il Punto Coldiretti

Via alla trebbiatura ma crolla la produzione di grano: -10%

Il maltempo a maggio dopo un inverno mite taglia fino al 10% il raccolto di grano in Italia nonostante l’aumento delle superfici coltivate e qualità in crescita. E’ quanto emerge dal monitoraggio della Coldiretti sull’inizio della trebbiatura del frumento nelle regioni del Mezzogiorno e del Centro, mentre al Nord non si è ancora partiti per un totale a livello nazionale di 1,769 milioni di ettari coltivati fra grano duro per la pasta e grano tenero per pane e biscotti.

A colpire i campi nell’anno dell’emergenza Covid sono stati in particolare i cambiamenti climatici che hanno provocato una riduzione delle rese a causa della primavera fredda con grandinate e gelate con un raccolto che dovrebbe attestarsi attorno ai 6,5 miliardi di chili a livello nazionale. Con circa l’11% dell’intera produzione globale di grano duro, l’Italia è il maggiore produttore al mondo dopo il Canada dove però per far maturare le spighe viene usato il diserbante chimico glifosate in preraccolta, secondo modalità vietate sul territorio italiano dove invece tutto avviene grazie al sole.

La regione della Penisola con la maggiore produzione di grano è la Puglia con oltre 360mila ettari seguita dalla Sicilia con 264mila ettari, mentre nel resto della penisola le coltivazioni sono concentrate in Emilia Romagna con 193mila ettari, in Basilicata con 122mila ettari, nelle Marche con 114mila ettari, in Toscana con 83mila ettari in Piemonte con 62mila ettari e in Lombardia con 60 mila ettari. Intanto le proiezioni di rese in calo confermano la corsa rialzista della nuova campagna con valori che variano dai 290 ai 300 euro a tonnellata che non si registravano da oltre cinque anni.

Una trend spinto dalla crescente richiesta di prodotti 100% Made in Italy da parte dei consumatori. Infatti secondo l’indagine Coldiretti/Ixe’ l’82% degli italiani con l’emergenza coronavirus sugli scaffali cerca prodotti Made in Italy per sostenere l’economia ed il lavoro del territorio. Una tendenza confermata dal successo della campagna #mangiaitaliano promossa da Coldiretti e Filiera Italia che ha coinvolto industrie e catene della grande distribuzione. Una svolta patriottica favorita anche dall’obbligo di indicare in etichetta l’origine del grano per la pasta sotto il pressing delle battaglie degli agricoltori della Coldiretti.

Le industrie di trasformazione stanno quindi adeguando gli approvvigionamenti e le proprie linee di produzione anche attraverso accordi per aumentare le coltivazioni in Italia. In questo contesto un segnale importante viene dal moltiplicarsi di marchi di pasta che garantiscono l’origine nazionale al 100% del grano impiegato, impensabile fino a pochi anni: da La Molisana ad Agnesi, da Ghigi a De Sortis, da Jolly Sgambaro a Granoro, da Armando a Fabianelli, da Alce Nero a Rummo, da Antonio Amato a Voiello, da pasta Milo fino a Barilla che ha deciso di rinnovare la sua pasta classica con grani 100% italiani.

Ci sono quindi le condizioni per rispondere alle domanda di italianità dei consumatori ed investire sull’agricoltura nazionale che è in grado di offrire produzione di qualità realizzando rapporti di filiera virtuosi con accordi che valorizzino i primati del Made in Italy e assicurino la sostenibilità della produzione in Italia con impegni pluriennali e il riconoscimento di un prezzo di acquisto “equo”, basato sugli effettivi costi sostenuti. Un impegno importante per garantire la sovranità alimentare del Paese e ridurre la dipendenza dall’estero in un momento in cui l’emergenza coronavirus ha evidenziato tutte le criticità del commercio internazionale.

La ricerca di grano 100% Made in Italy si scontra però con anni di disattenzione e abbandono che nell’ultimo decennio hanno portato alla scomparsa di 1 campo su 5 dopo la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati con effetti dirompenti sull’economia, sull’occupazione e sull’ambiente mettendo in pericolo la vita e il lavoro di oltre trecentomila aziende agricole, spesso nelle aree più interne del Paese.

“L’allarme globale provocato dal Covid ha fatto emergere una maggior consapevolezza sul valore strategico rappresentato dal cibo e dalle necessarie garanzie di qualità e sicurezza” afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “occorre intervenire sulle fragilità presenti in Italia per difendere la sovranità alimentare, ridurre la dipendenza dall’estero in un momento di grandi tensioni internazionali”. Una situazione aggravata dalla concorrenza sleale delle importazioni – conclude la Coldiretti – soprattutto da quelle aree del pianeta che, come il Canada per il grano, non rispettano le stesse regole di sicurezza alimentare e ambientale in vigore nel nostro Paese.

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