che già sono esclusi dal campo di applicazione della disciplina in materia di rifiuti (come, ad esempio, paglia, sfalci e potature ed altri materiali agricoli e forestali naturali non pericolosi utilizzati nell’ambito dell’attività agricola o a fini energetici).

Con riferimento ai singoli criteri necessari per la dimostrazione della sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge per la qualifica come sottoprodotto di un residuo, l’articolo 5 del decreto precisa che la certezza dell’utilizzo nel medesimo ciclo di produzione dal quale è originato è dimostrata dalle modalità organizzative dei processi di produzione e destinazione, con particolare riferimento alla congruità tra la tipologia, la quantità e la qualità dei residui ottenuti nell’ambito del ciclo produttivo e l’utilizzo previsto per gli stessi. La certezza dell’impiego può essere desunta dall’analisi della documentazione relativa all’impianto di destinazione ed alle attività dalle quali originano i materiali impiegati.

Nel caso in cui il residuo debba essere utilizzato in un ciclo di produzione diverso da quello dal quale è originato, è richiesto che l’attività o l’impianto in cui il residuo deve essere impiegato sia individuabile già al momento della produzione dello stesso. A tal fine, costituiscono utili elementi di prova, ad esempio, l’esistenza di uno o più rapporti contrattuali tra il produttore del materiale e l’utilizzatore o gli utilizzatori.

Nel caso in cui non sia immediatamente individuabile il processo o l’impianto di destinazione, può essere adottata una procedura che assicuri l’identificazione dei residui, della tipologia di attività di destinazione e corrette modalità di deposito. A tale scopo, il decreto prevede la possibilità di predisporre una apposita scheda tecnica.

Il decreto prevede, inoltre, la realizzazione di una piattaforma di scambio tra domanda e offerta mediante l’iscrizione in un elenco costituito dalle Camere di Commercio competenti in cui si iscrivono i produttori e gli utilizzatori di rifiuti e disciplina in allegato i criteri di riferimento tecnici e normativi e l’indicazione di alcuni trattamenti che possono essere considerati come rientranti nella normale pratica industriale, con riferimento al settore delle biomasse residuali destinate all’impiego per la produzione di energia elettrica.

Registrato presso il Tribunale Civile di Roma, Sezione per la Stampa e l'Informazione al n. 367/2008 del Registro della Stampa. Direttore Responsabile: Paolo Falcioni.
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