il Punto Coldiretti

Coldiretti, un progetto per il Paese

La relazione del Presidente Sergio Marini all’Assemblea nazionale della Coldiretti

Onorevole Presidente del Consiglio, signor Ministro dell’Agricoltura,  caro Sindaco, illustri ospiti,  gentili  amici e soci, questo nostro incontro rappresenta una preziosa occasione di lavoro. Lo è per il momento in cui avviene,  un momento non privo di difficoltà per il sistema Paese e soprattutto per la congiuntura internazionale; lo è perché sotto il profilo politico il Paese ha svoltato pagina e le responsabilità delle scelte, oggi finalmente possibili, pesano su spalle e su uomini diversi; lo è infine perché le considerazioni che faremo sul ruolo e sul futuro dell’agricoltura italiana contengono la proposta di un progetto per l’intero Paese.

Il contesto internazionale

Veniamo subito a uno dei temi principali di questo nostro incontro: la congiuntura internazionale, ciò che succede sul nostro pianeta in termini di fabbisogno alimentare e la difficile partita che si sta giocando.

Naturalmente, prevedere è sempre difficile, perché alcuni fattori che sono alla base dei processi di globalizzazione agiscono con tale rapidità e tale forza da rimettere in discussione alla sera ciò che al mattino sembrava consolidato. Ciononostante proverò a fare alcune considerazioni.

Aumento significativo del prezzo del petrolio e dell’energia e quindi dei trasporti,  cambiamenti climatici,  aumento della domanda alimentare da parte di Cina, India e altri paesi, e su tutto pesanti effetti speculativi, dunque, sembrerebbero questi i fattori strutturali noti dell’aumento dei prezzi agricoli.

Poca influenza sui prezzi sembra invece avere, secondo gli analisti, l’uso alternativo dei prodotti agricoli  a fini energetici.

Ai fattori sopra elencati occorrerebbe però aggiungerne un altro che sembra sfuggire ai più e che non dobbiamo sottostimare: la causa, forse più importante del rialzo dei prezzi è da ricercare anche  nei tanti anni, troppi, di  prezzi eccessivamente bassi.

Un paradosso? Forse. Sta di fatto che in termini reali il prezzo dei cereali e semi oleosi  ha subito negli ultimi 3 decenni un costante decremento.

In questo periodo politiche  e mercato  hanno riservato  al comparto l’attenzione che si presta a ciò che si percepisce maturo e forse residuale. Sono crollati investimenti e ricerca, di conseguenza si sono quasi dimezzati  negli ultimi anni i tassi   di crescita annuale della produzione   (dal 2,3% sino al 1990, all’1,3% di oggi) e si è ridotta  di molto l’elasticità dell’offerta (molto rigida  per vincoli strutturali e biologici).   

Offerta dunque, più rigida, che cresce poco, domanda, anche essa rigida, che cresce però molto, scorte che naturalmente  si riducono e  prezzi che si impennano. Se a tutto  questo aggiungiamo gli effetti speculativi e che gli esperti ritengono incidano oggi almeno del 30%, il presente è servito!

Tutto ciò – in assenza di risposte e politiche adeguate – rischia di avere conseguenze gravissime sulle aree più deboli del sud del mondo. Lo ha sottolineato in modo accorato il Pontefice e il tema  è stato all’attenzione della recente assemblea della Fao e dell’incontro dei G8.

Come Coldiretti riteniamo che la produzione agricola debba stare entro il perimetro che naturalmente la contiene: si tratta di  beni che certamente non possono sottrarsi al meccanismo della domanda e dell’offerta, ma al tempo stesso non accettiamo che si possa speculare sulla fame e sulla nuova povertà.

Produttori e decisori hanno quindi di fronte un primo obbiettivo: occorre più agricoltura perché occorre  produrre più cibo.

A questo primo indirizzo  se ne aggiunge però  subito un altro: occorre produrre vicino a dove si consuma. Non è  un paradosso affermare infatti  che in questa fase la globalizzazione sta dando vita a una doppia barriera agli “spostamenti delle merci”, una sorta di doppio dazio, frutto del mercato: 

– un dazio sull’ambiente che nasce dalle emissioni di anidride carbonica che i grandi spostamenti di merci implicano;

– un dazio di tipo economico derivato dall’aumento dei costi dei trasporti e dei servizi ad essi connessi (che solo per il grano importato dal Canada vale oggi 18-20 dollari al quintale) .

