il Punto Coldiretti

Una filiera tutta agricola e tutta italiana

L’Assemblea elettiva rappresenta uno dei momenti più alti della vita democratica dell’organizzazione e, considerato il peso rappresentativo ed organizzativo di Coldiretti, quella odierna è una giornata che entra di diritto nell’agenda non solo agricola 2009 del nostro Paese.

Un milione e mezzo tra imprese e famiglie associate, due milioni di aderenti alla Fondazione, oltre il 70% dell’agricoltura Italiana e una parte crescente  dell’agroalimentare: questa è Coldiretti oggi. E domani, non ho dubbi , sarà ancora di più.

E allora il mio, e sono sicuro anche vostro, primo pensiero, non può che andare a tutti coloro che ci  hanno   dato  l’onore  e l’onere di rappresentarli, non solo qui oggi, ma  in qualsiasi momento e luogo della nostra Coldiretti. Ogni passo di questa relazione, così come ogni azione che progettiamo e realizziamo, non avrebbe alcun senso se non trovasse approdo vero  ed ancoraggio leale in chi annualmente rinnova un’adesione sempre più carica di oneste e legittime aspettative.

Allo stesso modo, mi preme ringraziare, e lo faccio insieme a tutti voi,  i tanti nostri collaboratori, che in ogni angolo del Paese, in ogni giorno dell’anno danno respiro e forma alla nostra Coldiretti.

A tutti loro, così come a tutti e a ciascuno di noi, è assegnata la responsabilità di costruire il futuro non solo dell’agricoltura italiana, ma di un pezzo importante dell’economia, della vita sociale e dei territori del nostro Paese. Anche per questo oggi è un giorno importante.

Mondo Paese: la crisi come opportunità

E’ indubbio che questa nostra  Assemblea  si collochi in una stagione fra le più difficili che il Paese abbia attraversato dalla fine della guerra ad oggi.  E di certo non ci consola che sia così anche per il resto d’Europa, gli USA e le altre grandi potenze mondiali.

Quella che stiamo attraversando è una crisi planetaria che ha più radici.

Una strettamente economica, legata a processi di finanziarizzazione, cioè al ricorso sistematico di aziende e persone all’indebitamento.

In pratica, è come se ci fossimo  mangiati il futuro, come se avessimo  consumato  il raccolto prima ancora di seminare. Noi, abituati  da sempre a fare il contrario,  di fronte a cotanta fantasiosa modernità, ci siamo sentiti per un po’ di appartenere  alla preistoria dell’economia.
Gli esperti ci lasciavano intendere, che non stavamo capendo niente! Beati loro!

Sta di fatto che si è creata una massa di ricchezza ‘fittizia’, di cui ora paghiamo tutti le conseguenze. Ma non tutti  alla stessa maniera: noi, legati “arcaicamente” a cose reali e concrete come la terra e il cibo, ne pagheremo di meno ! Perché tutto ciò ridarà   centralità  all’agricoltura,   prima generatrice di economia reale.

Una seconda radice della crisi è di tipo sociale, perché milioni di cittadini, risparmiatori e non, sono stati indotti o hanno voluto credere che consumi e  standard di vita potessero moltiplicarsi e crescere a dismisura, indipendentemente dalla ricchezza reale prodotta.  Con il risultato che  oggi molti sono  pieni di debiti! Anche noi a volte lo siamo, ma i nostri “debiti” sono investimenti, sono risorse destinate a  realizzare cose vere che rimangono.

Un’ulteriore chiave di lettura è legata alle relazioni umane, perché l’emergere della bolla speculativa degli immobili, dei prodotti energetici, di quelli alimentari, ha fatto abbassare le “difese immunitarie” delle nostre società e ha fatto  venire meno quegli standard di onestà e fiducia reciproca, che sono essenziali alla produzione e allo scambio di ricchezza. Ma fiducia ed onestà sono due qualità nel DNA del mondo agricolo, che ci siamo tenute strette negli anni, anche quando i soliti esperti ci consigliavano furbizia e spregiudicatezza. Se la nuova economia sarà fondata su fiducia e onestà noi siamo pronti, molto più di altri.  Anzi non vediamo l’ora di cominciare.

