il Punto Coldiretti

Carne clonata, è scontro tra Parlamento e Commissione sulla commercializzazione

I tempi non sono ancora maturi. Questa, nella sostanza, la risposta del commissario europeo alla salute e ai consumatori John Dalli alle pressioni del Parlamento Europeo perché sia avviata la procedura necessaria ad elaborare una legge che regolamenti la circolazione e l’eventuale commercializzazione di prodotti derivati da animali clonati, compresa la progenie dei cloni.

È solo l’ultimo sviluppo di un braccio di ferro fra numerosi membri del Parlamento Europeo da una parte e il Consiglio e la Commissione europea dall’altra sui temi del cibo clonato e della regolamentazione dei “novel food”, ormai inevitabilmente intrecciati fra loro fin dalle prime proposte di revisione della regolamentazione Ue.

Uno scontro che si è acuito dopo la rivelazione di quest’estate che carne derivata dalla progenie di una mucca clonata è stata commercializzata nel Regno Unito, e sicuramente consumata. Nonostante l’immediata allerta rapida dello Stato inglese è risultato subito evidente come non potesse essere legalmente vietata la vendita di questo tipo di carne. In effetti la regolamentazione vigente relativa ai novel food comprende solo i cloni stessi, sotto la dicitura di “cibi prodotti tramite l’utilizzo di nuove tecniche”, e non i discendenti prodotti sia naturalmente che tramite inseminazione artificiale, per i quali esiste attualmente un vuoto legislativo.

Considerando l’elevato costo della produzione di animali clonati attualmente è difficile che essi vengano macellati per la vendita; il problema della commercializzazione e del consumo riguardano quindi, di fatto, la loro discendenza.

Al momento di rinnovare la normativa di riferimento, la proposta della Commissione è stata di mantenere questo stato di fatto, in quanto gli animali, non essendo prodotti tramite clonazione, non sarebbero diversi da qualsiasi altro capo di bestiame. Di parere ben diverso sia Consiglio che Parlamento, entrambi concordi nell’equiparare i cloni ai loro discendenti, e nel richiedere una legge specifica che copra sia gli animali che le tecniche di clonazione.

La frattura fra i due organi europei si è prodotta su cosa fare nel frattempo: il Consiglio desidera fortemente l’inserimento di cloni e derivati nella nuova regolamentazione per i novel food, con l’opposizione netta del Parlamento, che non vuole rischiare di aprire un varco che permetta al cibo clonato di giungere sulle tavole dei cittadini. Un disaccordo che ha portato alla necessità di indire una conciliazione formale sulla stesura della regolamentazione dei novel food, che rischia di essere cestinata.

Ora anche il parere della Commissione sembra essere mutato: Dalli, nel suo recente confronto coi membri del Parlamento, sembrerebbe aver ammesso la necessità di una legge apposita per cloni e derivati, ma anche la necessità, prima di avviare il procedimento di elaborazione, di avere una maggiore quantità di informazioni, e quindi di aspettare perlomeno il rapporto su tali prodotti, in fase di elaborazione da parte della Commissione stessa e previsto per il prossimo novembre.

Per nulla soddisfatto da questa presa di posizione il Parlamento, allarmato dal fatto che, stando alle informazioni attualmente disponibili, il rapporto sembra essere una semplice relazione sullo stato attuale della commercializzazione dei prodotti derivati da clonazione, e non un’esaustiva relazione scientifica sugli effetti e i rischi del loro consumo. Inoltre, anche dopo l’avvio ufficiale, sarebbero necessari almeno diciotto mesi prima di poter avere una bozza di legge, e la preoccupazione per il vuoto legislativo che si avrebbe nel frattempo è grande e non immotivata, come l’episodio inglese estivo ha confermato.

Le preoccupazioni del Parlamento riflettono quelle dei consumatori sia italiani che europei sull’argomento clonazione. Infatti, secondo le rilevazioni di Eurobarometro, il 64% non ritiene giustificabile la clonazione animale a fini alimentari e non comprerebbe mai latte o carne derivata da animali clonati, mentre il 78% ritiene che, nel caso di una loro commercializzazione, sia di fondamentale importanza un sistema di etichettatura che possa informare il consumatore.

Una forte maggioranza della popolazione rimane allarmata per i possibili rischi a lungo termine di queste tecniche sia sulla natura che sulla biodiversità, ma anche sui possibili rischi del loro consumo, sui quali non vi è ancora nessuna certezza. Allarme che Parlamento Europeo e Coldiretti condividono pienamente.

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