E’ necessario dunque  che i Paesi più poveri e più deboli, ma anche quelli più abbienti, vengano messi in condizione di ristrutturare i loro bacini di produzione; bisogna che i governi li mettano in grado di far ripartire l’agricoltura ‘vicina’, l’unica in grado di fornire cibo a buon prezzo.

In sede politica si sta  cercando, e noi siamo d’accordo, di preservare il carattere nazionale di Alitalia, ritenendolo un patrimonio del nostro Paese.

Le nostre scorte alimentari, il valore della nostra agricoltura, lo sono in misura del tutto analoga o vorrei dire superiore

E qui voglio consegnare una riflessione a chi  in nome di un ingenuo o interessato liberismo chiede a gran voce di cancellare gli aiuti comunitari all’agricoltura.

Che cosa  sarebbe stato del nostro Paese se non ci fosse stata una  politica agricola comune?

Di fronte all’emergenza alimentare una delle poche realtà produttive che riuscirà a dare una risposta rapida sarà quella Europea,  (vedi aumento produzione cereali) e sapete perché? Perché gli aiuti, in particolare quelli disaccoppiati, hanno permesso di mantenere in vita  un sistema di imprese  nei lunghi anni in cui i prezzi bassissimi  (sotto i costi di produzione) avrebbero portato all’abbandono di circa 1/3 dei terreni con una riduzione di produzione in termini quantitativi di quasi il 30%.

Se non avessimo avuto la Pac oggi la sola Italia avrebbe aumentato le importazioni (magari dai paesi poveri!) di prodotti agricoli per oltre 10 Miliardi di euro, registrerebbe  una diminuzione di export agroalimentare del 30 %, mentre i prezzi mondiali, per deficit di offerta, sarebbero aumentati ancora, con un doppio esito: i paesi poveri sarebbero più affamati e quelli ricchi un po’ più poveri!

E allora chiedo, è proprio questo quello che vogliamo?

Ricordiamoci che anche con i prezzi alti di oggi ( che però non lo sono mai al momento della raccolta) vista l’impennata dei costi di produzione, senza aiuti diretti continuerebbero  ad essere  fuori mercato buona parte dei terreni  europei ed Italiani coltivati a cereali.

Senza politica agricola comune non si coltiverebbe oggi grano dove le rese sono minori di 5 tonnellate per ettaro. Scomparirebbe un terzo della produzione.

E questo dobbiamo saperlo.

La politica agricola può essere migliorata come tutte le politiche, ma guai a indebolirne l’efficacia.

Le ricadute sul Paese

Ma ora torniamo allo scenario reale. L’effetto più visibile della crisi alimentare sul nostro Paese è costituito dall’aumento dei prezzi al consumo che incidono fortemente sugli stili e sulla composizione finale del paniere di acquisti alimentari degli italiani (secondo l’Istat le quantità scendono di poco ma la qualità si riduce con un massiccio incremento del peso dei discount).

Tutto ciò si colloca all’interno di un Paese che vive una fase di difficoltà, con un tasso di crescita  inferiore a quella degli altri Paesi dell’Unione Europea, con elementi strutturali di deficit di competitività, con un tasso  di inflazione  annua pari al  3,8%, il dato più alto dal 1996.

Se guardiamo all’aumento dei prezzi al consumo dei prodotti alimentari la situazione non si discosta da questo quadro: nell’ultimo anno il prezzo del pane è aumentato del 12% e quello della pasta è salito del 22%.

Correremmo tuttavia un grave rischio di ‘strabismo’ se mettessimo in relazione stretta l’aumento dei prezzi agricoli con l’aumento dei prezzi al consumo.

In Italia al momento attuale l’incidenza della distribuzione sul valore finale medio dei prodotti agroalimentari è pari al 60%, quella dell’industria è del 23%, quella dell’agricoltura  è scesa al 17% e si riduce ancora .

