Ricerca in agricoltura, nuovi strumenti per nuove esigenze
L’evoluzione del ruolo del settore agricolo necessita di un cambiamento di approccio anche nel campo del trasferimento tecnologico. In questo ambito risultano interessanti alcuni nuovi strumenti europei, come l’Eip-Agri Network 2015. Se l’importanza dell’innovazione in agricoltura è ormai un concetto ampiamente condiviso – tanto da essere al centro anche delle politiche comunitarie in quanto fattore determinate per la competitività del settore agricolo nel lungo termine – appare sempre più evidente, infatti, la necessità di una strategia appropriata ai tempi, visto che molte delle convinzioni relative ai processi innovativi in agricoltura, con riferimento al passato, rischiano oggi di non essere più valide o, comunque, sufficienti. Rispetto al secolo scorso, caratterizzato da una notevole crescita della produttività delle risorse agricole, oggi il paradigma della competitività, lo scenario economico ed il ruolo dell’impresa agricola risulta profondamente cambiato e necessita di una rivisitazione del sistema di produzione e trasferimento delle innovazioni tecnologiche. Le innovazioni del secolo scorso, quelle che hanno portato al grande salto della produttività, infatti, hanno interessato principalmente il “processo” e sono state caratterizzate essenzialmente da un risparmio di risorse e/o aumento di rese in maniera generalizzata (anche se non omogenea) tra diversi contesti applicativi e costituite da pacchetti tecnologici da adottare per intero senza specifici sforzi di adattamento e, talora, neanche di apprendimento. il loro avvento, tra l’altro, si è combinato con altri fattori che ne hanno favorito adozione e diffusione, quali la crescente scolarizzazione ed informazione dei lavoratori agricoli, l’insieme di servizi ed istituzioni finalizzate ad informare gli agricoltori circa l’esistenza di nuove soluzioni tecnologiche e la loro appropriata applicazione. Questi grandi risultati hanno consolidato una visione basata su un rapporto causa-effetto tra investimento in ricerca/diffusione informazioni/crescita del livello culturale degli imprenditori agricoli e crescita di produttività agricola. Questa visione ha finito attribuire un primato, in termini di importanza, alla ricerca, ai sui attori e alle sue istituzioni e regole. Tale centralità ha teso a privilegiare un flusso di conoscenza “dall’alto al basso” (top-down), basandosi sulla convinzione che l’innovazione rimane sostanzialmente science-based, cioè una soluzione “pre-confezionata” offerta dalla scienza a favore di più o meno numerose applicazioni “a valle”, tra cui l’agricoltura. Da qui, la grande enfasi sul finanziamento pubblico, sul ruolo della ricerca privata e sui possibili meccanismi incentivanti e la grande attenzione alla proprietà intellettuale della conoscenza e delle innovazioni. Tuttavia, soprattutto nell’ultimo decennio, è emersa una lettura decisamente più critica di tale approccio, specie rispetto alla sua capacità di affrontare il presente e il futuro. In questo senso, l’aver concentrato l’attenzione (e le risorse) solo su una porzione della conoscenza scientifico-tecnologica, nonché su una idea codificata di innovazione, è da considerarsi un limite, soprattutto perché questa impostazione rischia di lasciare ad uno sviluppo largamente spontaneo, poco governato e poco finanziato, quelle forme della conoscenza e quei processi innovativi informali, taciti, diffusi e graduali che hanno rappresentato il vero motore del “miracolo” della crescita della produttività del secolo scorso. Alla base di questa critica vi è l’idea che il bene di riferimento di tutto l’impianto del trasferimento tecnologico in agricoltura sia qualcosa di sostanzialmente diverso da quanto immaginato nella visione tradizionale. Non si parla più, quindi, di una conoscenza scientifica di rango accademico, né di conoscenze incorporata in soluzioni tecnologiche proprietarie, bensì di una conoscenza diffusa e quindi collettiva che produce tanto più vantaggio quanto più è “pubblica”, cioè di