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Rapporto Ipcc, nuovo allarme per il clima

Approvata a Yokohama, in Giappone, la seconda parte del Quinto Rapporto sui cambiamenti climatici dell’Ipcc (il panel di scienziati dell’Onu sui cambiamenti climatici).
Come si intuiva già da alcune anticipazioni, la situazione, prevista da più di 1.700 tra accademici, ricercatori ed esperti di tutto il mondo, sembra sempre più preoccupante.
Le conseguenze dei cambiamenti climatici, infatti, sono già in atto, interessando tutti i continenti e gli oceani del pianeta, ma il mondo, in molti casi, si sta dimostrando mal preparato nel fronteggiare i numerosi rischi legati al clima che cambia.

Nonostante la situazione attuale, l’Ipcc ritiene, tuttavia, che sia ancora possibile reagire, anche se le difficoltà saranno sempre maggiori, via via che il livello di riscaldamento del pianeta salirà. Più nello specifico, in occasione della 38° riunione plenaria generale dell’Ipcc, che ha avuto luogo a Yokohama (Giappone) dal 25 al 30 marzo, è stato approvato il testo del secondo volume del Quinto Rapporto di Valutazione (Fifth Assessment Report – Ar5) che affronta le tematiche, sia a livello globale che regionale, relative agli impatti, all’adattamento e alla vulnerabilità ai cambiamenti climatici.

Va detto che, anche per gli addetti ai lavori, non è affatto facile seguire le evoluzioni del dibattito scientifico sul clima, tuttavia va segnalato come l’evoluzione del Quinto Rapporto di Valutazione dell’Ipcc (Ar5) meriti un’attenzione particolare, sia per la sua imponenza – tanto che lo stesso presidente dell’Ipcc, Rajendra Pachauri, lo ha definito “tra le più ambiziose imprese scientifiche nella storia umana” – che per la sua importanza, quale strumento di orientamento delle politiche climatiche.

In termini di contenuti, infatti, nell’Ar5 confluiscono i lavori di numerosi gruppi di lavoro istituiti dall’Ipcc: oltre al contributo del Working Group II, Cambiamenti climatici presenti e futuri: i rischi e le opportunità, approvato a Yokohama, la versione finale si comporrà, infatti, di ben altri 3 rapporti: quello del Working Group I sulle basi scientifiche dei cambiamenti climatici, già approvato a settembre 2013 a Stoccolma; quello del Working Group III sulla mitigazione dei cambiamenti climatici, che dovrebbe essere approvato definitivamente in aprile a Berlino, e quello, conclusivo, denominato Rapporto di Sintesi, che dovrebbe essere approvato in ottobre a Copenhagen. 
L’importanza dell’Ar5, nella sua forma completa, è notevole nella misura in cui andrà a costituire la base scientifica delle decisioni politiche sul global warming che, secondo le previsioni, dovranno portare alla firma di un nuovo accordo globale sul clima nell’ambito della conferenza che si terrà a Parigi nel 2015.

Per quanto riguarda il report del Working Group II, per il quale a Yokohama è stato approvato il riassunto per i decisori politici (Summary for Policy-Makers), l’obiettivo è quello di fornire un quadro esaustivo sulla valutazione dei rischi e dei potenziali benefici legati ai cambiamenti climatici e di come questi possono essere gestiti mediante le strategie di adattamento e mitigazione.

