il Punto Coldiretti

Il vino smentisce i detrattori della filiera agricola tutta italiana

La sintesi dell’intervento al Vinitaly del presidente di Coldiretti Sergio Marini

Se c’è un settore che rappresenta al meglio la filiera agricola tutta italiana, quello è senza dubbio il vino. In effetti, a pensarci bene, non c’è settore in cui la filiera sia più “agricola”, vale a dire in cui la parte agricola abbia conquistato spazi e protagonismo fino al mercato. E non c’è settore in cui la filiera sia più “italiana”, in quanto il vino è riuscito a valorizzare al meglio l’uva italiana – solo italiana! – e la leva distintiva del territorio, inteso nella molteplice accezione di cultura, relazioni, imprese, persone.

I numeri ci danno ragione: quest’anno il vino ha segnato un più 12% di export, superando – unico caso nell’agroalimentare – il consumo interno. In assoluto, è il “più italiano” di tutto l’export agroalimentare, perché fino a prova contraria il vino italiano è fatto con uva italiana. Ecco, quindi, che viene smentito quel dogma secondo cui la possibilità di crescere nei mercati mondiali sarebbe legata alla “ricetta” italiana e alla materia prima straniera. Il vino ci dimostra il contrario: la filiera fatta tutta di italianità è la vera opportunità.

Seconda “verità assoluta” e seconda smentita: “per competere nel mondo bisogna per forza essere grandi”. Il vino ci dice l’opposto: l’aumento di export è generato soprattutto dalle piccole imprese (più 16%, contro il più 8,5% delle grandi). Chi fa la scelta di essere diverso e migliore, legandosi al territorio, solo successivamente si pone la questione delle dimensioni. Viceversa, chi ha cercato solo la dimensione delle economie di scala, rinunciando a puntare sulla distintività ha perso, come purtroppo è spesso accaduto alle cooperative vitivinicole italiane.

Questo vale anche per le scelte di questi giorni del governo e delle parti sociali, rispetto al caso Parmalat. Il vero aspetto strategico non è la dimensione, ma la capacità di valorizzare il latte italiano. Coldiretti, quindi, è disposta ad accompagnare un piano industriale che preveda la valorizzazione del latte italiano e del suo prezzo per i produttori. Ma se si pensa di salvare l’italianità di Parmalat che, così come è oggi, paga il latte meno degli altri e poco acquista in Italia, per noi quella italianità non è interessante ed  è poco strategica!

Terzo dato interessante: il 15% del vino italiano viene venduto direttamente e rappresenta il 40% di tutta la vendita diretta in Italia (ovvero il 30% del vino italiano venduto in Italia). Ora, vista la portata economica di questo dato e il fatto che siano anche grandi aziende a commercializzare direttamente, tutti quelli che ritenevano la vendita diretta marginale si devono ricredere. E’ l’unico sistema distributivo che unisce al valore economico un grande valore comunicazionale. E, ancora una volta, il vino anticipa e conferma il progetto di filiera agricola italiana, in particolare i mercati degli agricoltori e la vendita diretta organizzata.

Quarto aspetto: i numeri fanno emergere anche una preoccupante tendenza all’aumento del segmento di mercato della GDO, attraverso etichette di proprietà, che sfruttano solo come spot il territorio per guadagnare di più finché dura.  E’ un vero e proprio furto di identità che va smascherato e combattuto, perché altrimenti si rischia di annullare 25 anni di sforzi per la qualità e la distintività. Per chi come noi, opera sul lungo termine per creare sviluppo nei territori, questi comportamenti di alcuni gruppi della GDO sono da combattere. Ancora una volta, il sistema vino anticipa e conferma il rischio che andiamo denunciando da tempo e che traguarda tutti i settori dell’agroalimentare.

Quinta considerazione: il ruolo della politica comunitaria. Anche nel vino Bruxelles dimostra tutte le contraddizioni che emergono quando si tratta di valorizzare distintività e qualità. In effetti, se oggi si considera lesivo della libera concorrenza scrivere da dove viene un prodotto, mentre non lo è aggiungere zucchero nel vino senza dichiararlo, allora significa che a Bruxelles abbiamo dei nemici o per lo meno delle persone che non sanno rappresentarci!

Infine, la questione della burocrazia. Nel caso del vino si sta tirando troppo la corda. Questa è la burocrazia “cattiva”, che fa morire le imprese e che nulla ha a che vedere con la fondamentale tutela della qualità, distintività e sicurezza alimentare. Ci sono realtà in cui è diventata talmente complicata questa burocrazia, che diventa conveniente addirittura uscire dalle denominazioni di origine. Questo è un modo subdolo per uccidere il progetto di filiera agricola tutta italiana che non possiamo tollerare.

In questo scenario complesso serve tanta buona volontà e una forte dose di ottimismo, perché quando penso al futuro del nostro Paese, nonostante tutto, vedo comunque il vino, l’agricoltura e l’agroalimentare italiano come capisaldi dell’economia.

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