Nel passaggio dall’origine al dettaglio i centesimi diventano euro.

Aldilà dei giudizi di merito e senza voler colpevolizzare nessuno questi dati ci segnalano che nella filiera dell’agroalimentare italiano,  persistono alcuni squilibri: siamo di fronte ad una scarsa efficienza, a disfunzioni di tipo strutturale. (Su tutto questo comunque tornerò più avanti.)

Mi preme qui solo sottolineare che noi che rappresentiamo il cuore della produzione agricola del Paese, non possiamo rimanere inerti perché tutto ciò ha pesanti contraccolpi sulla coesione sociale della nazione, su ciò che i sondaggi definiscono il sentiment del Paese, sulla fiducia dei consumatori e quindi anche sull’andamento delle nostre e di moltissime altre imprese.

La nostra agricoltura 

Quanto abbiamo osservato finora non deve far dimenticare che l’agricoltura italiana nel suo complesso è un’agricoltura di vertice.  Siamo al secondo posto in Europa in termini di quantità, ma siamo nettamente i primi per valore aggiunto.  L’agroalimentare nel suo complesso è la seconda voce dell’economia nazionale. Siamo ai vertici per quanto riguarda importanti settori che vanno dall’ortofrutta, all’olio, al vino.

Tutto rimanda a due sole parole: qualità  e eccellenza.

Siamo e contiamo di restare ai vertici perché abbiamo perseguito con forza i valori di un’agricoltura distintiva, identitaria, sicura,  legata fortemente ai nostri territori,   capace di sfuggire ai criteri di sostituibilità dei prodotti che i processi di globalizzazione inevitabilmente portano con sé.

Varrebbe la pena di chiedersi cosa sarebbe accaduto se avessimo perseguito, o se iniziassimo a perseguire come alcuni sembrerebbero suggerire,  strade esclusivamente “produttivistiche”. Ebbene, è presto detto: se ci confrontiamo con le altre agricolture emerge che il valore aggiunto in ettari, ovvero la ricchezza netta prodotta per unità di superficie dalla nostra agricoltura è oltre il triplo di quella USA, doppia di quella inglese, è superiore del 70%  di quelle di Francia e  Spagna. E potrei continuare. Non a caso, questi Paesi fanno shopping di marchi Made in Italy.

Questo dato lo voglio consegnare a chi (pochi) ancora associano l’agricoltura  italiana ad arretratezza imprenditoriale. 

Quanto detto significa che siamo degli ottimi imprenditori, i migliori in assoluto,  ma vuol dire anche che, oggi come domani, un’agricoltura senza qualità distintiva non sarebbe economicamente sostenibile. E’ infatti il delta di valore aggiunto che essa comporta a consentirci di compensare limiti strutturali che altri paesi non hanno.

Quel plus  è il frutto di anni impegnati a costruire una agricoltura diversa e migliore, è il motivo per cui il Made in Italy alimentare conquista il mondo e apre la strada a tanti altri prodotti, è il motivo per cui gli Italiani preferiscono i cibi della loro terra, è il motivo per cui tutti apprezzano  la nostra cucina. Quel plus  è  il nostro lasciapassare per il futuro. Se oggi stiamo a parlare di come la nostra agricoltura potrà contribuire alla crisi mondiale di cibo anche sul piano quantitativo, lo facciamo solo perché quel plus ci permette di essere in partita  e di esserci  da protagonisti. 

I parametri della qualità italiana

La dimensione  di eccellenza della nostra agricoltura  si nutre dunque di ‘qualità’ che a sua volta non è un carattere astratto, una leva di marketing, ma la risposta a una domanda crescente dei consumatori italiani e internazionali. Una domanda che si alimenta di molte componenti ognuna delle quali è un patrimonio di tutti  da custodire  perché continuamente minacciato da tentativi di espropriazione o di sfruttamento improprio. 

Identità e trasparenza

La prima componente è legata all’identità, la varietà di cibi e prodotti agricoli italiani espressione della storia e delle culture di una pluralità di territori; è qui che nasce la natura ‘distintiva’ dell’agricoltura italiana, la sua capacità di rispondere a domande profonde, ancoraggi tanto più forti in tempi di sradicamento.

