il Punto Coldiretti

Crisi globale, una lezione per tutti

La trascrizione dell’intervento del presidente di Coldiretti Sergio Marini al Convegno nazionale dei Consiglieri ecclesiastici 

Il tema del XXXVI convegno nazionale dei consiglieri ecclesiastici: “Solidarietà: le ali della speranza. Etica ed economia oggi” è fortemente impegnativo, ambizioso, coraggioso, ma anche particolarmente attuale svolgendosi a poche settimane dalla pubblicazione dell’enciclica di papa Benedetto XVI “Caritas in veritate”. La domanda che ci facciamo, alla luce di quello che sta succedendo ed è successo nei mesi scorsi, ma anche da qualche anno a questa parte, è se possano camminare insieme etica ed economia. Le esperienze degli ultimi anni non sembrano incoraggianti e ci chiediamo se le forze sociali di rappresentanza, e tra queste la Coldiretti, abbiano fatto abbastanza per contrastare una deriva che è ormai sotto gli occhi di tutti.

Personalmente ritengo che non si sia fatto abbastanza perché in questi anni il mondo della rappresentanza ha accettato supinamente, come se fosse una verità assoluta, una sorta di semplificazione in economia che indirettamente ci ha portato anche ad accettare le conseguenze e gli egoismi scaturiti da tale semplificazione.

Si è ritenuto che le leggi di mercato fossero sufficienti da sole a regolare il mercato stesso. Ci siamo tutti convinti che la domanda e l’offerta da sole potessero governare tutto.  Ciò che ne è conseguito è sotto gli occhi di tutti. Ne è conseguita una speculazione, non solo economica, su tutto: sulle materie prime, sul cibo, sull’energia, sui terreni, sui debiti della gente. Se non fossero esplose le bolle degli ultimi mesi, noi, come forze sociali che in qualche misura avremmo dovuto mitigare questo fenomeno, ci eravamo quasi convinti che la speculazione fosse un prezzo giusto da pagare visto che era giusto e vero l’assunto che il  mercato potesse essere governato soltanto dalla domanda e dall’offerta. Il denunciare questa situazione è stata una nostra grande responsabilità.

Ma c’è stata anche un’altra semplificazione. Ad un certo punto ci hanno fatto credere che la globalizzazione fosse un bene assoluto, in quanto globalizzazione significa tante cose buone, ma soprattutto che la globalizzazione significasse andare a produrre là dove costa meno. E pertanto là dove costa meno il lavoro, là dove si può fare dumping ambientale, là dove si può fare dumping sociale, là dove si può fare dumping sanitario. Il risultato è stato che la globalizzazione ha portato lo sfruttamento. Semplificando, noi abbiamo accettato il meccanismo in base al quale la globalizzazione è diventata sfruttamento. Non solo sfruttamento, ma per buona parte è diventato sfruttamento.

Un’altra semplificazione che ha regolato e ancora sta regolando l’economia mondiale è quella della dimensione. Il grande – si è detto – è sempre un valore positivo perché il grande consente le economie di scala. Le grandi imprese, le multinazionali possono, realizzando economie di scala, essere più efficienti del piccolo. E’ un valore assoluto che ci hanno indotto ad accettare. A prescindere dai risultati nel breve e nel medio periodo, l’idea che ci siamo fatti è che nel lungo periodo il grande potesse premiare sempre e comunque. E pertanto abbiamo pagato il prezzo che il grande comporta, con economie locali che sono morte in Italia e nel terzo mondo anche per quanto riguarda l’agricoltura, creando ulteriori problemi di denutrizione. E ciò perché quegli spazi sono stati gestiti da grandi multinazionali.

Questo meccanismo l’abbiamo accettato perché abbiamo pensato che nel lunghissimo periodo avrebbe comunque portato un benessere. Ma i risultati non ci sono stati nel breve, nel medio ed anche nel lungo periodo e tutto questo benessere noi non lo vediamo. Ma anche in questo caso, il grande errore è stato quello di accettare la semplificazione: il grande è comunque un elemento positivo.

Ma ciò è gravissimo – e questo l’enciclica “Caritas in veritate” lo evidenzia in maniera molto chiara – perché poi, quando si è grandi, l’unico fattore della produzione che necessita di forte concentrazione è il capitale ed è evidente che si sia attenti solo alla sua remunerazione del capitale, al profitto, per cui tutti i sistemi di redistribuzione del reddito crollano. E’ questo un prezzo che noi abbiamo pagato.