Infine, vi è una radice ‘politica’ della crisi: perché è la politica globale ad aver rinunciato in questi anni   al proprio ruolo di arbitro che stabilisce regole del gioco  sensate, uguali per tutti e che tutti sono chiamati a rispettare. Non una politica che si sostituisca al mercato, come quella agricola dei decenni scorsi, ma neanche una politica così assente da permettere, ad esempio, a pochi speculatori di arricchirsi sul cibo mentre milioni di persone morivano  di fame. Insomma, è  una politica delle regole quella di cui il mondo ha bisogno. Ed anche  qui ci sentiamo pronti, perchè  quella delle regole giuste per tutti è  la politica che sempre noi abbiamo invocato e ricercato, e che oggi per cause di forza maggiore dovrà ricostituirsi, a cominciare dal prossimo G8.

Per tutte le ragioni che ho illustrato, ritengo che questa crisi, forse lunga e dai connotati inediti, potrebbe avere per il  nostro mondo e per le nostre imprese anche un carattere salutare; può rappresentare  una occasione unica, e forse irripetibile, per ridare alle cose un nuovo ordine dove verità e concretezza  riacquisiscano il primato su falsità e finzione. 

Crollano uno alla volta  i miti della prima globalizzazione , ovvero la grande dimensione come prerequisito per competere , la finanziarizzazione di ogni sistema come misura di modernità, l’omologazione come unico modello culturale ed economico vincente. Di converso, riassumono centralità i valori veri dell’agire di ciascuno di noi :  la responsabilità, l’affidabilità , l’etica dei comportamenti. E ancora, si recupera pienamente la dimensione dell’identità come qualificazione positiva della persona, dei territori, di tutto ciò che è vero e che non può essere scambiato per altro.

Ora, se la crisi dei consumi ha una forte componente legata al crollo di fiducia, il fatto che nei primi dieci mesi del 2008, le esportazioni dell’agroalimentare italiano siano quelle con un segno positivo più alto e  che i consumi alimentari interni, a differenza di altri settori, siano gli unici che complessivamente abbiano retto, è una conferma di quanto siano ritenuti affidabili la nostra agricoltura, il nostro modello agricolo  e il nostro cibo, in Italia e nel mondo.

Questo effetto traino è il migliore riconoscimento per chi, come noi, da anni è impegnato a costruire un rapporto di fiducia vero con la gente, basato su presupposti oggettivi. E’ il riconoscimento al  nostro progetto di rigenerazione dell’agricoltura e al suo formidabile strumento di dialogo con i cittadini che è Campagna Amica, con tutte le sue articolazioni operative (dai farmer’s market, al Km 0).

Ogni tassello di solida fiducia e consapevolezza che costruiamo intorno al nostro cibo e ai nostri stili di consumo è evidentemente un buon modo per farci apprezzare prima  in Italia e poi nel  mondo.
E noi lavoriamo per questo!

Allo stesso modo, però, ogni bugia o mancata verità sacrificate in nome del mercato, oggi più che mai, potrebbero avere un prezzo salatissimo.
E noi lavoriamo contro questo!

Noi lavoriamo per costruire fiducia vera su ciò che produciamo, questa è la migliore ricetta per penetrare i mercati mondiali. Questo è quanto rispondiamo a tutti i noti esperti che considerano il progetto di rigenerazione ininfluente sul tema dell’export.

Ed ancora, la nostra agricoltura produce maggior valore aggiunto per ettaro di quelle di tutti gli altri Paesi.
Noi rappresentiamo piccole, medie e grandi imprese. Ma  la dimensione ridotta, in alcuni casi,  anziché essere un limite si sta dimostrando addirittura un vantaggio.

Se ne sono accorti i giornali (e presto forse ne prenderanno maggior coscienza anche gli economisti, gli studiosi e i decisori politici), sottolineando come il nostro settore mostri una forte capacità di resistenza alla congiuntura,  ricollegandolo  – lo ha fatto De Rita – ad un sistema di imprese decisamente più piccole rispetto a quelle delle altre economie.