libero accesso ed estendibile a tutti gli ambiti applicativi territoriali e settoriali. Nell’ultimo decennio, inoltre, l’idea di un necessario ripensamento sul sistema è stata rafforzata dalle nuove e crescenti sfide che l’agricoltura globale è chiamata ad affrontare nel prossimo e nel lontano futuro, non ultima quella legata ai cambiamenti climatici. La seconda condizione è quella della multifunzionalità. L’agricoltura del futuro dovrà necessariamente avere la capacità di produrre, oltre ad alimenti, anche altri beni e servizi non-food, pubblici o comunque di interesse collettivo. Certo, tra questi ci sono i servizi ambientali che ci riportano alla sostenibilità, ma, soprattutto nelle società ricche e post-industriali, all’agricoltura viene richiesto anche di produrre paesaggio e valori estetici, servizi culturali e ricreativi, benessere fisico e mentale, ecc., nonché di essere garante, quale primo anello della filiera alimentare, di food safety e food quality; cioè, garantire sicurezza sanitaria, nutrizionale, ambientale ed etica degli alimenti, nonché la loro origine e provenienza. Sostenibilità e multifunzionalità, tuttavia, richiedono una produzione di conoscenza e di innovazioni di natura diversa rispetto alla convenzionale sfida della food security. Servono sempre più innovazioni di prodotto (o di funzione), più che di processo; innovazioni organizzative e di marketing oltre che tecnologiche; innovazioni più complesse e, soprattutto, una conoscenza più ampia rispetto a quella relativa ai “soli” processi produttivi e ai “soli” mercati agricoli. E’ bene sottolineare che oggi introdurre nell’esercizio dell’impresa agricola nuove attività o business è di norma il risultato non tanto di innovazioni tecnologiche in quanto tali, bensì di innovazioni organizzative, gestionali/manageriali, di marketing. Proprio per meglio comprendere le nuove traiettorie tecnologiche, quindi, è evidente la necessità di ampliare quelli che tradizionalmente erano i confini propri dell’agricoltura e dell’industria alimentare verso una più ampia e inclusiva combinazione settoriale oggi identificata, secondo un’accezione ormai prevalente, come economia bio-based o, più semplicemente, con il termine di bioeconomia. Ciò ci segnala la difficoltà di cogliere come e quanto questo sistema stia contribuendo a definire i nuovi orizzonti produttivi e tecnologici dell’agricoltura europea, evidentemente oggi non più riconducibili all’ormai datata visione produttivistica del settore. Si tratta di proposte in cui il sistema non sia tanto un’articolazione di astratte componenti istituzionali interagenti, quanto, piuttosto, un network di soggetti eterogenei (anche all’interno della stessa componente) e dinamici interagenti secondo forme e modalità a loro volta in continua evoluzione. Si tratta di soggetti che travalicano i confini tradizionali del sistema, giacché in questo insieme di interrelazioni, diventano rilevanti anche i consumatori organizzati, i gruppi di pressione, i movimenti di opinione; insomma, una vasta gamma di stakeholders. Non solo, quindi, si perde la dimensione gerarchica, ma la stessa statica distintività di fasi e componenti del sistema si fa più confusa e meno rilevante, trasformando Il sistema in un network attivamente partecipato che opera sia su scala locale che allargata. In questo quadro, risulta necessario prendere atto che le nuove traiettorie tecnologiche non solo hanno reso utile nuova conoscenza, ma hanno anche modificato sostanzialmente che cosa si intenda per conoscenza, come questa venga scambiata, comunicata, implementata per tradurla in innovazione. Un’espressione abbastanza esemplare di questa evoluzione dell’”oggetto” conoscenza/innovazione che il sistema è chiamato a gestire, è proprio l’emergere di una idea più complessa e articolata di innovazione, maggiormente capace, in agricoltura e nella altre componenti della bioeconomia, di affrontare le nuove sfide. Si tratta del concetto di system innovation, che incorpora/ibridizza nell’innovazione sia la sua dimensione più propriamente