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Biofumigazione contro gli elateridi della patata, ecco i primi risultati

Il Centro di ricerca sulla cerealicoltura e colture industriali  Crea Cin, nell’ambito dello sviluppo di tecniche a favore dell’agricoltura sostenibile, ha avviato uno studio  sull’applicazione  della tecnica della biofumigazione, alla patata come alternativa ai trattamenti chimici nei confronti de gli insetti tellurici, tra cui gli elateridi.
Tale tecnica agronomica, classificata come non chimica secondo i risultati ottenuti da una prima fase di sperimentazione, sembra consentire  di migliorare, nel tempo, la fertilità dei suoli grazie all’aumento della sostanza organica e creare le condizioni adatte allo sviluppo di specie utili e/o di microorganismi utili  che per moltiplicarsi necessitano di materia organica in decomposizione.

La difesa fitosanitaria della patata, in diversi areali di produzione nazionali, ha dovuto recentemente focalizzare una crescente attenzione sui danni provocati da avversità della rizosfera, quali elateridi (Agriotes spp.), nematodi cisticoli (Globodera spp.), rizottoniosi (Rhizoctoniasolani) e dartrosi (Colletotrichum coccodes). Tra queste, il problema degli elateridi è particolarmente preoccupante, in quanto in grado di infliggere pesanti perdite economiche ai pataticoltori a causa del forte deprezzamento del valore merceologico dei tuberi soggetti ai danni derivanti dai fori causati dalle larve di questi coleotteri fitofagi. Anche nei programmi di difesa integrata, si ha la necessità di individuare alternative ai prodotti chimici, come previsto dal Piano d’azione nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (Pan).

Tra le diverse tecniche non chimiche a base di prodotti di origine naturale nella difesa delle colture, la tecnica della biofumigazione  prevede l’uso di piante e prodotti derivati da biomasse della famiglia delle Brassicaceae, come sistema di coltura (cropping system) ammesso in biologico, ma applicato anche in agricoltura convenzionale.  L’uso sinergico di piante e formulati ad azione biofumigante ha consentito, in molte realtà agricole nazionali e internazionali, dall’orticoltura alla frutticoltura, alla floricoltura, un significativo contenimento delle principali problematiche fitosanitarie attraverso un incremento della biodiversità e della competizione all’interno del sistema di coltura, determinato dallo sviluppo di specie utili e/o di quei microorganismi che per sopravvivere necessitano di materia organica in decomposizione.

Tale strategia tecnica supporta adeguatamente il concetto di sostenibilità nell’utilizzo delle risorse naturali, mediante approcci nei quali i prodotti finali di una fase di produzione possono diventare materia prima per ulteriori trasformazioni, in grado di consentire una reale alternativa ai prodotti convenzionali di sintesi e giungere a un’economia che preveda il concetto di economia circolare.

La biofumigazione è stata già sperimentata nel 2002 sulla patata, ma solo più recentemente sono state svolte le prime prove sperimentali su elateridi. Nel 2013  è stato osservato come la coltivazione in ciclo primaverile-estivo (aprile-giugno) di piante ad azione biofumigante (Brassica juncea cvISCI99, Eruca sativa cv Nemat e Raphanus sativus cv Defender) su terreni infestati da nematodi cisticoli avesse consentito, dopo trinciatura e relativo interramento, una riduzione della popolazione di nematodi di circa il 50%, rispetto al controllo non trattato già al primo anno di applicazione.

Negli anni successivi la tecnica si è ulteriormente evoluta e se all’inizio dello studio erano disponibili esclusivamente piante da sovescio ad azione biofumigante o piante trappola (catch crops), oggi sono state definite, oltre a farine e/o pellet disoleati, anche emulsioni interamente a base vegetale, per una distribuzione in manichetta o minisprinkler. In questi ultimi anni,  la tecnica della biofumigazione è stata infatti ulteriormente ottimizzata e ampliata fino a diventare un vero e proprio cropping system in grado di determinare, oltre all’effetto di contenimento biofumigante degli elateridi e altri parassiti tellurici, anche un chiaro effetto fertilizzante.

La valutazione dei risultati ottenuti nel primo anno di prova , mettendo a confronto i trattamenti effettuati su tuberi con gestione convenzionale e quelli soggetti a gestione non chimica, evidenzia come la resa commerciale e il peso medio dei tuberi non abbia  mostrato differenze sostanziali tra le due tipologie di trattamento. Questo è sicuramente un risultato interessante, se consideriamo il contesto di agricoltura a ridotti input chimici in cui il valore di mercato del prodotto è più elevato.

I dati relativi all’incidenza del danno da insetti fitofagi sui tuberi evidenziano la scarsa efficacia del trattamento chimico per il controllo di  questo insetto per cui la percentuale di campioni che presentano danni ed erosioni  è risultata  superiore nei terreni trattati con prodotti chimici che non per i terreni trattati con alternative  non chimico.

Si deve evidenziare che pur operando in condizioni di rotazioni continuative, il terreno sul quale è stata allestita la prova è risultato complessivamente caratterizzato da una limitata presenza di elateridi. I dati finali hanno confermato una limitata infestazione da elateridi   esclusivamente della specie Agriotes sordidus  e l’eradicazione delle nottue e di coletteri scarabeidi. I buoni risultati ottenuti sono dovuti anche al fatto che il sistema di gestione  non chimico  ha previsto un intervento  nella fase della rincalzatura, mentre nei trattamenti chimici questo non è stato possibile.  Una valutazione complessiva dei risultati suggerisce la necessità di ulteriori sperimentazioni anche su terreni a elevata infestazione, per valutare a livello aziendale la possibilità di applicazione delle tecniche non convenzionali qui proposte.

Un ulteriore risultato di interesse è legato all’osservazione  che su terreni non trattati chimicamente la pianta della patata abbia mostrato uno sviluppo più lento  nella fase iniziale di coltivazione , seguito però , da una migliore vegetazione della coltura, con piante migliori   rispetto ai parcelloni dove  erano stati applicati  trattamenti chimici.

Ovviamente i risultati sopra illustrati necessitano di ulteriori fasi di sperimentazione  in areali diversi ed in presenza di elevate infestazioni per avere certezza in merito a quanto si è evidenziato in questa prima fase di sperimentazione. La ricerca  viene attualmente proseguita, quindi,  al fine di poter avere dei dati definitivi.

La tecnologia della biofumigazione, frutto della ricerca italiana, propone varie opzioni applicabili in sinergia tra le piante da sovescio, i pellet organici, derivati da semi disoleati di brassicacee e le emulsioni a base interamente vegetale e sono oggi applicate in molti Paesi comunitari ed extracomunitari, sia in agricoltura biologica che convenzionale, con un evidente contributo alla fertilità e alla salubrità dei terreni agrari.  È quindi ipotizzabile che, attraverso una corretta e sostenibile gestione pluriennale della tecnica, il sistema di difesa  non chimico oggetto di questo studio possa essere in grado di determinare, anno dopo anno, suoli maggiormente resilienti e soppressivi nei confronti di alcuni parassiti tellurici e incrementare la fertilità di base destinata ad aumentare nel tempo, grazie all’arricchimento in sostanza organica.

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