Altro che nanismo come fattore di criticità del nostro sistema agroalimentare, come qualcuno ancora oggi, con in testa la realtà economica degli anni Settanta, va raccontando !
L’attuale congiuntura economica, dunque,  proprio perché svela – scioglie il vero dal falso, ciò che conta da ciò che è effimero – costituisce per noi una straordinaria opportunità.

Ma occorre cogliere anche un’ulteriore occasione che la crisi porterà con sé.
Se  il tema del cibo e, quindi, della produzione agricola, dei suoi intrecci con la trasformazione e la produzione alimentare e infine la distribuzione, è destinato ad assumere sempre più peso sul nostro Pianeta, è immaginabile che il rapporto fra vero e falso, ricchezza costruita su valori fittizi e produzione di valori autentici si riproporrà con forza.

Come è accaduto per la speculazione sugli immobili, piuttosto che  sull’energia, o sul prezzo dei cereali, potrà accadere che la stessa bolla del finto Made in Italy all’improvviso si sgonfi.  Quel giorno  le imprese – e noi ci sentiamo tra queste – che avranno operato con correttezza, che avranno costruito percorsi innovativi di rapporto con il consumatore, avranno solo che da guadagnarci. Quel giorno finirà il commercio di barattoli finti incartati di fiducia vera!

Finirà il commercio di quell’olio incartato di “italianità” che più non si può, e che non  siamo riusciti a capire né da  dove viene e neanche con cosa è fatto!

Finirà il commercio di quelle  montagne di carne suina straniera che l’aria   buona del nostro Paese, ci vogliono far intendere, trasformerebbe in   prosciutti e salumi  “nostrani”!

Finirà il commercio  di  quelle cagliate anonime  in giro per il mondo che arrivano qui e si mascherano da formaggi tipici, perché, lo sappiamo, per un certo agroalimentare il Carnevale dura tutto l’anno!

Finirà il commercio di quelle tante tonnellate di cibo avariato e scaduto, come quello provvidenzialmente sequestrato in questi giorni dai NAS.

La crisi che abbiamo di fronte, dunque, potrà anche avere effetti positivi e, comunque, per quanto ci riguarda, non può e non deve costituire un alibi per distrarci dai  problemi veri, anzi dalla vera questione.

I prezzi dei nostri cereali, del nostro olio, della nostra carne e del nostro latte, della nostra ortofrutta, e del nostro florovivaismo, del nostro vino e dei nostri formaggi non sono troppo bassi per via della crisi. Certo la crisi avrà ripercussioni, ma non è questo il punto!

I prodotti alimentari continuano ad essere acquistati e ben  pagati dai consumatori. Se fosse la sola crisi a dettare le regole, ad esempio, nel caso della pasta  crollerebbero prima i consumi, poi  i prezzi e solo dopo il valore dei cereali.

Qui è accaduto l’opposto, anzi, il paradossale contrario dell’opposto: c’è difficoltà nelle famiglie e, dunque,  il prezzo della  pasta è aumentato con conseguente  crollo dei  cereali . Assurdo! Altro che effetto crisi sull’agricoltura! E’ come se dicessi: c’è il sole, pertanto piove, dunque lascio a casa l’ombrello.

La questione, la vera questione agricola, quella dei bassi prezzi dei nostri prodotti, risiede nel fatto  che a noi non arriva niente, perché non abbiamo  potere contrattuale sulla filiera.  Una volta è la trasformazione, una volta l’intermediazione, una volta (quasi sempre) la GDO; sta di fatto che c’è sempre qualcuno a dettare le regole. Qualcuno che sa ben vendere la fiducia e la qualità che noi abbiamo prodotto, ma che ha imparato ad incartare, con la stessa fiducia,  barattoli “anonimi”!

Di questo siamo perfettamente consapevoli e contro questo abbiamo lavorato , stiamo lavorando e ritengo dovremo lavorare in futuro. Il nostro è stato un percorso coerente,  consequenziale, mai improvvisato.

Abbiamo, prima,  lavorato per costruire  un rapporto vero, leale e sincero con i consumatori ed i cittadini, cercando di leggerne bisogni ed aspettative, dando vita al Patto con il Consumatore.