tecnologica, che spesso si limita alla relazione fornitore-produttore, sia la dimensione sociale ed ambientale che chiama in causa anche i consumatori, i cittadini, tutta la comunità agricola-rurale, le istituzioni, i settori di trasformazione e commercializzazione a valle, ecc.. E’ evidente che ogni “innovazione sistemica” così definita non può che prevedere l’interazione di tutti questi soggetti, la condivisone di informazione e conoscenza, processi continui e diffusi di apprendimento. Considerando questa ipotesi di disegno reticolare, tuttavia, emergono anche alcuni rischi. Il principale è che l’idea astratta di system innovation o innovation network trovi il suo corrispettivo, in pratica, in un sistema altamente frammentato. Connesso a ciò, l’enfasi sul network potrebbe ridursi in realtà ad un argomento retorico per smantellare i tradizionali pilastri del sistema “precedente”. Quindi, non un nuovo disegno per rilanciare il ruolo del sistema della conoscenza e dell’innovazione in agricoltura, bensì una “scusa” per ridurre gradualmente l’investimento e l’impegno (soprattutto pubblico ma anche privato) nel sistema. Visti i rischi e le opportunità di questo processo evolutivo, viene ovvio chiedersi quale sia la politica più appropriata per assecondare, favorire e condizionare tale evoluzione. La politica della ricerca, ispirata dall’Agenda di Lisbona che ha nella conoscenza e nell’innovazione tecnologica il suo principale punto di interesse, comincia ad incorporare già numerose delle suggestioni relative all’evoluzione recente. Tuttavia, ancorché con estensioni all’alta formazione e all’innovazione (il “triangolo della conoscenza” secondo la UE), questa impostazione del sistema rimane abbastanza top-down. Risulta, quindi, carente la fase bottom-up, che dovrebbe essere data, almeno per quanto concerne l’agricoltura, dalla Pac: Rispetto ad una scarsa considerazione del problema da parte della Pac nel periodo recente, di questa carenza cerca di tener conto, invece, la programmazione e il disegno delle politiche comunitarie per il periodo 2014-2020. Nel campo della politica della ricerca europea, va citata, in questo senso, l’iniziativa Innovation Union. nell’ambito della quale, tra altre numerose azioni contemplate, quella che rappresenta la maggiore novità è la possibilità di costituire European Innovation Partnerships (Eip) tematiche, proprio con lo scopo di far convergere politiche e risorse sull’obiettivo dell’innovazione. Nell cosiddetto EIP-AGRI, infatti, viene chiaramente riconosciuto che le innovazioni agricole non sono solo quelle che aumentano la produttività convenzionalente intesa ma anche la perfomance riferita ad altre funzioni. In secondo luogo, e in relazione con il punto precedente, la Eip-Agri sembra in linea con una lettura più ampia del sistema, passando da una approccio strettamente settoriale (agricolo) alla bioeconomia, come chiaramente enfatizzato in molte delle aree individuate per le azioni innovative. In terzo luogo, la Eip-Agri presta particolare attenzione al fatto che il sistema di conoscenza e innovazione in agricoltura abbia una prevalente struttura reticolare, debolmente gerarchica e che coinvolge molti ed eterogenei soggetti da cui derivano anche alcuni dei suoi potenziali punti di debolezza: “the scientists do not know what the farmers want and the farmers do not know what the science do” (Matthews, 2011). Infine, questa iniziativa chiaramente ambisce a gettare quel ponte fin qui mancante tra la politica di ricerca della UE e la Pac (in particolare il secondo pilastro) cioè, a coordinare e combinare le iniziative top-down con quelle bottom-up. Finanziata sia dal programma Horizon2020 che dal secondo pilastro della Pac, la finalità principale degli OG dovrà essere quella di contribuire ad incrementare la perfomance innovativa dell’agricoltura e della bioeconomia della UE riducendo la distanza esistente tra produzione scientifica (i ricercatori) e applicazione pratica (gli imprenditori agricoli). |
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