il Punto Coldiretti

Fitofarmaci e fertilizzanti prodotti dall’agricoltura, ecco l’economia bio based

Dal sovescio alle cover crops, dalla rotazione colturale alla riduzione delle lavorazioni, le tecniche per la corretta gestione dei residui delle coltivazioni e l’utilizzo di molecole vegetali biologicamente attive associate a  nutrienti naturali e prodotti “bio-based” per la gestione delle malerbe possono rivoluzionare il modo di combattere le avversità delle colture e la fertilizzazione in agricoltura, rispondendo a quella domanda di sostenibilità ambientale che viene dalla società.

Si tratta di interventi che l’agricoltura del futuro dovrà applicare sempre di più, per ridurre l’uso della chimica di sintesi e aumentare la fertilità naturale dei terreni. E’ quanto emerso nell’ambito del seminario “Bioeconomia: le filiere promettenti per l’impiego delle biomasse”, organizzato nell’edizione di Eima International che si è chiuso a Bologna.

A fare il punto su come fare agricoltura nel rispetto dei principi della bioeconomia è stato il Centro di ricerca colture industriali – Crea Cin di Bologna che ha evidenziato l’importanza  di non dipendere da un unico mezzo di lotta fitopatologica e di come al contrario  lo sviluppo di nuovi metodi per combattere le avversità delle colture debba essere un impegno continuo, anche quando essi sembrano non necessari. Oltretutto è la stessa Politica Agricola Comunitaria a chiedere alle imprese agricole di enfatizzare la messa  a punto di metodi di lotta non chimici. La strada da percorrere, quindi,   è quella di combinare ed alternare i diversi mezzi di lotta per evitare la comparsa di effetti collaterali e resistenze , come avvenne nel caso dell’uso intensivo del bromuro di metile nella lotta ai nematodi, evitando di incorrere negli stessi errori che furono fatti in passato, prima della svolta “green” della Pac  quando si è ricorsi ad un uso massiccio di sostanze chimiche.

Anche il concetto di mantenimento della fertilità del terreno, è indiscutibilmente legato al concetto di agricoltura sostenibile attraverso il rilancio delle buone pratiche agricole. Il trend delineato  è quello di definire una produzione agricola basata sempre più su nutrienti tecnici biodegradabili, rinnovabili ed ipotossici. Ma quali sono le buone praticole agricole di cui si parla? Si tratta di rotazioni agrarie, apporti di sostanza organica,  ridotte lavorazioni del terreno, corretta gestione dei residui di coltivazione, oltre ai prodotti bio-based, le biomasse e le  molecole vegetali bioattive.

L’agricoltura sia essa a produzione integrata che biologica,  oggi, sta impiegando anche prodotti che hanno effetti diversi sulle colture rispetto alla lotta alle avversità quali ad esempio i biostimolanti che includono svariate formulazioni di materiali organici che, applicati alle piante o al terreno, sono in grado di regolare o incrementare i processi fisiologici delle colture, rendendole più efficienti e resistenti agli attacchi dei parassiti ed i corroboranti,  prodotti naturali per l’ agricoltura biologica  che svolgono un ruolo di potenziatori delle difese  naturali dei vegetali. Questi prodotti stanno conquistando un’ampia fetta di mercato basti pensare con  valore del mercato che per i biostimolanti, in Europa, è stimato fra i 200 e i 400 milioni di euro:  di cui 40 milioni di euro in Italia,, con una crescita annua superiore al 10% e investimenti annui in ricerca e sviluppo fra il 3% ed il 10% del fatturato.

La nuova frontiera della produzione mezzi tecnici sostenibili  riguarda piante e prodotti  da biomasse vegetali tratte da colture alcune delle quali  studiate dal Crea Cin quali ad esempio,  la Crotalaria (leguminosa),  il Sudangrass (graminacea), pianta allelopatica ad azione nematocida, e numerose Brassicacee, quali Eruca sativa, B. juncea, ed il rafano  in graddo di svolgere un’azione  allelopatica ebiofumigante permettendo un contenimento dei nematodi  del genere Meloidogyne ed Heterodera, Brassica juncea (Senape indiana) è anche  attiva sugli oomiceti ed in particolare contro Phytopthora cactorum, Sclerotinia, Rhizoctonia, Pythium  Sinapis alba   (senape bianca) ha una buona azione nematocida specialmente nei confronti dei nematodi del genere Heterodera, Phacelia tenacetifolia  (facelia) ha una discreta azione contro alcuni funghi agenti di tracheomicosi ed oltretutto è specie attrattiva per gli insetti impollinatori, Eruca sativaefficace nel controllo dei Nematodi Galligeni e cisticoli, con effetto sia di piante trappola che di bio-fumigante ed, infine, Sorghum bicolor (sorgo)ad azione nematocida,  nelle prime fasi di sviluppo legato alla presenza di diurrina.
L’uso di molecole naturali ad azione biologica rappresenta una innovazione di grande interesse che dovrebbe essere applicate in sinergia all’uso dei  sovesci, pratica agronomica che può avere numerose ricadute benefiche e rappresentano un aiuto fondamentale ed unico,  in termini di ripristino della fertilità dei suoli e un contributo all’auto-immunità dell’agroecosistema da organismi patogeni. I sovesci applicabili anche come colture intercalari rappresentano , un’eccellente opzione per una nuova agricoltura  multifunzionale e sostenibile, nonché nella lotta ai cambiamenti climatici, grazie all’effetto Sink della sostanza organica nei suoli.