Abbiamo, poi,  rafforzato l’affidabilità e la credibilità della nostra agricoltura, dando contenuto vero ai valori distintivi e positivi che ci appartengono, e questo con la prima fase della rigenerazione.

Abbiamo, dunque, cercato di stringere  un patto con la filiera ( secondo patto) con il duplice obbiettivo, di trasferire intatti i valori della nuova agricoltura ai consumatori e di riposizionare il  potere negoziale agricolo rispetto agli altri attori di filiera.

Il secondo patto non ha funzionato, direi per penuria di “alleati”. A quel punto avremmo potuto anche fermarci: c’erano un problema, un colpevole, e mille tavoli per poter passare il tempo. Ma questo modo di fare non ci appartiene, noi dobbiamo  dare risposte, non trovare alibi. Occorreva, perciò, una “fase due” del progetto di rigenerazione. 
Ed  eccoci, allora, a questi due anni passati insieme.

Coldiretti: la paura appartiene agli ‘altri’

Era il febbraio di due anni fa quando accennammo per la prima volta  alla seconda fase della rigenerazione. Nella mia relazione di insediamento osservavo che “sarà interessante capire come la seconda fase della rigenerazione verrà letta da chi è oggi fuori da Coldiretti, e verificare come cambierà il potere negoziale di Coldiretti sui tavoli a valenza economica”. Ebbene, debbo dire che non siamo stati delusi. Le letture e le reazioni esterne non sono mancate.

Certo, sarebbe  stato tutto più  comodo se avessimo continuato a perdere spazi di rappresentanza sull’economico, invece di associare consorzi e cooperative, e lo stesso se ci fossimo tenuti  lontani da un confronto virile con la  politica,  puntando magari su pomposi  e sterili accordi “a perdere”, chiusi in altrettanto pomposi e pericolosi tavoli della finta concertazione.  Ma noi siamo fatti così, e, quando serve, non siamo capaci di tirarci indietro!

Finché si è trattato di costruire una nuova agricoltura e un diverso rapporto con i consumatori, finché, insomma, siamo rimasti entro i confini della prima fase della rigenerazione, nessuno ha avuto niente da dire. Anzi, quali generatori di fiducia gratis, la politica e la rappresentanza apprezzavano il nostro lavoro. Eccome!

In effetti, più noi crescevamo, più i barattoli anonimi incartati della nostra fiducia aumentavano di valore. Ma quando abbiamo preteso che anche gli altri applicassero il nostro “ben fare” (il secondo patto, appunto) per farlo arrivare integro e vero sino ai cittadini con i quali avevamo assunto un impegno, le cose sono cambiate. E sono cambiate a cominciare proprio dalla politica, che evidentemente aveva un altro disegno, diverso da quello che raccontava ai media e nei tavoli.

In quel preciso momento, la seconda fase della rigenerazione era cominciata davvero!
Il primo di questi  due anni è passato attraverso un conflitto che ci ha visto contrapporci  ad una gestione politica mirata soprattutto  a spezzare il nostro tentativo di recuperare potere negoziale. Un conflitto in cui, per la prima volta, la politica ci è sembrato abbia “usato” forze sociali per contrastare altre forze sociali.

Poi – nell’anno successivo, quello appena  trascorso  –  sono state le forze più conservative della filiera agroalimentare a cercare, nei modi più disparati, di ostacolare il percorso di crescita e di trasparenza che il nostro progetto porta con sé. Era la fine del 2007, avevamo  lanciato per la prima volta   il  progetto di crescita  nella rappresentanza, premessa fondante per la realizzazione  di     una filiera firmata tutta italiana e tutta agricola, non a caso il titolo di questa Assemblea , ovvero, il cuore della nostra  seconda fase della rigenerazione.

Sono dunque passati due anni. Non ci sono più le smaccate interferenze nell’equilibrio economico e normativo del sistema agricolo che hanno caratterizzato questo biennio.  
Ritengo che Coldiretti, abbia in questo periodo dimostrato di saper fare il proprio mestiere fino in fondo e oggi – sia nei confronti della pubblica opinione e dei cittadini consumatori,  sia nei luoghi in cui si decide del peso del mondo agricolo – Coldiretti è più  forte, più riconoscibile, più incisiva e più in grado di far valere il suo valore contrattuale di forza sociale.

