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Pubblicato il nuovo rapporto IPCC su cambiamenti climatici

E’ stato pubblicato dall’IPCC (Comitato Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici) il Rapporto Speciale “Riscaldamento globale di 1,5 °C”. Il documento presenta un lungo sottotitolo che ne sintetizza il contenuto: “rapporto speciale dell’IPCC sugli impatti del riscaldamento globale di 1,5 °C rispetto ai livelli del periodo pre-industriale e i relativi percorsi di emissioni di gas serra, in un contesto di rafforzamento della risposta globale alla minaccia dei cambiamenti climatici, allo sviluppo sostenibile, e agli sforzi per sconfiggere la povertà”.

Commissionato dall’UNFCCC a supporto dei prossimi passi dell’azione internazionale nell’ambito dell’Accordo di Parigi, il testo dell’IPCC è destinato a costituire un nuovo riferimento, in termini di dati e proiezioni, per tutti i livelli delle decisioni negoziali future. Il Rapporto, infatti, copre tutti i principali temi legati ai cambiamenti climatici, nella prospettiva di un aumento di temperatura nei prossimi decenni.

Una sintesi del testo è stata presentata in una forma espressamente rivolta ai decisori politici, visto che, nonostante gli sforzi sin qui fatti, il riscaldamento globale sta ancora crescendo rapidamente. Ad oggi, infatti, le attività umane hanno causato un riscaldamento della temperatura media annuale globale di circa 1,0 °C rispetto ai livelli pre-industriali ed è previsto, se si continuerà con l’attuale tasso di crescita, che si raggiungerà 1,5 °C tra il 2030 e il 2052. Si stima che il riscaldamento globale antropogenico (provocato dalle emissioni passate e attuali) stia crescendo ad un tasso di crescita pari a 0,2 °C per decennio e ciò ha già provocato e continua a provocare perturbazioni nel sistema climatico con impatti che possono durare per secoli, o anche millenni, come l’innalzamento del livello dei mari. Tuttavia, a mettere seriamente a rischio il sistema (arrivando a superare 1,5 °C) saranno non tanto le emissioni passate e consolidate ma quelle future.

Secondo l’IPCC, quindi, per fermare il riscaldamento globale antropogenico è necessario raggiungere e mantenere un livello di zero emissioni antropogeniche globali nette di CO2 (emissioni di CO2 bilanciate globalmente da rimozioni di CO2) e ridurre il forzante radiativo di altri gas serra diversi dalla CO2 (ad esempio del metano) e del black carbon (carbonio derivante dall’incompleta combustione delle fonti fossili). Quale sia la temperatura globale a cui si stabilizzerà il sistema climatico dipenderà dall’entità delle emissioni antropogeniche accumulate, fino a quando non si raggiungano emissioni nulle, tuttavia, la letteratura scientifica, sintetizzata in modo credibile e bilanciato nel Rapporto, indica (e questo è il principale elemento di novità presente nel rapporto) che i rischi alla società e agli ecosistemi con un riscaldamento globale di 1,5 °C rispetto ai livelli pre-industriali sono di molto inferiori rispetto a quelli legati allo scenario di aumento di 2 °C.

Questa differenza di impatto (insita nel mezzo grado tra 1,5 e 2), infatti, è più consistente di quanto si stimasse in precedenza. In termini di proiezioni di impatto e rischi connessi, dunque, il documento sottolinea come alcune gravi conseguenze potranno essere evitate limitando il riscaldamento globale a 1,5 °C. Tra queste, ad esempio, entro il 2100 l’innalzamento del livello del mare su scala globale potrebbe essere più basso di 10 cm con un riscaldamento globale di 1,5 °C rispetto a 2 °C e questa differenza potrebbe voler dire che 10 milioni di persone non sarebbero sottoposte a rischi alle risorse idriche, infrastrutture ed ecosistemi.