E’ evidente, quindi, che a questo punto il sistema agricolo  può  avere un nuovo ruolo di produttore esso stesso delle biomasse  da cui estrarre i principi di origine naturale da cui ricavare una parte dei mezzi di produzione (bio-fitofarmaci e bio-fertilizzanti)  necessari per  gestire le coltivazioni e la loro difesa. Si  può quindi aprire un nuovo ruolo da utilizzatore di chimica a produttore esso stesso dei mezzi tecnici , con la prospettiva di riuscire ad  emanciparsi, almeno in parte, da  un rapporto che oggi è ancora di quasi totale  dipendenza dalle società produttrici di tali formulati. Pertanto, secondo Coldiretti, è il momento adatto perché l’agricoltura  promuova  e sviluppi una propria filiera di fertilizzanti e fitofarmaci rigorosamente bio-based nel pieno rispetto dell’economia circolare.

Del resto, così come l’agricoltura, negli ultimi anni, è stata in grado di proporre un modello alternativo di distribuzione degli alimenti,  tramite il ricorso alla vendita diretta, tagliando la fase dell’ intermediazione commerciale e riappropriandosi  del controllo della collocazione sul mercato degli alimenti, così ora grazie agli esiti della ricerca può produrre essa stessa   i mezzi di produzione che le consentono  di gestire le coltivazioni e combattere le avversità delle colture e di aumentare la fertilità dei suoli rispettando l’ambiente e rispondendo alla domanda crescente dei consumatori di avere alimenti sani per la salute e per l’ambiente in quanto  ottenuti da processi sostenibili.

La questione centrale non è rappresentata da una semplice e progressiva  sostituzione delle materie prime di sintesi chimica, quando possibile, con quelle  biologiche al fine di espandere il più possibile la  produzione integrata e biologica, ma comporta un salto culturale in grado dirivoluzionare l’intero processo di produzione e consumo, a partire dalle efficienze dei processi fino alla costruzione di una consapevolezza del consumatore riguardo al rapporto di questi processi con gli ecosistemi naturali.

Le risorse utilizzate della bioeconomia sono le risorse “biologiche”, le biomasse un patrimonio molto ricco e diversificato fatto di sostanze rinnovabili – grazie allo straordinario meccanismo della fotosintesi – quali piante, colture erbacee, sottoprodotti dell’agroalimentare, funghi, lieviti, batteri, alghe, e anche la frazione organica dei rifiuti urbani. Tuttavia, utilizzare risorse organiche implica avere a che fare col suolo che deve essere salvaguardato da contaminanti per ottenere alimenti di qualità, col problema della produzione di cibo, col futuro della biodiversità vegetale e animale sul pianeta.

I benefici legati a questo processo sono diversi: le molecole vegetali  potenzialmente sono  per definizione rinnovabili, biodegradabili, ed  inquinano meno dei loro omologhi di sintesi chimica  e sono producibili sul territorio garantendo, quindi, una maggiore autonomia economica alle aree rurali. Per realizzare davvero i principi della bio-economia in agricoltura è necessario agire a diversi livelli,  ma, principalmente, incrementando l’efficienza e la fertilità  dei suoli. L’obiettivo, infatti,  non è tendere verso l’aumento delle rese agricole, quanto risolvere, soprattutto, le inefficienze che ancora persistono  nel coltivare le piante per utilizzarne, spesso, solo una minima parte (ad esempio il seme) quando invece una biomassa è una grande risorsa di molecole da cui poter estrarre molecole  ad elevato  valore aggiunto.

Questo approccio permette un nuovo tipo di innovazione  che spinge  verso una crescente  sostenibilità dei sistemi agricoli. Peraltro, questo settore vede l’Italia occupare una posizione di primo piano, superata forse solo dagli olandesi. L’acido pelargonico usato come diserbante a parziale sostituzione del glifosato, gli estratti di aglio impiegati come nematocida, il sistema della tecnica della biofumigazione ,l’Aspergillus flavus nella  lotta alle micotossine del mais sono solo alcuni esempi,  di nuove reti di piccole e grandi “bioraffinerie” che stanno prendendo piede spesso nei vecchi siti in disuso dove la chimica tradizionale ha lasciato in pesante eredità, un’immensità di terreni contaminati possono determinare un cambiamento radicale nella filiera dell’agroalimentare purché si faccia attenzione che sia salvaguardata comunque la valorizzazione del prodotto agricolo nella sua destinazione alimentare affinché non sia degradato a semplice livello di materia prima rischio questo che è tanto più basso quanto più l’agricoltura sarà   in grado di conquistarsi uno spazio in  questo processo  anticipando  le multinazionali che hanno iniziato ad investire in questo settore dei bio fertilizzanti e bio-fitofarmaci.

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