Ma noi non siamo qui per menar vanto dei nostri successi.  Ci interessa, invece, assumere insieme piena consapevolezza di chi siamo  e di come  possiamo guardare al futuro con orgoglio e senza paura.

Con orgoglio, perché siamo stati capaci di delineare, difendere e realizzare un progetto realistico, concreto, ambizioso e sostenibile.

E senza paura, perché di questi tempi, la forza della nostra organizzazione, e soprattutto  le attese  dei nostri soci, ci impongono di non averne.

Ma permettetemi ancora una riflessione, prima di guardare avanti.
Tutto quello  che va a ricadere  sotto l’ombrello di ciò che definiamo la seconda fase della rigenerazione,  si nutre di una premessa insostituibile che, io credo, rappresenti l’unicità e la straordinaria originalità del nostro progetto: la scelta di puntare sul grande alleato delle nostre imprese, i cittadini e i consumatori. 

Un patto fondamentale per noi, a cui dobbiamo rimanere fedeli. Lo dico con convinzione. Non esiste seconda fase se non rafforziamo e alimentiamo continuamente di cose vere e concrete quel primo patto con il consumatore.

In questo senso va letta la straordinaria importanza che dobbiamo dare  al progetto “Campagna Amica”  e  alla nostra Fondazione, alla quale abbiamo dato in questi mesi   forma e contenuto,  sulla quale risiede il potenziale di successo del nostro progetto e per la  quale dovremo impegnarci molto di più e meglio.

Torniamo, dunque, a oggi.
Mi sento di poter dire  che siamo giunti ad una fase di svolta, che siamo arrivati ai blocchi di partenza per affrontare la sfida  decisiva: quella della restituzione reddituale alle nostre aziende e all’insieme delle aziende agricole italiane. Perché è inutile che ve lo ricordi: noi siamo un’organizzazione che rappresenta  interessi. E’ su questo discrimine che si gioca la nostra credibilità ed è su questo terreno – sulla capacità cioè di rilanciare il reddito delle nostre imprese – che verremo misurati e giudicati . Ed è giusto così!

Restituire redditività alle imprese

Durante l’Assemblea Nazionale del dicembre scorso abbiamo ampiamente trattato questo tema, e, quindi, mi limiterò a tornare brevemente sull’argomento. Solo 17 centesimi su un euro speso dai consumatori, rimangono nelle tasche degli agricoltori. Alcuni anni fa erano 25. Se non si introducono elementi radicali che invertano le ragioni di scambio, ci sono tutte le premesse perché questo ‘valore’ scenda ulteriormente. Qui non c’entra né la crisi mondiale, né altro: si tratta semplicemente  di una  prolungata rapina.

Una rapina alimentata anche  dalle tante  diagnosi sui mali della filiera italiana, come quella che vi leggo e di cui mi risparmio di citare l’autore: “l’agroalimentare italiano deve essere ripensato in funzione degli obbiettivi della stessa GDO, alti volumi, prodotti sicuri, costanza nelle forniture, tale obbiettivo è raggiungibile attraverso efficienza e organizzazione”.

Ebbene, a parte il fatto che si registra una certa (forse interessata?) evoluzione del pensiero di chi scrive – secondo il quale dovremmo aspirare ad essere non più mezzadri dell’industria come raccontava sino a ieri, ma della  GDO – a parte questo, dicevo, trovo stimolante l’appello a una maggiore organizzazione del sistema, rispetto alla quale vorrei rassicurare l’esperto analista: noi ci stiamo attrezzando e di gran lena, ma in una forma un po’ diversa da quella che lui auspicherebbe.

