il Punto Coldiretti

Esorcizzare la malattia?

Si è celebrata sabato scorso, 11 febbraio, la giornata mondiale del malato. Da questa “giornata” emerge un dato di fatto: la malattia esiste. Ma cosa la società occidentale considera malattia e quale è la definizione della parola salute?

Sull’Osservatore Romano del 10 febbraio scorso, Carlo Bellieni riporta i dati ricavati dal "British Medical Journal". Scrive: “un gruppo di lavoro olandese coordinato da Machteld Huber ha fatto un passo avanti con una proposta interessante: che per "salute" si intenda non più il "pieno benessere psicofisico e sociale" – come vuole la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità – ma "la capacità di adattarsi e di autogestirsi".

Commenta il Bellieni: “Apprezzabile la prima parte di questa definizione, che sottolinea come la salute sia la capacità di venire a capo delle proprie vicende, di controllarle e gestirle, senza che questo implichi un’utopica perfezione; l’attuale definizione di salute di fatto esclude le persone con malattie croniche dal sentirsi "in salute" pur quando riescono a convivere col loro disagio.
Meno condivisibile la seconda parte della definizione data da Huber, perché torna a sottolineare il binomio salute-autonomia, mentre non è giusto negare che un anziano dipendente dagli altri per vari bisogni o un disabile non del tutto autonomo possano sentirsi "sani"”.

Nel messaggio per questa “giornata”, Benedetto XVI scrive: “In occasione della Giornata Mondiale del Malato, desidero rinnovare la mia spirituale vicinanza a tutti i malati che si trovano nei luoghi di cura o sono accuditi nelle famiglie, esprimendo a ciascuno la sollecitudine e l’affetto di tutta la Chiesa. Nell’accoglienza generosa e amorevole di ogni vita umana, soprattutto di quella debole e malata, il cristiano esprime un aspetto importante della propria testimonianza evangelica, sull’esempio di Cristo, che si è chinato sulle sofferenze materiali e spirituali dell’uomo per guarirle”.

Un richiamo alla “coerenza” cristiana che si fonda sul riferimento costante alla Persona di Gesù che permette di dirci non solo che esiste la malattia ma anche che esistono i malati. Perché nonostante  nella società competitiva, chi non è all’altezza degli altri diventa invisibile, i malati ci sono, ma restano nella penombra. I mezzi di comunicazione  parlano pochissimo di malattia.  Sembra esista una sorta di “passa parola” che sconsigli, per esempio,  di parlare di disabilità fisica e mentale. Quest’ultima sempre meno trattabile perché i medici non sono in grado di trattare chi non sa esprimersi e/o non è autonomo. ("The Lancet", agosto 2008).

Non dobbiamo, inoltre, dimenticare che in questi tempi di crisi, i tagli che molti Paesi sono costretti a fare ai loro bilanci si ripercuotono su chi ha minor visibilità e forza. Ma questo è inaccettabile: un Paese è civile se pensa prima ai più deboli.

Ma questa giornata del malato evidenzia inoltre che la nostra società è affetta da una sorta di “desiderio malato”. Bauman quando parla di “consumo ergo sum”,  che produce una sorta di perdita del gusto delle cose, dovuto alla perdita degli argini dei desideri, e alla pressione di messaggi che invitano a soddisfare i capricci per poter vendere qualcosa. Ma, a lungo andare, soddisfare bisogni inesistenti, si traduce in una sorta di “noiosa banalità”. 

Avere sempre dei “bisogni” da soddisfare è un “esorcizzare” la malattia. Evitiamo di guardare ai malati perché abbiamo paura della malattia. Abbiamo paura di non essere all’altezza di una società di “sani e belli”, funzionali ad una umanità che dimentica che la crisi odierna è primariamente una crisi di senso, di spiritualità.

Ecco perché far tesoro di quanto il  Papa nel suo messaggio ci ricorda: “Dio, «ricco di misericordia» (Ef 2,4), come il padre della parabola evangelica (cfr Lc 15,11-32), non chiude il cuore a nessuno dei suoi figli, ma li attende, li cerca, li raggiunge là dove il rifiuto della comunione imprigiona nell’isolamento e nella divisione, li chiama a raccogliersi intorno alla sua mensa, nella gioia della festa del perdono e della riconciliazione. Il momento della sofferenza, nel quale potrebbe sorgere la tentazione di abbandonarsi allo scoraggiamento e alla disperazione, può trasformarsi così in tempo di grazia per rientrare in se stessi e, come il figliol prodigo della parabola, ripensare alla propria vita, riconoscendone errori e fallimenti, sentire la nostalgia dell’abbraccio del Padre e ripercorrere il cammino verso la sua Casa. Egli, nel suo grande amore, sempre e comunque veglia sulla nostra esistenza e ci attende per offrire ad ogni figlio che torna da Lui, il dono della piena riconciliazione e della gioia”.

Guardare la malattia in questa ottica ci permette di non aver paura e di essere attenti e disponibili nei confronti dei malati e, soprattutto, nel bisogno, saper valorizzare la malattia come momento di grazia… luogo privilegiato per la risposta alla nostra ricerca di senso.

Padre Renato Gaglianone

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