Ma, derivante da questa, c’è un’altra semplificazione che noi abbiamo accettato: visto che l’economia è veloce, bisogna essere in pochi a decidere, anzi in uno possibilmente per decidere più rapidamente possibile. Non stiamo parlando della politica, ma dell’economia. I grandi sistemi che fatturano miliardi e miliardi di euro sono governati da una persona, da un unico amministratore, unico delegato, sia nell’economia italiana dove le aziende non sono immense sia nell’economia internazionale.

Con questo sistema, viene deciso tutto e il contrario di tutto. E siccome l’uomo è debole e spesso è anche portato al peccato è facile, probabile e possibile che si cerchi di far coincidere l’interesse personale con quello dell’azienda. E se l’interesse personale, ad esempio, è quello di essere remunerati in base a come vengono rivalutate le azioni, è evidente che l’impegno dell’amministratore delegato sarà quello di far crescere il valore delle azioni. L’obiettivo aziendale di mantenere l’azienda in vita sì lo persegue, ma se poi le condizioni di mercato non lo permettono bisognerà fare delle operazioni poco trasparenti per raggiungere l’obiettivo di bilancio in maniera tale che l’azione valga sempre di più.

Ed è evidente che quando risulta difficile nascondere anche con operazioni poco chiare il bilancio dell’azienda si va oltre, si inizia ad inventare delle operazioni ed anche i sistemi di controllo, visto che si decide da soli, vengono tolti di mezzo. Le grandi banche sono fallite perché uno solo comandava e tutti gli altri non sapevano e perché i sistemi di controllo erano stati molto, ma molto ridimensionati. Anche questa è una semplificazione. L’economia moderna l’abbiamo messa dentro questo meccanismo. Per essere più veloci facciamo comandare soltanto uno e non ci poniamo il problema delle conseguenze che si possono verificare quando soltanto uno è al comando.

Il sistema è crollato anche per questo. E in tutto questo meccanismo, le forze intermedie, cioè coloro che rappresentano direttamente la gente, che avrebbero dovuto controllare, mitigare questi fenomeni, li hanno supinamente accettati e i comportamenti sono facilmente catalogabili. Cosa hanno fatto le strutture di rappresentanza, le forze sociali, i sindacati e le organizzazioni professionali? Una prima categoria ha abdicato completamente alla rappresentanza, si è completamente distaccata sia dal rappresentare gli interessi particolari degli associati sia dal trovare un confronto diretto e costante con la società. Nella migliore delle ipotesi sono diventate organizzazioni che fanno servizi al socio, come avviene in uno studio professionale allargato, di valenza nazionale o internazionale. Non hanno neanche provato a giocare la partita. Ce ne sono di grandi e di piccole che hanno completamente abdicato al loro ruolo.

In altre situazioni ci si è chiusi nel corporativismo, nel senso che piuttosto che scegliere l’apertura verso la società dei cittadini tutti, per cui anche verso la politica e le istituzioni per un confronto dialettico, si è preferito chiudersi dentro gli interessi dei pochi o tanti rappresentati. Questa scelta è stata ed è deleteria rispetto al ruolo che si potrebbe avere per controbilanciare i fenomeni accennati, perché è evidente che quando si è così corporativi né si è utili per chi si rappresenta, perché in tale situazione i rappresentati non ne traggono alcun beneficio, tanto meno si è utili per il sistema al quale non si porta alcun contributo.

Altre rappresentanze hanno individuato una terza strada con il prevalere del leaderismo mediatico. In questo caso la scelta è stata esattamente opposta. Invece che calare nel corporativismo e quindi collegarsi fortemente con i rappresentati ed esaurirsi  lì, hanno completamente abbandonato i rappresentati, sono diventati un corpo estraneo rispetto ad essi e si sono messi a dialogare con la società di tutto e del contrario di tutto. E i risultati quali sono stati? Zero nei confronti dei rappresentati che molto spesso si sono trovati a pagare un quantum, una tessera soltanto per quieto vivere. Ma anche per la società questo è drammatico, perché chi è leader nella comunicazione, chi è leader soltanto mediatico dice soltanto quello che la gente si vuol sentire dire. E pertanto non serve a niente. E’ pericolosissima questa fattispecie che è stata la scelta che buona parte della rappresentanza ha messo in piedi nel momento in cui probabilmente bisognava dire qualcosa di forte e di serio rispetto al come stata andando il mondo.