Perché una cosa è certa, a questa rapina a cui assistiamo tutti i giorni possiamo, vogliamo e dobbiamo mettere fine.
Il contesto non è poi così sfavorevole.
Paradossalmente, ad aiutarci  ci sarà nuovamente la crisi che stiamo vivendo.  Osservava nei giorni scorsi – forse con un po’ di ottimismo – il prof. Fabris, uno dei più grandi esperti italiani di marketing, che “la percezione della incompatibilità di un modello di sviluppo con l’ecosistema… è divenuta ormai patrimonio generalizzato” aggiungendo che rispetto a ciò le imprese avevano smarrito “la loro capacità di ascolto”.

Ebbene, noi in questi anni ci siamo, invece, attrezzati all’ascolto della gente vera.
E abbiamo notato che qualcosa è mutato all’interno del mondo dei consumatori, molto sta cambiando nel profilo e nella filosofia delle aziende agricole, molto nell’immaginario degli italiani. 

E qui mi riferisco soprattutto all’altro ‘furto’ che è stato praticato ai danni della nostra agricoltura, cioè alla sottrazione dei suoi valori veri e alla loro sostituzione con un involucro fantasmatico caratterizzato da massicci, continui e sempre meno sostenibili investimenti pubblicitari. Tutto ciò si sta rapidamente usurando: costa sempre di più  ed è sempre meno efficace.

Inoltre, si intensificano i casi di diffusa ‘insicurezza’ alimentare, i casi di aumenti ingiustificati di prezzi, una progressiva domanda di ‘qualità’ da parte dei consumatori. Questi nuovi bisogni, sempre più trovano conforto nella componente agricola e sempre meno nel resto della filiera.

Si è creato, in sostanza,  uno spazio di intervento sul mercato che può e deve essere occupato direttamente da noi, anche  perché siamo noi e nessun altro che possediamo il più ricco patrimonio agricolo-alimentare, riconosciuto e distintivo, che esista sulla faccia della Terra.

Questo quadro, che ho rapidamente tracciato, pone l’agricoltura italiana in una strana condizione: è come se fossimo una squadra che gioca uno splendido calcio, ma che fa una fatica estrema ad arrivare in area di rigore (direttamente al consumatore).  Quando ci arriva, però, il goal è assicurato. 

E allora questo è il momento di creare le condizioni per fare goal, con sempre maggior continuità. Per far ciò abbiamo fatto una scelta rischiosa, ma al tempo stesso doverosa e inevitabile: ‘portarci la filiera in casa’.

Da questo punto di vista il piano è tracciato. Vi sono, infatti, le condizioni obiettive  per creare una filiera tutta agricola e tutta italiana. Una filiera che ha le sembianze e ‘la firma’ degli agricoltori e degli allevatori italiani. Una filiera che possiede una sua ‘massa critica’, spostando l’ombrello di garanzia  dal  singolo prodotto di ogni parte del mondo alla totalità del cibo dei soli  territori italiani.

Una filiera che  trasferisca  direttamente al consumatore italiano e del mondo valori di genuinità, sicurezza, territorialità, distintività che sono propri della nostra produzione.  
 
L’anno che verrà: dalla narrazione ai fatti

E veniamo, dunque, al tempo che abbiamo davanti. Un tempo che deve segnare il compiuto passaggio dalla narrazione ai fatti. Dall’intelaiatura che abbiamo creato alla compiuta tessitura del nostro disegno. Finora abbiamo segnalato tutti i punti di forza. Credo che sia giusto mettere in evidenza anche i rischi che corriamo, le difficoltà che abbiamo davanti e quindi, in primo luogo, la necessaria tensione che dobbiamo mettere in campo e mantenere.
La prima difficoltà è di ordine ambientale, sistemico. Siamo di fronte a un Paese impaurito, per molti versi stordito da una crisi inattesa per le sue proporzioni e quindi incline a difendersi, a ripiegare su di sé.

Un Paese che, come molta parte del mondo occidentale, rischia di smarrire certezze e ancoraggi. Non possiamo immaginare che questo smarrimento – in misura più o meno accentuata  – non tocchi anche le nostre aziende. In certa misura i dati raccolti dalla SWG testimoniano di un atteggiamento dei nostri imprenditori che tende alla difesa, al rinchiudersi dentro gli steccati della categoria. Ebbene, non possiamo permettercelo,  dobbiamo riuscire ad ogni costo, e in particolare in questo momento, a mantenere alta la soglia di inclusione e di apertura verso il mondo che ci circonda.

