il Punto Coldiretti

Difendiamo la suinicoltura italiana

Non è piu’ possibile continuare ad allevare suini in Italia con prezzi che non coprono neanche i costi di allevamento, mentre nei supermercati i listini per i prosciutti non sembrano certo calati.

La crisi del settore suinicolo è il frutto esemplare delle inefficienze e  contraddizioni che caratterizzano ancora troppe filiere della catena agroalimentare con insostenibili squilibri nella distribuzione dei margini, rendite di posizione e soprattutto mancanza di trasparenza e dì una visione di lungo periodo. 

Se il prosciutto viene venduto in Italia a prezzi superiori ai 24 euro e la braciola di maiale si aggira attorno ai 7 euro si devono trovare le condizioni per pagare qualche decina di centesimi in piu’ i suini nelle stalle dove sono quotati a livelli insostenibili, mentre sono drasticamente aumentate le spese di allevamento a partire dall’alimentazione.

In queste condizioni non è piu’ sostenibile investire sui suini italiani senza i quali rischia però non solo la salumeria nazionale ma anche l’intero Made in Italy che fonda molto del suo successo sull’effetto traino dell’enogastronomia. 

Un anticipo di quello che potrebbe avvenire si avrà con il cosiddetto “sciopero del prosciutto” e con la decisione degli allevatori di non consegnare piu’ i certificati di qualità che consentono la trasformazione in salumi  a denominazione di origine. Una iniziativa sostenuta dalla Coldiretti che sta avendo consensi crescenti in tutte le principali regioni di allevamento.

Eppure basterebbero solo alcuni interventi immediati per garantire la trasparenza dei prezzi e della qualità e contribuire a risollevare il comparto. E si può partire facendo conoscere semplicemente da dove arriva la carne ed i prosciutti venduti in negozi, macellerie e supermercati per dare la possibilità ai consumatori di fare scelte di acquisto consapevoli. 

Non si può accettare che dall’estero continuino ad arrivare 40 milioni di cosce da stagionare, che per la mancanza di una etichettatura trasparente, continuano ad essere spacciate come Made in Italy nonostante i minori livelli qualitativi e di garanzia sanitaria. Un inganno che danneggia allevatori e consumatori e che apre le porte a frodi e sofisticazioni come episodi anche recenti hanno dimostrato.

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