Il rapporto, oltre a fornire una definizione aggiornata di alcuni termini chiave, come, appunto, Cambiamenti climatici, Vulnerabilità, Rischio, e Adattamento, lancia alcuni messaggi che possono essere così sintetizzati. Le attività umane stanno interferendo con il sistema climatico ponendo seri rischi per la società e per i sistemi naturali. In molte regioni del pianeta le modifiche nei regimi delle precipitazioni piovose e nevose e nella formazione e scioglimento del ghiaccio stanno provocando alterazioni consistenti ai sistemi idrologici, impattando sulle risorse idriche a livello qualitativo e quantitativo. In termini di impatto sulle coltivazione agricole, a livello globale, gli effetti negativi sono più frequenti e diffusi rispetto a quelli positivi ed i cambiamenti climatici costituiscono un rischio per tutti gli aspetti legati alla sicurezza alimentare. Gli impatti di recenti eventi estremi (onde di calore, siccità, inondazioni, nubifragi e incendi boschivi) hanno mostrato una grande vulnerabilità, sia da parte della società umana, sia da parte di alcuni ecosistemi particolarmente vulnerabili. I processi di adattamento climatico stanno entrando negli atti pianificatori, ma la strategia non risulta ancora attuata in maniera estensiva. Tuttavia, le misure di adattamento e di mitigazione intraprese sembra potranno, nell’arco temporale di un secolo, avere effetti positivi sui rischi climatici. Una stima degli impatti economici, a scala globale, è ancora difficile da condurre, mentre in termini di impatto sociale, i cambiamenti climatici potrebbero aumentare i processi di emigrazione/immigrazione. 
Volendo effettuare un focus sull’Europa, sempre rispetto alla enorme mole di dati presenti nel rapporto, si rileva come la regione mediterranea/sud europea venga individuata come quella più a rischio. I settori che subiranno i maggiori impatti in queste aree sono il turismo, l’agricoltura, le attività forestali, le infrastrutture, l’energia e la salute della popolazione. I cambiamenti climatici, quindi, possono introdurre ulteriori disparità economiche all’interno dell’Europa, favorendo le regioni meno interessate ed aggravando quelle più esposte, come quella mediterranea.

Le proiezioni climatiche per il futuro, infatti, mostrano un possibile aumento di temperature in tutte le regioni europee, un possibile aumento di precipitazione nell’Europa Settentrionale e un possibile calo di precipitazione nell’Europa Meridionale. Per quanto riguarda gli eventi estremi, si rileva come questi abbiano hanno provocano significativi impatti in Europa in molti settori economici e sociali. In risposta ai cambiamenti climatici, ancora, è previsto un calo nella fornitura di servizi ecosistemici nell’Europa meridionale/area alpina, mentre il rischio di inondazioni costiere e fluviali potrà aumentare a causa dell’aumento del livello marino e degli eventi di intensa precipitazione.

In termini di impatto sui sistemi energetici, sempre in Europa, i cambiamenti climatici, specie durante la stagione estiva, provocheranno un calo sia nella produzione termo-elettrica che nell’uso dei sistemi di riscaldamento, producendo, invece, un aumento della domanda di raffreddamento.

A livello agricolo ci si aspetta un calo della produzione di cereali nell’Europa meridionale ed una crescita della domanda di irrigazione. Quest’ultima potrebbe portare ad ulteriori penalizzazioni del settore, anche in virtù dell’aumento delle richieste per uso domestico ed industriale, così come a causa di costi più alti. Sempre nell’Europa meridionale, inoltra, è previsto un aumento anche del rischio di incendi boschivi.

In termini di impatto sulla biodiversità, i cambiamenti climatici molto probabilmente provocheranno delle modifiche negli habitat di alcune specie e potrebbero portare all’estinzione di alcune di esse in determinate regioni dell’Europa (ad esempio, si assisterà ad una riduzione dell’habitat delle piante alpine). In Europa, inoltre, i costi relativi a misure di adattamento per gli edifici e per le difese da inondazioni aumenteranno in tutti gli scenari.

In generale va evidenziato come, purtroppo, ogni nuovo rapporto sull’evoluzione e sugli effetti dei cambiamenti climatici renda sempre più chiari i rischi del “non agire”, ma la comunità internazionale sembra ancora incapace di confrontarsi con una sfida di questa portata e si continuano ad accumulare ritardi che potrebbero rivelarsi decisivi, in senso negativo.

Nonostante, infatti, si concordi unanimemente sull’obiettivo di contenimento del riscaldamento globale di 2 gradi centigradi (2 °C) rispetto ai livelli pre-industriali, il dato odierno (+0,8 °C)  e la tendenza del fenomeno (in aumento anziché in riduzione) espongono agli occhi di tutti l’incapacità sin ora dimostrata dalla comunità internazionale di incidere in modo efficace sul problema. La situazione è particolarmente grave, specie se si considera come tutti gli esperti siano ormai concordi nell’affermare che se le emissioni di gas serra continueranno a crescere con i tassi attuali, alla fine del secolo la temperatura media del pianeta sarà di 4 °C maggiore rispetto a quella dell’era pre-industriale e a quel punto le conseguenze descritte dal rapporto presentato a Yokohama saranno inevitabili e forse anche irreversibili.

 

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