Il secondo rischio che corriamo è legato, paradossalmente,  al forte prestigio che ci siamo conquistati in questi anni.  Un prestigio che è fatto di notorietà (crescente anche in quest’ultimo anno) e fiducia (in chiave comparativa con gli altri soggetti economici, sociali e istituzionali presenti nel nostro Paese). 

Si tratta naturalmente di qualcosa che non ci viene elargito in modo gratuito: quanto più alto è il riconoscimento, tanto più alte sono le attese,  quindi, tanto più forte deve diventare il nostro impegno per ‘dare quanto abbiamo promesso’. Ai consumatori e agli associati .

Infine, c’è il ruolo della politica,  di cui abbiamo segnalato la rinnovata attenzione per il nostro settore, e da cui ci aspettiamo una funzione virtuosa di accompagnamento del nostro progetto.

Voglio,  a tale proposito,  proporvi alcuni passaggi di un documento di cui dirò più avanti.
Cosi si legge nel documento:
“Occorre estendere l’obbligo di indicare l’origine degli alimenti in etichetta per consentire di distinguere il proprio prodotto da quello importato”, occorre “trasparenza sui prezzi”, occorre “sostenere l’agricoltura locale” e “promuovere  sistemi agroalimentari regionali”, occorre “promuovere  le energie rinnovabili”  e “sostenere microprogetti nelle campagne”. E ancora dobbiamo  “assicurare la copertura della banda larga nelle aree rurali”, “migliorare le infrastrutture nelle campagne”, “strade, strutture idrauliche” e “incoraggiare i giovani a diventare agricoltori”.

Ebbene, questa potrebbe essere una sintesi del nostro progetto, del programma di Coldiretti.
Ma non è così! Si tratta, infatti, delle testuali parole estratte dal programma del neo presidente degli Stati Uniti Barack Obama, pubblicato sul sito della Casa Bianca e accessibile a tutti.  E’ il modo con cui gli Stati Uniti pensano di superare la profonda crisi economica delle famiglie americane e di  dare prospettive agli agricoltori. Il modello agricolo per cui noi ci battiamo da anni è, dunque, la ricetta messa in campo dal governo della più grande democrazia e potenza economica del Mondo.

Ecco, mi piacerebbe dire , con un pizzico di orgoglio italiano, che questa volta siamo arrivati prima noi, ma non è naturalmente questo il punto!
Cosi come non è questa l’occasione per rifarsi su chi accusa il nostro progetto di nanismo, di minimalismo e di folclorismo.

Il punto è che questo programma rappresenta una prova, diretta e difficilmente discutibile, del fatto che ciò che noi proponiamo  è un modello per il mondo del terzo millennio e guarda ben oltre i nostri seppur legittimi confini di interesse.

Deve essere chiaro a tutti che  – in questa fase difficile per il Paese – noi scegliamo  di ‘investire’. Mettiamo in campo risorse, idee, un progetto vitale non solo per il settore, ma per l’intero Paese. Ci mettiamo la faccia e lo facciamo a nostro rischio, da veri imprenditori quali noi siamo.

Noi, con il nostro progetto, non stiamo chiedendo, stiamo offrendo un’opportunità. Stiamo costruendo un progetto per il Paese.

Ecco perché chiedere alla politica di volere  investire su questo valore non è chiedere troppo. Contiamo di averla vicina la politica,  con  rispetto reciproco, in un percorso condiviso che vada ben oltre gli interessi della categoria. Questo è il messaggio che ci sentiamo di inviare e l’impegno  che ci sentiamo di prendere con il Presidente del Consiglio, con il nostro Ministro dell’Agricoltura,  con il Governo intero, con il Parlamento e con le forze politiche.

Dunque, rischi, opportunità, contesti, progetto: tutto però  avrà un senso se sapremo farlo camminare sulle nostre gambe e farlo risiedere nelle nostre teste. E allora, ecco le cose che dobbiamo  fare, ecco la nostra parte di lavoro.

