Le nuove frontiere della chimica verde e l’uso delle oleaginose minori
L’industria della chimica verde si avvale tra le altre di composti oleaginosi di origine naturale che oltre ad un ridotto impatto ambientale significativo godono di un regime di esenzione rispetto all’obbligo della registrazione: tra questi, ad esempio, i grassi vegetali ed animali, gli oli e le cere vegetali, gli acidi grassi da C6 a C24 ed i rispettivi sali di potassio, sodio, calcio, magnesio e glicerolo. Nell’ottica di uno sviluppo di una filiera da bioraffineria in grado di rispondere alla domanda nazionale di bio-prodotti per molteplici usi, il Centro ricerche per la cerealicoltura e le colture industriali (CREA CI) ha illustrato, nell’ambito di una giornata di studio tenutasi ad Ancona, i risultati della scheda AxBB del progetto Suscace (Supporto Scientifico alla Conversione Agricola verso le Colture Energetiche) relativo all’uso di oleaginose minori come materie prime per l’industria della chimica verde che oggi è operativa in diversi settori dalla cosmetica alla nutraceutica, dai mezzi tecnici per l’agricoltura alla bioedilizia fino ad arrivare alla produzione di bioenergie. Le colture oggetto di studio sono state Camelina sativa, Cartamus tinctorius, Crambe abyssinica e Linum usitatissimus. Tali colture sono idonee alle condizioni pedoclimatiche dell’area centro settentrionale i cui co-prodotti dell’olio (essenzialmente le farine residue di disoleazione stanno trovando negli ultimi anni applicazioni innovative in diversi settori industriali. Alcune di queste applicazioni sono già in fase di sviluppo presso aziende toscane e nazionali. Sul piano operativo, infatti, la Regione Toscana, al fine di dare applicazione concreta ai risultati del progetto Suscace ha finanziato il progetto COBRAF (Coprodotti da Bioraffinerie) per lo sviluppo tecnologico di una piattaforma articolata in due o tre impianti territoriali adatti a trasformare le diverse materie prime delle quattro colture – olio, panello residuo, paglie e in alcuni casi foglie e fiori – per destinarle in via prioritaria ai seguenti settori industriali: nutraceutica, cosmesi, mangimistica, adesivi, materiali da bioedilizia. L’interesse è legato alla possibilità di creare una piattaforma logistica regionale in grado di coordinare l’offerta di biomassa semilavorata delle colture in esame (e di eventuali altri residui agricoli, es. paglia di cereali), articolata in una o più bioraffinerie territoriali di seconda o terza generazione. I bioprodotti, cioè prodotti di origine vegetale (Bio‐based) per usi non alimentari o per la nutraceutica rappresentano una nuova opportunità di sviluppo dei cibi salutistici per le aziende agricole e per le aziende industriali più in generale. In rapporto a prodotti analoghi di origine petrolchimica o minerale, i bio-prodotti risultano, in genere, a ridotta tossicità per l’ambiente e gli operatori, biodegradabili e con un bilancio di emissioni gas serra , in coerenza con le crescenti richieste di mercato e con gli indirizzi europei sulla bioeconomia, sull’economia circolare e sulla priorità al contrasto ai cambiamenti climatici (Cop 21). Alcuni di questi bioprodotti possono essere basati sia sui prodotti principali che secondari, derivati da specie vegetali di interesse agricolo, oleaginose in particolare, che possono rappresentare colture remunerative da inserire come colture da rinnovo in avvicendamento con i cereali, offrendo quindi nuove opportunità al settore dei seminativi che sta attraversando una forte crisi di competitività. Il successo del loro inserimento, tuttavia, sia in termini ambientali che di reddito e di innovazione, è legato a due condizioni: la prima, è la capacità di valorizzazione integrale della biomassa – olio, panello residuo, paglie e in alcuni casi foglie e fiori – in ottica di una bioraffineria integrale , in modo da garantire la più elevata redditività ai produttori primari; la seconda, un approccio integrato che consenta di valutare diverse alternative colturali, possibilità di introdurre fasi di prima lavorazione già a livello agricolo, accordi di filiera in grado di dare sbocchi certi agli agricoltori, coordinamento della logistica a livello territoriale. Le ricadute della soluzione proposta sono in piena sintonia con gli obiettivi del “Partenariato Europeo