il Punto Coldiretti

Bene(i) comune(i)

Da più parti e in occasioni più o meno importanti, da Cernobio a Todi2, dal dibattito interno ai partiti alle riunioni di governo, sia a livello internazionali che nazionali e locali, viene evocato il “bene comune” e i “beni comuni”. Mi permetto di offrirvi delle note di riflessione attingendo al Compendio della Dottrina sociale della Chiesa. Operazione già operata qualche mese fa sempre per “il punto”.

Il significato del termine lo troviamo al n. 164 del Compendio che a sua volta attinge alla Gaudium et Spes e al Magistero di Giovanni XXIII (Mater et Magistra e Pacem in Terris). «l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono sia alle collettività sia ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più celermente».

“Il principio del bene comune deriva innanzi tutto dalla dignità, unità e uguaglianza di tutte le persone, al quale ogni aspetto della vita sociale deve riferirsi per trovare pienezza di senso”. La Dsc ricorda che “Il bene comune non consiste nella semplice somma dei beni particolari di ciascun soggetto del corpo sociale. Essendo di tutti e di ciascuno è e rimane comune, perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo, anche in vista del futuro”.

Da tale verità deriva “non una semplice convivenza ai vari livelli della vita sociale e relazionale, ma la ricerca senza posa, in forma pratica e non soltanto ideale, del bene ovvero del senso e della verità rintracciabili nelle forme di vita sociale esistenti. Nessuna forma espressiva della socialità — dalla famiglia, al gruppo sociale intermedio, all’associazione, all’impresa di carattere economico, alla città, alla regione, allo Stato, fino alla comunità dei popoli e delle Nazioni — può eludere l’interrogativo circa il proprio bene comune, che è costitutivo del suo significato e autentica ragion d’essere della sua stessa sussistenza”. (Cfr. Pacem in terris di Giovanni XXIII).

Il Fatto che oggi se ne parli tanto non necessariamente significa che via sia la consapevolezza che tutti si è chiamati ad operare responsabilmente per il bene comune. Comunque, salvo restando la possibilità che “il parlare del bene comune” possa risultare una sorta di esorcismo utilizzato per  nascondere atti contrari al bene comune, ci si può auspicare che si possa andare anche oltre le semplici dichiarazioni di principio.

Perché ciò possa avvenire è opportuno definire anche i “beni comuni” che, altrimenti potrebbero ingenerare più di un equivoco vanificando la valenza globale e omnicomprensiva del “bene comune”. Ci viene in aiuto il n. 166  Del Compendio che ci ricorda che i beni comuni sono assimilabili ai diritti fondamentali della persona: “Le esigenze del bene comune derivano dalle condizioni sociali di ogni epoca e sono strettamente connesse al rispetto e alla promozione integrale della persona e dei suoi diritti fondamentali. Tali esigenze riguardano anzitutto l’impegno per la pace, l’organizzazione dei poteri dello Stato, un solido ordinamento giuridico, la salvaguardia dell’ambiente, la prestazione di quei servizi essenziali delle persone, alcuni dei quali sono al tempo stesso diritti dell’uomo: alimentazione, abitazione, lavoro, educazione e accesso alla cultura, trasporti, salute, libera circolazione delle informazioni e tutela della libertà religiosa”.

Coerenza vorrebbe un impegno vero a che tutti siano messi in condizione di fruire delle condizioni di vita sociale che risultano dalla ricerca del bene comune. Perciò suona ancora attuale l’insegnamento di Pio XI: « Bisogna procurare che la distribuzione dei beni creati, la quale ognuno vede quanto ora sia causa di disagio, per il grande squilibrio fra i pochi straricchi e gli innumerevoli indigenti, venga ricondotta alla conformità con le norme del bene comune e della giustizia sociale». (Octogesima adveniens n. 46)

Padre Renato Gaglianone

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