Da un recente sondaggio emerge che l’olio di Oliva extra-vergine di una nota marca italiana, oggi di proprietà spagnola, viene percepito dal 93% dei consumatori come olio italiano anche se è di provenienza assolutamente ignota.

Quanto potrà durare tutto ciò? E quanto giova al vero Made in Italy tutto questo?

Come nei versi  di un cantautore italiano che invita a “distinguere il vero dal falso” dobbiamo orientare i nostri consumatori (e sono potenzialmente tanti) a scegliere il vero e dobbiamo concretamente dar ‘forma’ a marchi italiani, territorialmente individuabili sotto il profilo della provenienza della materia prima, sfruttandone il valore potenziale.

Ci aspetta – lo avrete capito – una doppia funzione: commerciale e pedagogica. Quella stessa che gruppi di interessi nazionali e internazionali ostacolano  a  livello europeo, sostenendo che l’etichettatura sull’origine dell’olio, così come dei prosciutti o dei formaggi o della pasta, costituirebbe un atto di ‘concorrenza sleale’.

Sicurezza e percezione di sicurezza

Nessuno ha computato quanto sia costata  la crisi della mucca pazza ai britannici in prima battuta e successivamente agli altri Paesi europei.  Conti analoghi si potrebbero fare per l’aviaria o recentemente per l’emergenza rifiuti in Campania e lo stesso nel caso delle mozzarelle di bufala. Un caso quest’ultimo che ci insegna molto.

La quota di produzione toccata dall’inquinamento si è rivelata alla fine molto limitata, ma ciò non ha impedito che i nostri coltivatori e i nostri allevatori campani pagassero un prezzo altissimo. Sulle tematiche alimentari non basta quindi che vi siano garanzie di sicurezza che rappresenta un prerequisito, ma è necessario – di questi tempi in particolare – lavorare con determinazione per offrire ‘percezione di sicurezza’ che invece è un indice di qualità. Nel primo caso è il sistema produttivo e dei controlli ad essere chiamato in causa, nel secondo caso la questione è più complessa e investe la credibilità delle istituzioni, la sicurezza dei territori e molto altro. È  il valore Italia che si trasferisce nel Made in Italy portando con sé storia cultura, tradizioni, ma anche rifiuti, oli contraffatti e formaggi rigenerati.

Serietà degli attori

La serietà degli attori di filiera, è  questo  il terzo e nuovo  parametro di ‘qualità’ sottolineato con forza dai consumatori.  Il recente caso del Brunello di Montalcino è esemplare. La non compiuta corrispondenza fra indicazioni in etichetta e componenti costitutive del prodotto, rischiava di costarci cara sul piano internazionale. (L’azione tempestiva del ministro Zaia ha evitato enormi danni economici e d’immagine).

E badate bene, non si trattava di un vino prodotto con un uvaggio scadente, né erano in gioco sicurezza alimentare o qualità organolettica, semplicemente le percentuali di uvaggio sembrerebbero leggermente difformi da quelle annunciate.  Ma tutto ciò è stato sufficiente perché le importazioni fossero bloccate sul mercato statunitense. E’ stata una questione di serietà e trasparenza: se tempo fa bastava essere seri al 99% oggi non basta più, occorre esserlo al 100%.  Al Made in Italy non si perdonano leggerezze.

Qualità del lavoro

Partendo dall’assunto che non può esistere qualità del prodotto senza qualità del lavoro,  il settore agricolo ha intrapreso un percorso di trasparenza dei rapporti di lavoro che ha portato, in questi ultimi anni, importanti risultati.

La Coldiretti è stata ed è la maggiore sostenitrice di questo percorso mettendo in campo anche azioni forti all’interno della propria base associativa tanto da espellere soci che si sono macchiati di azioni deplorevoli sul piano etico, morale civile.

Non basta ancora. Bisogna continuare questo percorso. Bisogna premiare il lavoro  trasparente e mettere  fuori gioco chi effettua concorrenza sleale, lavoro nero, lavoro fittizio, fino ad arrivare ad azioni “criminali”.

Contributo all’ambiente 

L’ultimo indiretto, ma importante, fattore di ‘qualità’ è legato all’ambiente.  In un bellissimo libro di nome “Collasso”, un antropologo americano (Jared Diamond) ci dimostra come la sparizione o la dispersione di importanti civiltà del passato e anche alcune devastanti tragedie molto più recenti,  sono in realtà il frutto di profonde crisi ambientali, prodotte o accelerate da un modello di sfruttamento economico delle risorse intensive, accompagnate da particolari condizioni climatiche e sfocianti in terribili crisi alimentari e successivamente in guerre.

Non siamo a questo punto per quanto riguarda il nostro pianeta, ma certo il livello di allarme si fa sempre più forte (il 65% degli under 35 inglesi e italiani, mettono l’emergenza climatico/ambientale al primo posto come preoccupazione) e la sensibilità cresce anche fra strati finora indifferenti della popolazione.

Ebbene le nostre imprese agricole, proprio in virtù del carattere multifunzionale che hanno acquisito, possono dare un contributo significativo in termini di conservazione dell’assetto del suolo, produzione di biomasse, recupero della frazione organica dei rifiuti, razionalizzazione della gestione della risorsa acqua. Un recente studio commissionato dal Governo Britannico, stimava che il contributo dell’agricoltura al protocollo di Kyoto in termini di riduzione di biossido di carbonio,  non fosse inferiore all’ 8%. 

Noi e le politiche

E veniamo  alla politica, o meglio  al tipo di politica e di politiche di cui abbiamo bisogno per  vincere la nostra sfida  di meglio rispondere ai bisogni vecchi e nuovi della gente:  cibo per tutti e cibo “vicino” ; cibo al giusto prezzo; cibo rispondente alla qualità attesa. Per tutto questo  non chiediamo più politica, ma  una miglior politica a livello nazionale, europeo e globale.

La politica Europea

Partendo da quella europea e internazionale, va osservato che ciò che è mancato in quella sede è stata una forte e ben caratterizzata politica agricola Italiana. E qui, caro ministro Zaia, auspichiamo una forte discontinuità rispetto all’ultimo biennio.

Negli ultimi due anni il Governo ci ha visto ‘giocare’– se permettete la metafora – sempre di rimessa, subendo l’iniziativa degli avversari.

E’ accaduto perché ai terreni, al bestiame e a ciò che raccogliamo e direttamente trasformiamo, si sono anteposti altri interessi lontani dai bisogni dei produttori e della gente.

Oggi, sul piano delle politiche europee, siamo alla vigilia di una mini riforma della quale noi condividiamo la filosofia. Il completamento delle politiche di disaccoppiamento è la risposta per avere una agricoltura fortemente reattiva al mercato (vedi grano duro) senza distorsioni tra paesi, tra filiere, ed all’interno delle filiere stesse. Dobbiamo sottolineare che ciò potrà avvenire tanto più in fretta, quanto più lontano ci si terrà dalla tentazione di riproporre politiche anti-concorrenza e anticompetitive come di fatto lo sono state in questi anni quelle di accoppiamento della PAC .

Va anche apprezzata la proposta dell’Unione Europea di aumentare  i fondi che vanno allo sviluppo rurale, che tramite il cofinanziamento verrebbero raddoppiati.  Ma deve essere chiaro che in un fase storica in cui servono imprese produttive e competitive, ogni risorsa aggiuntiva al secondo pilastro deve essere  mirata ad aumentare la competitività delle imprese, (imprese che per Coldiretti – come lei ben comprende Presidente Berlusconi – devono essere al centro di ogni azione politica) .

Non siamo infatti più disponibili ad accettare che ingenti risorse pubbliche destinate alla sviluppo agricolo vengano dis-tratte  (per non dire sprecate)  per cose di dubbia utilità. In tempi di cambiamenti climatici, di volatilità dei prezzi, di costi di produzione altissimi,  mi pare inoltre una ottima idea quella di utilizzare parte dei fondi comunitari, per un nuovo articolo 69 ma alla condizione che i fondi drenati  possano  arricchire un fondo assicurativo per il reddito degli agricoltori.

La politica Nazionale

Sul piano delle politiche nazionali e territoriali, come osservato, il tema forte è rappresentato dalla necessità di un giusto prezzo dei prodotti alimentari. Si tratta quindi di rendere più competitiva la filiera agro-alimentare.

Per rendere l’impresa più competitiva

Cominciamo dall’impresa. Reduce da decenni di prezzi agricoli in termini reali in costante calo e di costi di produzione in continuo aumento in valore reale e nominale, l’azienda agricola oggi deve fare i conti con un livello di redditività ai minimi storici.

Bisogna quindi cominciare dalle nostre aziende seguendo diversi percorsi.

Occorre agire sul costo dei fattori della produzione, oggi in forte aumento, cercando di attivare economie di scala nella offerta e nella domanda. Abbiamo a tal proposito attivato importanti accordi e collaborazioni con l’industria italiana delle macchine agricole (che è la prima al mondo per volume di fatturato), con i più importanti istituti di credito e con l’ISMEA per la finanza d’impresa, e con i principali gruppi assicurativi del Paese.

Per quanto concerne i mezzi tecnici di produzione pensiamo di fare perno sull’unica struttura diffusa capillarmente sul territorio di proprietà degli agricoltori,  mi riferisco ai Consorzi agrari.

Queste strutture potrebbero essere al centro anche di politiche antispeculative. In questo senso nelle prossime settimane saremo pronti a presentare al Governo un piano organico.

La  gestione delle scorte infatti assume un ruolo strategico, non solo perché esse aumentano la flessibilità dell’offerta ma soprattutto perché se abbiamo possibilità di stoccaggio possiamo far rimanere nel nostro Paese i profitti che le speculazioni internazionali realizzano anche sulle nostre produzioni e essere meno dipendenti da escursioni o fluttuazioni incontrollabili dei prezzi.

(La sola speculazione internazionale sui cereali, stimata  al valore medio indicato dagli analisti del 30% è costata al Sistema Paese nell’ultimo anno circa 400 milioni di Euro.)

Occorre agire poi  sulla leva fiscale: ci aspettiamo  che a tal riguardo l’impegno assunto da questo governo di non aumentare le tasse per le imprese  venga mantenuto anche in agricoltura. È necessaria la stabilizzazione  di una serie di strumenti  agevolativi che decadrebbero a fine anno (dalla conferma  dell’aliquota Irap all’1,9 alla accisa zero sul gasolio per riscaldamento di serre, alla tassazione fissa all’1% per l’acquisto di terreni da parte di imprenditori agricoli,  alla conferma degli  sgravi contributivi per i lavoratori agricoli, al fondo di solidarietà).

Comprendiamo le difficoltà della finanza pubblica, ma un intervento di mantenimento della fiscalità tuttora vigente in agricoltura è un’aspettativa forte delle nostre imprese agricole; siamo sicuri signor Presidente e caro Ministro Zaia che non vorrete deluderci.

Il tema della semplificazione rappresenta a sua volta, un  punto centrale della competitività. A riguardo  esprimiamo tutto il nostro apprezzamento  per il percorso avviato da questo governo.  Le procedure  di semplificazione previste nel decreto legge  112 sulla stabilizzazione della finanza pubblica da sole ci ripagano di anni di impegno sindacale, (debbo dire che non ci aspettavamo tanto così in fretta). Dalle norme sulla semplificazione a quelle sul lavoro occasionale, dall’impresa in un giorno allo sportello unico, si legge chiaramente  la volontà del Governo di stare vicino  alle imprese.

Un disegno di semplificazione della pubblica amministrazione che fa seguito a quello che abbiamo visto in politica.  Un disegno a cui  Coldiretti non è insensibile, considerando che una certa semplificazione “di fatto” è utile anche nella rappresentanza.

Per promuovere le qualità del Made in Italy

La competitività passa anche dalla capacità di preservare il valore aggiunto del nostro Made in Italy e quindi la sua ‘qualità’.  Chiediamo un impegno forte  del Governo per promuovere tutte le politiche che vanno in questa direzione: dalle norme sull’etichettatura obbligatoria, alla difesa delle prassi  antiomologative volte a valorizzare le distintività territoriali, dalla lotta alle contraffazioni e alle sofisticazioni a quella contro l’agropirateria e le imitazioni ( per ogni prodotto italiano vero ce ne sono al mondo quattro imitati).  La nostra legislazione lascia ancora “zone franche” in cui “trasparenza e sicurezza” possono essere per cosi dire “aggirate”, non possiamo permettercelo, su questo campo dovremmo sacrificare un pizzico di semplificazione in nome delle aspettative di chi consuma e della tranquillità di chi produce. Ne varrà la pena!

Per aumentare la competitività della filiera

La filiera agroalimentare Italiana segna non pochi punti di criticità, troppi passaggi, bassa capacità competitiva, poca concorrenza. Come Coldiretti siamo impegnati e ci impegneremo a costruire un sistema di accorciamento e razionalizzazione della filiera  che consenta di contenere gli aumenti del prezzo al consumo per i prodotti alimentari e allo stesso tempo di ripartire più equamente il valore aggiunto creato nella filiera.

Lo facciamo rilanciando il ruolo e riprendendoci le nostre cooperative, quelle che pongono il socio produttore al centro del proprio agire e che segnano una distintività vera nel legame con il territorio e nella valorizzazione della qualità italiana.

Lo facciamo con tutti coloro che condividono il nostro modello di agroalimentare identitario, di qualità, dove trasparenza e correttezza sono valori non barattabili.

Lo facciamo accogliendo l’adesione di  imprese, di cooperative, di consorzi, di  Farmer’s Market,  ponendo criteri di semplificazione e razionalità al  centro della filiera: dai mezzi tecnici, ai servizi, dalla produzione  alla trasformazione associata, sino alla vendita diretta da parte dei produttori.

 Ma lo vogliamo fare, e lo dobbiamo fare, anche   con i  trasformatori industriali, gli artigiani, con la piccola e  grande distribuzione e con tutti coloro  disponibili a confrontarsi.  Con tutti  cercheremo  un dialogo sincero  e pragmatico nell’interesse generale.

Su questo fronte non chiediamo molto alla politica, se non di metterci alla prova  e misurarci per quello che  sapremo consegnare al Paese ( “un buon lavoro” potrebbe già bastare).

Le responsabilità

Veniamo da un anno di estenuanti confronti con un tipo di politica, che solo la nostra forza nelle piazze (da Bologna a Brescia centinaia di migliaia di persone tutte vere) era riuscita ad  arginare.

Una politica che si è rivelata lontana dagli interessi della gente e quindi dai nostri interessi, una politica che non ha fatto male a noi ma al Paese. E che il Paese ha bocciato. 

In campagna elettorale signor Presidente le abbiamo chiesto di condividere il nostro programma, lei lo ha fatto e lo ha reso parte integrante del suo programma di Governo.

I nostri obiettivi, che oggi ho nuovamente illustrato, sono semplici ma hanno bisogno di affermazioni forti:  sì, sì oppure no, no!

È questo che ci aspettiamo da lei e dalla politica di oggi, nella convinzione che chi  ha ricevuto il mandato popolare deve assumersi le responsabilità e poter governare e decidere fino in fondo. Così come all’opposizione spetta un ruolo, a volte  duro, ma costruttivo e sui veri problemi del Paese.

Quale Coldiretti

E parliamo ora di noi Coldiretti.

In questi ultimi dieci anni, abbiamo attraversato la fase da noi definita della ‘rigenerazione’, quella che ci ha consentito di ridefinire il quadro normativo in cui l’azienda agricola viene ad operare, il perimetro in cui può legittimamente muoversi. 

Abbiamo una ricca Cassetta degli attrezzi:  il sistema dei Farmer’s Market, la vendita diretta, il progetto Chilometro Zero, l’etichettatura obbligatoria dell’origine, i microimpianti energetici, ma anche la Fondazione Campagna Amica, le solide alleanze internazionali, e tanto altro ancora.

La macchina di rappresentanza sindacale è sotto gli occhi di tutti per estensione, capillarità, duttilità e qualità.