– Dobbiamo innanzitutto riorganizzare le filiere agroalimentari del nostro Paese , con un forte investimento su Consorzi agrari  e cooperative,  con un’attenzione particolare  alle aree del Sud e a quelle  meno organizzate del Paese. Questa fase  sarà il perno sul quale ruoterà la nuova  filiera tutta agricola , tutta italiana e firmata dagli agricoltori. Il prossimo 20 Marzo Coldiretti riunirà  a Roma al Palalottomatica tutta la dirigenza delle cooperative  aderenti a Coopcoldiretti, di tutti i Consorzi agrari  aderenti ad Assocap, di tutte le associazioni I mercati di Campagna Amica. Sarà l’occasione per presentare il progetto operativo per la nuova rappresentanza di filiera: più concorrenza nell’agroalimentare, più vero made in Italy in Italia e nel mondo.

– Occorre  moltiplicare il numero di mercati di Campagna Amica, in ogni sede e luogo  ove  ciò sarà possibile. Campagna Amica è una formidabile occasione  per aggiungere concorrenza a un sistema ingessato da anni. I mercati di Campagna Amica non solo sono una occasione di mercato per tante nostre imprese, ma sono anche e soprattutto un modo per far conoscere, apprezzare e riconoscere  al mondo intero  l’agricoltura Italiana e le sue distintività, sono il miglior veicolo promozionale per il made in Italy  e per il marchio che lo contraddistinguerà. Campagna Amica, dunque, è un investimento nel futuro per tutti, soprattutto per chi opera nella cosiddetta filiera lunga, che ne dovrà essere il primo sostenitore e promotore.   L’obbiettivo è far nascere   i primi 1000 mercati di Campagna Amica nei prossimi mesi.

– Occorrerà poi aprire un confronto di pari dignità  con la distribuzione in Italia e all’estero  per ragionare su un modo diverso di  trattare  il “vero Made in Italy” agroalimentare .

– Dovremo prestare massima  attenzione  a quei percorsi di accompagnamento richiesti alla politica, sia  rispetto ai grandi temi  – i contenuti del prossimo G8, i temi relativi a controlli ed etichettatura, la ridiscussione del bilancio  UE  –  sia rispetto  alle questioni  che hanno oggi assunto una valenza  emergenziale e sulle quali aspettiamo un intervento rapido di Governo e Parlamento: il  rifinanziamento  del fondo di  solidarietà, la fiscalizzazione dei contributi agricoli, l’ ICI sui fabbricati rurali, le azioni per fronteggiare le crisi di mercato.

Per fare tutte queste cose Coldiretti dovrà attingere a professionalità e network di servizi che sono solo in parte presenti al nostro interno. Ma il problema non è questo: abbiamo infatti le energie, la determinazione, le risorse e la forza per farlo.

La questione  vera è che dobbiamo fare un ulteriore  salto di ‘qualità’: dobbiamo, con la testa e con il cuore, convincerci tutti che ce la faremo e dobbiamo fare in maniera che il nostro entusiasmo e la nostra determinazione diventino azione  intelligente e pragmatica. Dobbiamo spostare in avanti tutti i nostri soci, accorciare la squadra per così dire, renderne l’adesione sempre più intelligente e sempre più attiva.

Tutto ciò sta nel nostro DNA.
Dobbiamo essere mossi dalla leva delle “aspettative”.
La posta in gioco è alta, molto alta. Noi possiamo cambiare il volto del nostro modello agroalimentare!

Siamo ambiziosi, ma sappiamo che tutto ciò è possibile, serve alla nostra gente,  serve al Paese.
Non saremo soddisfatti finché non avremo colto fino in fondo gli obiettivi che ci siamo dati.  Come sempre !
Tutto questo è possibile perché Coldiretti è cresciuta. E il grande e indiscusso merito è di tutti.
Grazie a tutti voi per questo !
Grazie alla nostra grande, splendida, meravigliosa Coldiretti !

Registrato presso il Tribunale Civile di Roma, Sezione per la Stampa e l'Informazione al n. 367/2008 del Registro della Stampa. Direttore Responsabile: Paolo Falcioni.
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