per l’Innovazione – PEI”, ai sensi dell’art. 55 del Reg. (UE) n. 1305/2013, poiché promuove l’uso efficiente delle risorse, lavora per sistemi di produzione agroecologici e migliora i metodi di tutela dell’ambiente e l’adattamento ai cambiamenti climatici, creando uno stretto collegamento tra il mondo della ricerca e quello delle imprese Il progetto Suscace ha effettuato una valutazione agronomica e produttiva delle 4 colture minori, da olio, sopra citate, in due ambienti del nord e del centro Italia (pianura padana e pisana), in tre stagioni consecutive di coltivazione (2012-2013, 2013-2014 e 2014-2015). La valutazione ha riguardato il contenuto quanti-qualitativo in olio e proteine, nonché la composizione in acidi grassi; sono stati analizzati, inoltre, i bilanci ambientali e la caratterizzazione chimica dei prodotti e dei co-prodotti. I prodotti che derivano dalle colture oleaginose sopra citate sono essenzialmente l’olio, le farine disoleate ed iresidui colturali comprese le radici. Con riferimento alle filiere di camelina, lino, cartamo e crambe, si può ottenere un olio che può essere impiegato come carburante per gli aerei, biodiesel per auto, olio vegetale puro (PVO), biolubrificante, biopolimeri e bioplastiche, olio per alimentazione dell’uomo e degli animali fino a diverse applicazioni nel settore cosmetico. Sempre tramite estrazione, si possono ottenere panelli disoleati per uso mangimistico oppure prodotti fertilizzanti o ancora prodotti nutraceutici, idrolizzati proteici ecc. I residui colturali tramite interramento possono ritornare al suolo per il loro effetto di sequestro della CO2 (effetto carbon sink) oppure a loro volta possono essere purificate molecole bioattive quali polifenoli tocoferoli e tannini oltre la produzione di energia da syngas e da biogas. Le colture oggetto del progetto hanno il doppio vantaggio di essere impiegabili sia come colture di avvicendamento nelle rotazioni cerealicole sia essere oggetto d’ interesse da parte dell’industria per impieghi differenziati. Rispetto alla colza, pur con potenzialità produttive minori le oleaginose minori sono più rustiche ed hanno un uso non solo alimentare, ma anche da bioraffineria che permettono un importante valore aggiunto alla filiera. L’olio estratto dalla Camelina sativa può rappresentare una fonte utile per ottenere prodotti antibatterici a base di molecole bioattive presenti nelle farine ed è attualmente impiegato per la produzione di un noto marchio di cosmetici. L’olio di lino ha usi molto differenti. da quello alimentare all’impiego come prodotto fitosanitario, dall’uso cosmetico a quello nutraceutico come integratore, senza dimenticare le prospettive nel settore della bioedilizia e nella produzione di automobili. I bilanci ambientali delle coltivazioni pur con le note variabilità nell’annata e delle condizioni di coltivazioni hanno mostrato ridotti rilasci di CO2 La coltivazione rappresenta la prima fase della filiera, generalmente quella a maggior impatto ambientale soprattutto in presenza di lavorazioni pesanti del terreno e apporti azotati superiori ai 40-60 kg ha-1, di una catena di processi da definire in relazione ai prodotti reali ottenibili. Tuttavia la offerta italiana di queste materie prime al momento praticamente non esiste, mentre numerose industrie sono interessate ad oli nazionali in un’ottica di bioraffineria sul territorio che valorizza sul mercato le biomasse locali. Inoltre una filiera italiana benificerebbe del la disponibilità negli anni dei prodotti agricoli anche per poterne gestire la qualità delle filiere stesse. Oltre alla vendita di biomasse, il vantaggio, per l’agricoltore, è costituito dal fatto che il ricorso a tali colture da rinnovo interrompe la monosuccessione del grano con un prodotto che non dà rese equiparabili al girasole, ma che dovrebbe essere quotato maggiormente dal mercato essendo impiegato in settori ad elevato reddito. La sfida, quindi, secondo Coldiretti, è avere per il settore della chimica verde, prodotti biobased che abbiano una connotazione territoriale e che non siano importati, stimolando la crescita di una filiera equilibrata. Le bioraffinerie, però, dovrebbero essere di piccole dimensioni, collegate a territorio ed avere il minor impatto ambientale possibile. |
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