il Punto Coldiretti

I mercati esteri e il valore del Made in Italy

“Il valore del made in Italy, l’export, l’internazionalizzazione e il grande trend della dieta mediterranea” è il titolo del secondo del ciclo di webinar organizzati da Inipa Coldiretti Education per Monte Paschi di Siena.

Il presidente Savino Muraglia ha ricordato che l’agricoltura italiana con il 16% del PIL (pari a circa 260 miliardi) è il primo baluardo dell’intero made in Italy nel mondo.

Quando si parla di internazionalizzazione è necessario tenere in considerazione che un’impresa ha bisogno di attivare professionalità e di realizzare analisi accurate per comprendere i mercati di destinazione. Come immaginabile non è solo l’accoglienza del prodotto l’elemento chiave per il posizionamento all’estero, ma grande rilevanza hanno packaging e l’etichettatura, che sono il biglietto da visita e la carta d’identità del prodotto.

I produttori italiani devono puntare a trasmettere sempre meglio sia il valore intrinseco e concreto del prodotto -le qualità organolettiche e i benefici per il benessere-, sia la bellezza del patrimonio culturale e gastronomico del nostro paese, aspetti immateriali che arricchiscono di distintività il cibo italiano agli occhi del mondo.

Il consigliere delegato di Filiera Italia e AD di Inalca Luigi Scordamaglia ha illustrato l’importanza di fare rete tra imprese agricole e industrie manifatturiere per sopperire meglio ai problemi dimensionali delle imprese italiane.

I valori di distintività dell’agroalimentare italiano sono comuni a prescindere dalla dimensione dell’impresa e un’organizzazione di rete come Filiera Italia può rappresentare una risposta per garantire agli aggregati una maggiore forza e spinta sui mercati internazionali.

Infatti, nonostante il 2020 sia stato un anno di crisi globale per il commercio internazionale, l’agroalimentare ha tenuto, registrando circa 46 miliardi di export. I prodotti italiani sono primi per valore aggiunto, ma questo record rischia di non essere equamente valorizzato all’interno della filiera se si considera che le esportazioni italiane sono concentrate per il 90% in appena il 5% delle aziende esportatrici; ciò rende evidente che il margine di crescita potenziale per il cibo made in Italy nel mondo potrebbe essere molto più ampio.

Uno dei principali freni all’export agroalimentare sono le relazioni commerciali bilaterali spesso poco efficaci a tutelare il nostro prodotto: si pensi all’italian sounding o alle sanzioni e barriere tariffarie come dazi e contingentamenti. Solo per fare un esempio, in Russia, dove la domanda ed il desiderio di alimenti italiani non si è mai arrestato, causa le sanzioni che ne limitano la disponibilità, si registra una conversione d’acquisto dai prodotti ‘originali’ a quelli ‘italian sounding’.

Per la valorizzazione delle potenzialità delle imprese agroalimentari italiane nell’export è cruciale un più stretto rapporto con le banche, con la finalità di accompagnare e sorreggere gli investimenti sostenuti dalle aziende che intendono sfruttare le opportunità di crescita nei mercati internazionali.

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