E’ possibile una quarta via rispetto a queste opzioni? Secondo me è possibile, è auspicabile  e alcuni nel nostro Paese, alcuni nel mondo l’hanno intrapresa. Ma servono alcune condizioni, a mio avviso necessarie, per intraprendere la strada del giusto equilibrio tra la rappresentanza degli interessi di chi direttamente è rappresentato, l’attenzione agli interessi generali e la capacità di dialogare legittimamente ed autorevolmente sia con il mondo economico, sia con il mondo della politica. E’ il giusto equilibrio al quale si richiama anche l’enciclica di Benedetto XVI.

Servono quindi dei prerequisiti sui quali stiamo cercando di portare la Coldiretti, probabilmente sbagliando, certamente convinti che si possa fare molto meglio, sicuramente tirandoci addosso critiche. La Coldiretti come organizzazione sindacale e rappresentanza non è esente dai mali cui ho fatto prima riferimento. Quando noi abbiamo più o meno accettato che il mercato dovesse ricercare da solo un equilibrio, ne abbiamo pagato pesantemente le conseguenze, perché oggi il problema non è solo il mercato globale.

Le difficoltà che stiamo vivendo nel nostro Paese sono quelle di un sistema in cui il poco potere contrattuale della parte agricola porta a fenomeni speculativi da parte della filiera, di una mancanza di regole che regolano il mercato che porta al fenomeno della contraffazione, i due grandi furti che continuamente denunciamo.

L’agricoltura non va male per la crisi internazionale perché se i consumi non diminuiscono al mercato o diminuiscono molto poco, se il “made in Italy” alimentare nel mondo comunque tiene e se i prezzi al consumo non calano, è evidente che gli effetti negativi dell’economia internazionale sul prezzo delle materie agricole non sono legati alla crisi internazionale, sono legati ad altre questioni, ai due grandi furti che denunciamo sempre: il furto di identità legato alla contraffazione del made in Italy e il furto del nuovo poteri dell’economico, soprattutto quello della grande distribuzione.

E’ questo il conto che noi paghiamo per aver accettato che ad un certo punto si potesse far a meno di mettere delle regole sul mercato lasciando a domanda e offerta il compito di trovare i giusti equilibri. Questo è mercato. Un mercato senza regole, condannabile, ma è mercato. Alla fine è uno scotto che paghiamo. Evidentemente ad un certo punto anche noi siamo scaduti nella logica di un’organizzazione molto portata al rapporto con i soci per fare i servizi.

E sarà successo che qualcuno avrà sentito i nostri soci lamentarsi che la Coldiretti era diventata poco più di un ufficio di commercialista dove andare a sbrigare qualche pratica. Anche noi abbiamo rischiato di scadere. Senza mai arrivare ad abdicare, ma evidentemente avvicinando questo rischio. Abbiamo evitato il rischio corporativismo perché ci siamo ribellati, ma altri vi sono caduti dentro, diventando soggetti completamente inutili rispetto al contributo che un soggetto di rappresentanza può e deve dare rispetto all’economia che viene avanti.

Se vogliamo intraprendere la strada del giusto equilibrio rispetto a tutte le funzioni, come soggetto veramente intermedio legittimato a discutere di tutto e ad ogni livello territoriale, dal singolo comune sino a livello internazionale, occorrono alcune condizioni sulle quali ci siamo mossi. La prima è di carattere dimensionale. Le dimensioni di un’organizzazione di rappresentanza sono fondamentali. Se si è troppo piccoli, se si rappresenta poche persone è facile cadere nel corporativismo, se non nel familismo, per cui un’organizzazione ha necessità, se vuole intraprendere il nuovo ruolo che gli compete nella società, di avere dimensioni adeguate. Di qui il nostro progetto di accrescere la rappresentanza verso la filiera ed anche di accrescere la rappresentanza con il contatto verso soggetti che noi abbiamo messo nel nostro sistema, ma che non sono agricoltori, come i cittadini consumatori. Ed ecco il ruolo della fondazione Campagna Amica.

Dobbiamo diventare un’organizzazione che si confronta con soggetti diversi, anche se appartenenti alla stessa filiera della produzione e del consumo agroalimentare. Stare dentro questo sistema è una condizione necessaria per evitare di cadere nel sistema corporativo. E’ costoso, faticoso, impegnativo, lo sappiamo, ma tutti i processi di aggregazione, di accorpamento e di relazione che stiamo mettendo in atto in questi mesi, dalla filiera, ai consorzi agrari, alla cooperazione, alla vicinanza con alcune organizzazioni di rappresentanza della cooperazione stessa, fino all’avere un ruolo diretto nei momenti distributivi come con i farmers markets, sin dentro il sistema della Fondazione Campagna amica che è un’associazione di consumatori e di cittadini, servono per far raggiungere alla nostra organizzazione quella dimensione che le permette di essere fuori da tentazioni corporative.