Il sistema di servizi (oltre 216 realtà) di proprietà dei soci strutturato come public company e capace di erogare efficacia, sussidiarietà e concorrenza, coniugando efficienza e semplificazione.

In questo tempo è definitivamente mutato anche il nostro profilo politico:  abbiamo gradualmente assunto un ruolo di rappresentanza di ‘sistema mobile’, di cerniera fra ‘imprese’ e ‘politica’, impresa e società.    Credo che proprio aver capito che gli interessi delle imprese agricole italiane in misura sempre più accentuata coincidono con gli interessi dei consumatori  abbia costituito il merito maggiore di questa fase.

Il nostro futuro

Noi, per il futuro che abbiamo davanti, sappiamo bene ciò che dobbiamo fare. Procederemo ad ampliare lo spettro della nostra rappresentanza,  sviluppando anche una nuova e diversa ‘rappresentanza’ sociale, cercando un rapporto diretto e non mediato con la società e i consumatori accogliendoli nei fatti nel  nostro ‘sistema’.

È in questa direzione in particolare che si sta muovendo la Fondazione Campagna Amica, verso la creazione di un terreno di incontro fertile fra imprese agricole e cittadini. (Campagna Amica oggi conta già un milione e mezzo di cittadini aderenti).

Vedete, io credo che il sistema della politica potrebbe trarre grandi benefici da un rapporto virtuoso con il mondo Coldiretti. E non solo perché siamo tanti e sappiamo dove andiamo, ma anche perché – forse per una magia della storia, forse perché veniamo dalla terra, un luogo che non consente menzogne – Coldiretti è un’organizzazione che nel tempo ha mantenuto e sviluppato rinnovandola, una fortissima caratteristica identitaria e quindi capacità di indirizzo. Non so quanti altri soggetti sociali e sindacali la conservino: noi si!  Ed è a questa capacità residua di ‘indirizzo’ che la politica dovrebbe guardare con favore: perché quando i sistemi Paese sono sottoposti a forti sollecitazioni quando il tema più sentito è quello della sicurezza, chi produce coesione rappresenta una garanzia.

Sappiamo, dunque, cosa dobbiamo fare.  Dobbiamo fare in modo che le nuove forme di ‘agricoltura’ a cui abbiamo dato vita, diventino replicabili, che i risultati di successo si moltiplichino, che ciò che oggi è avanguardia estesa diventi senso comune per la gran parte delle nostre aziende, dobbiamo in una parola fare diventare il nostro progetto di rigenerazione un progetto per il Paese.

Racconta uno dei nostri soci, che suo nonno –  tre generazioni fa, quindi –  trapiantava i grandi esemplari di alto-fusto e diceva: questi serviranno a mio nipote per fare il vivaista, mostrando quindi una capacità di programmazione e orizzonti che sapevano proiettarsi nelle generazioni future.

Ebbene noi che siamo cresciuti nei ‘tempi lunghi’ e grazie a loro abbiamo conservato e valorizzato il più straordinario patrimonio agricolo del pianeta , noi oggi dobbiamo avvertire con forza l’esigenza del ‘fare’.  Del fare subito.

Questa sensazione di urgenza,  nasce dalle stesse condizioni in cui versa il Paese  (e che noi come  il suo  Governo, Presidente, ci troviamo  a dover affrontare).

Noi non accettiamo l’idea di una perdita di competitività e centralità dell’Italia; noi non accettiamo  neppure l’idea del sorpasso della Spagna domani, piuttosto che della Grecia dopodomani. 

Questo Paese e la sua  gente devono ripartire noi siamo pronti a fare la nostra parte, per quello che ci spetta, per il contributo che possiamo dare, unendoci a tutta quella gente che non si tira indietro, che non sa stare alla finestra. 

Dai primi giorni di impegno di questo Governo traspare una voglia forte  di fare e di fare in fretta.

Questa voglia è anche la nostra voglia. 

E’ la voglia di Coldiretti!

Registrato presso il Tribunale Civile di Roma, Sezione per la Stampa e l'Informazione al n. 367/2008 del Registro della Stampa. Direttore Responsabile: Paolo Falcioni.
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