Altri esempi di impatti gravi che potrebbero essere evitati o limitati con un incremento di solo mezzo grado rispetto a oggi, riguardano la condizione di assenza di ghiaccio estivo nel Mar Glaciale Artico, la riduzione delle barriere coralline, i danni alle persone da ondate di calore e le probabilità di siccità e deficit idrici, nonché di precipitazioni estreme, in alcune aree del Pianeta. Quello che sostanzialmente dice il nuovo rapporto, quindi, è che limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C rispetto ai livelli pre-industriali potrebbe permettere alle persone e agli ecosistemi maggiore possibilità di un adattamento socio-economico efficace e rimanere sotto la soglia di rischi rilevanti. Inoltre, ove la temperatura aumentasse tra 1,5 °C e 2 °C potrebbero essere innescate alcuni perturbazioni “catastrofiche” al sistema climatico globale, quali la destabilizzazione della calotta glaciale dell’Antartide e la perdita irreversibile della calotta continentale della Groenlandia, con conseguente aumento del livello medio dei mari di molti metri per secoli o millenni.

Il rapporto, quindi, sostanzialmente invita i decisori politici ad attuare “rapide e lungimiranti” transizioni in molti settori quali suolo, energia, industria, edilizia, trasporti e pianificazione urbana. Per contenere il riscaldamento globale sotto 1,5 °C è necessario, infatti, che le emissioni antropogeniche nette globali di CO2 diminuiscano di circa il 45% rispetto i livelli del 2010 entro il 2030, raggiungendo lo zero intorno al 2050. Questa transizione, da attuare nel corso dei prossimi decenni, prevede riduzioni rapide della domanda energetica, decarbonizzazione dell’elettricità, elettrificazione dei consumi finali di energia e forti riduzioni delle emissioni anche da parte del settore agricolo. La strategia più conveniente, infatti, prevede la riduzione della domanda energetica e quella di alcuni altri consumi, tra cui quelli legati al cibo ad alto contenuto di gas serra.

Le conseguenze per l’agricoltura, quindi, saranno una decisa accelerazione verso l’adozione di misure di contenimento delle emissioni che interesserà principalmente il settore zootecnico, ma anche altri settori, specie per quanto riguarda il rapporto con le risorse naturali, acqua e suolo in primis. Di contro, una maggiore consapevolezza da parte dei consumatori potrebbe tradurre questa emergenza in una opportunità per le imprese più lungimiranti, grazie all’impiego di certificazioni ambientali, la ulteriore diffusione del metodo biologico, ed, in generale, anche grazie ad una revisione delle filiere agroalimentari che interesserà la logistica (riduzione delle emissioni da trasporto) e un conseguente maggiore ricorso del consumatore a produzioni stagionali e locali (km 0 e farmer markets), a fronte di una maggiore sostenibilità ambientale e climatica delle filiere territoriali rispetto ai modelli di produzione e distribuzione di tipo agroindustriale.

Tornando al rapporto IPCC, l’indicazione principale resta, dunque, quella indirizzata al negoziato politico internazionale, chiamato a rafforzare gli sforzi per la riduzione delle emissioni di gas serra perseguendo lo sviluppo sostenibile per debellare la povertà. Come noto, ad oggi, con l’Accordo di Parigi, i Paesi hanno assunto impegni di riduzione delle emissioni (Nationally Determined Contributions – NDCs) che, però, non risultano in linea con l’obiettivo di limitare il riscaldamento a 1,5 °C rispetto ai livelli pre-industriali. Questi impegni, infatti, potranno portare ad un livello di emissioni pari a 52-58 GtCO2 all’anno nel 2030, circa il doppio rispetto alle indicazioni dei percorsi di emissioni a 1,5 °C.

Il rapporto, infine, oltre a stimolare i governi ad intensificare le politiche di mitigazione ed adattamento climatico, auspica anche un efficace cooperazione internazionale, un rafforzamento delle capacità istituzionali degli attori nazionali, subnazionali e locali della società civile, del settore privato, delle città, delle comunità locali e delle popolazioni indigene, elementi che appaiono oggi più che mai fondamentali per l’implementazione di azioni ambiziose che limitino il riscaldamento globale a 1,5 °C. Anche in questa direzione, i lavori dell’IPCC nei prossimi mesi proseguiranno, sempre a supporto dei negoziati internazionali sul clima, in un percorso che prevede la stesura di una serie di Rapporti Speciali prodotti durante il ciclo che porterà al nuovo rapporto di valutazione (AR6). Per il prossimo anno sono attesi, infatti, il Rapporto Speciale sull’Oceano e la Criosfera in un Clima che Cambia e il Rapporto Speciale su Cambiamenti Climatici e Suolo.

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