Poi bisogna trovare il meccanismo per evitare di cadere nel leaderismo mediatico. Da questo rischio si esce con un progetto, perché un progetto come il nostro, che interessa la filiera agricola italiana, comporta alcuni obblighi che vengono naturalmente. Quando si ha un progetto si è costretti a parteciparlo e parteciparlo agli associati significa non poter fare leaderismo mediatico, perché poi l’associato conosce quello che gli hai raccontato e quello che racconti a terzi deve essere coerente con quello che racconti all’associato. Il progetto, poi, deve essere condiviso dall’associato che deve partecipare alla sua realizzazione. Quando si ha la forza e il coraggio di raccontare quello che si vuole fare, ci si presta ad un rischio enorme che pochi vogliono correre: quello che dopo sei mesi qualcuno voglia fare una verifica e vedere a che punto si sia arrivati rispetto al percorso prefissato.

Avere un progetto, con il contributo di tutti, discutibile, migliorabile, modificabile è un’altra condizione necessaria per un’organizzazione di rappresentanza che voglia fare un salto di qualità. E dentro al progetto è evidente che si innesca un altro meccanismo. Quando il progetto deve essere compreso e condiviso da una ampia fetta della società è evidente che non può riguardare interessi particolari, perché noi non possiamo pensare di dialogare con i cittadini, con la filiera e con i produttori agricoli se il progetto riguarda solo gli interessi dei produttori agricoli. La grande rappresentanza, la rappresentanza trasversale, le dimensioni della rappresentanza ti costringono a fare un progetto che non sia corporativo, ma per la gente tutta, un progetto di crescita per la società.

La dimensione di un progetto costringe a trattare temi di carattere generale, cioè interessi generali. E in effetti noi non parliamo più solo di agricoltura o di produzione di grano, ma parliamo di cibo, un termine universale che riguarda tutti ed al quale tutti sono interessati.
Probabilmente pochi sono interessati a sapere se il grano costa 12 o 15 euro, ma molti sono interessati a sapere quanto costano il pane e la pasta e se i pastifici hanno speculato come  le pagine dei giornali ci dicono. L’avere un progetto e avere aperto un dialogo con la società ci costringe – e questo è un valore positivo – a discutere di temi che hanno un interesse generale. Se queste condizioni vengono realizzate, se questi assetti non vengono soltanto enunciati, ma vengono concretizzati, allora un’organizzazione professionale come la Coldiretti diventa veramente forza sociale.

Solo allora un progetto che è partito come progetto economico per tutelare gli interessi legittimi di chi paga la tessera, e che pertanto vuole essere rappresentato, diventa un progetto per la società, un progetto culturale.
Mi auguro che, visto come va l’economia nel mondo,  il percorso che abbiamo preso come Coldiretti sia il percorso delle rappresentanze non solo del Paese, ma anche  a livello globale. Solo così riusciremo a colmare quel deficit di ruolo che ormai i Governi hanno assunto pienamente rispetto alla regolamentazione comunitaria. Sono preoccupato del fatto che, una volta usciti dalla crisi, non si realizzi quella rivisitazione del modello economico di cui tutti abbiamo bisogno.

Ad esempio, non è vero che oggi il sistema bancario sia molto cambiato. Hanno giustamente messo qualcuno in galera perché ha mandato sul lastrico la gente, hanno diminuito gli stipendi dei manager legati alle azioni, anche perché oggi le azioni non valgono più niente, ma non abbiamo la precisa convinzione che passata la crisi non si torni esattamente alla stessa situazione di prima. Perché se non si è avuta la forza di mettere mano alle speculazioni bancarie e alla speculazione sul cibo nel momento in cui i soggetti che le hanno originate erano fortemente deboli, temiamo che nel momento in cui questi soggetti avranno riassunto il ruolo di centralità e di governo dell’economia, i Governi riusciranno ancora di meno ad agire.

E questo è un elemento di preoccupazione che ci impone di essere pronti per funzionare noi da supplenti. E’ il nostro ruolo di forza sociale, è il nostro ruolo di cristiani, di gente impegnata per il bene comune.               

Registrato presso il Tribunale Civile di Roma, Sezione per la Stampa e l'Informazione al n. 367/2008 del Registro della Stampa. Direttore Responsabile: Paolo Falcioni.
2008 © Copyright Coldiretti - powered by BLUARANCIO S.p.A. | Redazione contenuti

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi