il Punto Coldiretti

Via al negoziato Ue con Australia e Nuova Zelanda, a rischio il Made in Italy

Il Consiglio Ue ha autorizzato la Commissione ad avviare i negoziati commerciali con l’Australia e la Nuova Zelanda proseguendo così sulla linea delle intese bilaterali. L’obiettivo teorico di questi, come dei precedenti negoziati, è di ridurre gli ostacoli agli scambi eliminando i dazi doganali con i due paesi e fornendo un migliore accesso a servizi e appalti pubblici. Nei mandati viene ribadito l’impegno a proteggere “settori vulnerabili come l’agricoltura” senza danneggiare i produttori locali.

Peccato che nei precedenti negoziati con Canada, Giappone, Singapore e Messico l’obiettivo sia rimasto sulla carta, così come in quello avviato con il Mercosur, mentre si è aperta la strada alla legittimazione dell’italian sounding, con gravissimi danni per l’agroalimentare made in Italy.

Con l’Australia la Ue coopera già a seguito di accordi di partenariato conclusi nel 2008 e 2017 e gli scambi bilaterali hanno raggiunto nel 2017 quota 47,7 miliardi di euro. L’Unione Europea esporta in Australia prevalentemente manufatti, mentre acquista dal Paese materie prime minerali e prodotti agricoli. Anche per quanto riguarda la Nuova Zelanda (8,7 miliardi il valore degli scambi) la Ue importa soprattutto prodotti agricoli. E nell’agroalimentare i prodotti sensibili sono carne bovina e ovina, zucchero, cereali e falsi made in Italy.

Nei mandati negoziali per quanto riguarda il settore agroalimentare il Consiglio invita a tener conto degli standard europei e degli interessi dei produttori europei, delle misure fitosanitarie, del benessere animale, della clausola di salvaguardia che consente alle parti di intraprendere misure necessarie previste in ambito Wto. Capitolo particolarmente sensibile e penalizzante per l’Italia è quello delle indicazioni geografiche con la protezione delle indicazioni da inserire in lista, ma anche con la possibilità che possano coesistere con marchi antecedenti e nomi generici precedentemente in circolazione.

Il problema è che l’Australia e la Nuova Zelanda sono tra i Paesi a maggiore diffusione delle imitazioni dei prodotti agroalimentari Made in Italy che gli ultimi accordi commerciali siglati dall’Unione Europea hanno paradossalmente legittimato. Sono infatti molto diffuse le imitazioni dei prodotti agroalimentari più tipici, dal parmesan perfect italiano con bandiera tricolore alla mozzarella, dalla ricotta ai vini come il prosecco fino ai kit per in casa produrre tipici salumi calabresi e siciliani. Senza dimenticare la preoccupazione per le pratiche enologiche come le miscele di vini da tavola bianchi e rossi per produrre un “finto rosè” vietate in Europa che sono possibili invece in Nuova Zelanda e in Australia dove è addirittura consentita l’aggiunta di acqua al mosto per diminuire la percentuale di zuccheri secondo una pratica considerata una vera e propria adulterazione in Italia.

“E’ inaccettabile che il settore agroalimentare sia trattato dall’Unione Europea come merce di scambio negli accordi internazionali senza alcuna considerazione del pesante impatto che ciò comporta sul piano economico, occupazionale e ambientale” ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare che all’estero, sono falsi più di due prodotti alimentari di tipo italiano su tre e le esportazioni di prodotti agroalimentari tricolori potrebbero più che triplicare se venisse uno stop alla contraffazione alimentare internazionale, con l’Italia che ha raggiunto nel 2017 il record dell’export agroalimentare con un valore di 41,03 miliardi”.

Critiche anche da Filiera Italia (l’organizzazione della filiera agroalimentare italiana che riunisce la produzione agricola nazionale rappresentata da Coldiretti ed alcune delle principali realtà italiane dell’industria alimentare) che parla di un “accordo sbagliato sia per gli interessi difensivi (la Nuova Zelanda è il Paese al mondo che fa maggior dumping sul prezzo del latte e dei formaggi, che faranno quindi concorrenza sleale alle produzioni di eccellenza europee e soprattutto  italiane) che per quelli offensivi (l’Australia è il principale Paese che produce ed esporta falso Made in Italy, soprattutto verso il Far East)”.

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