il Punto Coldiretti

Equità?

E’ questo un tempo in cui c’è una parolina che è sulla bocca di tutti e che, come spesso accade in questi casi, dice tutto e l’esatto contrario di tutto. La parolina in questione è: equità. Quelli del governo, che hanno fatto la manovra “salva Italia” ribadiscono è una manovra all’insegna dell’equità.

I partiti che hanno dato la fiducia, pur con delle differenziazioni, parlano di un’equità a metà. L’opposizione in Parlamento e fuori, parla di “iniquità”. A mio parere, se si evitasse di nascondersi dietro le varie aggettivazioni che si danno a questa parola, si ritroverebbe l’equilibrio per una giusta valutazione della crisi e dei modi più adeguati per farvi fronte.

Per toglierci un po’ di confusione dalla mente ci addentriamo nella Dottrina sociale della Chiesa e da essa estrapoliamo “i criteri” per un adeguato approccio al problema. Partiamo dai fondamentali riassunti al n. 355 del Compendio. “La raccolta fiscale e la spesa pubblica assumono un’importanza economica cruciale per ogni comunità civile e politica: l’obiettivo verso cui tendere è una finanza pubblica capace di proporsi come strumento di sviluppo e di solidarietà”.

Una finanza pubblica equa, efficiente, efficace, produce effetti virtuosi sull’economia, perché riesce a favorire la crescita dell’occupazione, a sostenere le attività imprenditoriali e le iniziative senza scopo di lucro, e contribuisce ad accrescere la credibilità dello Stato quale garante dei sistemi di previdenza e di protezione sociale, destinati in particolare a proteggere i più deboli”.

Se siamo arrivati a dover fare “manovre su manovre”, evidentemente in parte e/o in toto, detti principi sono stati disattesi. Per questo motivo non credo che si possano considerare equi i provvedimenti del Governo anche perché la finanza pubblica dovrebbe orientarsi al bene comune quando attenendosi ad alcuni fondamentali principi: il pagamento delle imposte  come specificazione del dovere di solidarietà; razionalità ed equità nell’imposizione dei tributi;  rigore e integrità nell’amministrazione e nella destinazione delle risorse pubbliche.

Nel ridistribuire le risorse, la finanza pubblica deve seguire i principi della solidarietà, dell’uguaglianza, della valorizzazione dei talenti, e prestare grande attenzione a sostenere le famiglie, destinando a tal fine un’adeguata quantità di risorse.

E troviamo ulteriori motivi di perplessità quando al n. 303 del Compendio della DSC si sottolinea che “Un’equa distribuzione del reddito va perseguita sulla base di criteri non solo di giustizia commutativa, ma anche di giustizia sociale, considerando cioè, oltre al valore oggettivo delle prestazioni lavorative, la dignità umana dei soggetti che le compiono. Un benessere economico autentico si persegue anche attraverso adeguate politiche sociali di ridistribuzione del reddito che, tenendo conto delle condizioni generali, considerino opportunamente i meriti e i bisogni di ogni cittadino”.

E questo se si tiene come punto fermo il fatto che tutti dovrebbero  avere a disposizione ciò che serve allo sviluppo e al perfezionamento della propria persona.
Questo si sarebbe senz’altro potuto realizzare, se lo stato, anziché assolutizzare il principio di  una economia liberista astenendosi da ogni intervento che potesse costituire un condizionamento indebito delle forze imprenditoriali avesse provveduto prima a “sollecitare i cittadini e le imprese alla promozione del bene comune provvedendo ad attuare una politica economica che favorisse la partecipazione di tutti i suoi cittadini alle attività produttive”.(n.354)

E, soprattutto se nel rispetto del principio di sussidiarietà avesse ricercato condizioni favorevoli allo sviluppo delle capacità d’iniziativa individuali, dell’autonomia e, in particolare, della responsabilità personali dei cittadini. Forse si è tradito il principio che in vista del bene comune si deve sempre perseguire con costante determinazione l’obiettivo di un giusto equilibrio tra libertà privata ed azione pubblica, intesa sia come intervento diretto in economia, sia come attività di sostegno allo sviluppo economico. E tra le cause della crisi sono da ricercarsi in quella assenza di attività di sostegno allo sviluppo economico.

Forse si è giocato troppo sulle opportunità offerte dalla globalizzazione che, tra l’altro, ha prodotto una conseguenza   fondamentale sui processi produttivi: la proprietà è sempre più lontana, spesso indifferente agli effetti sociali delle scelte che compie. Ma non possiamo dimenticare che, se è vero che la globalizzazione, a priori, non è buona o cattiva in sé, ma dipende dall’uso che l’uomo ne fa, si deve affermare che “era  necessaria una globalizzazione delle tutele, dei diritti minimi essenziali, dell’equità”. (cfr. n 310) Diversamente, «i poveri restano ognora poveri, mentre i ricchi diventano sempre più ricchi».

Detto questo possiamo dire che gli interventi sono nella direzione dell’equità? A mio parere no! Si poteva fare diversamente? Si! Ma questo richiedeva una “ridefinizione” della Società nel suo insieme a cominciare da una ritrovata spiritualità (ricerca di senso) che rimediasse agli errori dell’ultimo venti-trentennio.

Bisognava armarsi di coraggio e tagliare i privilegi, aiutando così i privilegiati, prima di tutto, a prendere coscienza che i privilegi non necessariamente costruiscono la felicità, ne tantomeno allungano la vita. Che illusione, vero? Forse bisognerebbe ricominciare a prendere sul serio e credere che solo nell’accettazione della “redenzione” operata di Cristo, l’uomo si riappropria della capacità di sognare e si riveste della corazza della speranza.

Padre Renato Gaglianone

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