il Punto Coldiretti

Etica della responsabilità

In occasione della prima riunione del Consiglio della Federpensionati Coldiretti, scaturito dall’Assemblea dello scorso novembre a Palermo, il dr. Gesmundo ha salutato i membri dell’Assise richiamando la necessità di improntare tutta l’azione dei Pensionati Coldiretti nella declinazione dell’Etica della Responsabilità. Da qui lo spunto per la riflessione di questo numero de “il punto”.

La nozione di responsabilità compare con una certa frequenza nei dibattiti bioetici, oltre alla questione ecologica, il tema della responsabilità coinvolge in maniera più generale il rapporto tra lo sviluppo scientifico-tecnologico e la vita, esposta a delle trasformazioni radicali che ne compromettono le strutture originarie.
Il concetto di responsabilità gioca un ruolo specifico in base ai diversi approcci della riflessione morale contemporanea.

Il principio di responsabilità ha le sua radici nel potere e nella libertà di cui l’uomo è dotato; nell’uomo, a differenza delle altre specie, l’evoluzione cessa di essere un processo meccanico ed autogestito per diventare obiettivo consapevole e problema di scelte per il futuro.
L’evoluzione della specie umana e della natura, attraverso un incremento del potere distruttivo e la possibilità di accedere ai meccanismi originari della vita grazie all’ingegneria genetica, diventano il risultato delle scelte dell’uomo, per questo è fondamentale che tali scelte siano consapevoli.

Nel contempo si constata come negli ultimi decenni sembrano essersi affievolite visioni molto ottimiste sul progresso e lo sviluppo dell’umanità, ed è cresciuta la consapevolezza dei possibili rischi futuri portati da uno sviluppo non "sostenibile". I problemi che hanno maggiormente contribuito a destare tale coscienza, sono legati allo sviluppo demografico, all’esaurimento delle risorse, all’inquinamento ambientale e, più in generale, ad una saggia gestione dell’intera biosfera.

L’enciclopedia "Le rotte della filosofia" così definisce la responsabilità: “Nozione che indica la possibilità di ascrivere stati di cose alla condotta di un individuo. Essa designa perciò una relazione causale tra il getto e lo stato di cose che gli viene attribuito”. Questa definizione è dunque applicabile sia in modo retrospettivo (azioni passate) che prospettico (azioni future). L’"Encyclopaedia of Bioethics" ricorda alcune dimensioni della responsabilità e richiamate dallo stesso Gesmundo nell’intervento di cui sopra.

Se ne vogliono qui ricordare in particolare tre.
Una prima dimensione riguarda il dovere. Sono responsabili le persone che rispettano i loro doveri, conformandosi nella loro vita personale ad una serie di principi morali. I doveri possono essere formulati a mo di leggi, regolamenti, norme, eventualmente riferite a principi morali. Aspetto particolare dei doveri consiste nei compiti che possono venire dati: si può pertanto dire che è responsabile una persona che compie il compito o il lavoro che gli è affidato, e lo compie bene. Più in generale; è responsabile una persona che svolge bene il proprio ruolo, conformemente alle aspettative associate al suo ruolo sociale, sia esso di lavoratore, di padre di famiglia, di cittadino, di amministratore pubblico, etc.

Alla responsabilità è connessa anche la dimensione della “fortezza”. Con questa categoria si vogliono indicare da una parte comportamenti “coraggiosi”, come l’osare denunciare azioni illecite, e dall’altra atti di autocontrollo, che sottomettono le azioni al discernimento ed al giudizio.

Una terza dimensione della responsabilità riguarda la capacità di giudizio circa cosa sia bene fare nelle diverse circostanze. Aristotele la definiva una "virtù intellettuale pratica", che si coltiva appunto con la pratica. Tale capacità è particolarmente importante perché in genere norme, leggi, regolamenti hanno valenza generale (e spesso astratta): occorre quindi prendere in considerazioni tutte le variabili della situazione concreta per elaborare un giudizio e prendere una decisione il più possibile conforme a tali regole generali.

Volendo passare dalla teoria alla prassi vi propongo la contemplazione dell’icona dell’Ascensione. È un tentativo per rispondere alla domanda di sempre: in concreto cosa significa per me operatore “responsabilmente” nell’economia e nel sociale?

Penso che la liturgia della Parola della festa dell’Ascensione di Nostro Signore sia particolarmente calzante per tutti coloro che operano nel sociale. Perché offrono una chiave di lettura, nell’ottica dell’etica della responsabilità, di tutto quello che si fa ogni giorno.

Nella Prima lettura, infatti, gli angeli che si rivolgono ai discepoli fanno questa domanda: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?».Una domanda che lascia perplessi. Cosa c’è di più bello del vivere la nostalgia di Gesù e di sognare di raggiungerlo in cielo? Eppure la domanda dei due uomini risuona come sembra una sorta di rimprovero. Un richiamo duro e inaspettato. Stessa cosa il Vangelo che invita a non impigrirsi con la testa all’insù. A non pensare solamente al cielo lamentandoci dei tempi in cui viviamo. Il cristiano, soprattutto in questo tempo di fragilità e di complessità, è chiamato a sfidare il futuro con i piedi per terra affermando la sua speranza in Dio, nonostante tutto. Una speranza che è una sfida a non sbuffare fissando il cielo.

Dietrich Bonhoeffer, nelle Lettere alla Fidanzata, parlando della fede usava queste parole: «Ci vuole fede; che Dio ce la doni ogni giorno. Non intendo la fede che fugge dal mondo, ma quella che resiste nel mondo e ama e resta fedele alla terra malgrado tutte le tribolazioni che essa ci procura. Il nostro matrimonio deve essere un sì alla terra di Dio, deve rafforzare in noi il coraggio di operare e di creare qualcosa sulla terra. Temo – concludeva – che i cristiani che osano stare sulla terra con un piede solo, staranno con un piede solo anche in cielo».

Gesù vuole che le nostre azioni siano a partire da una scelta di immedesimazione nella realtà della vita della gente, e non da una situazione di lontananza. Immedesimarsi è uscire dall’angustia del proprio ristretto orizzonte e trovare un nuovo spazio ed un nuovo tempo nel punto di vista altrui. Immedesimarsi è guadagnare prospettiva, profondità, luce, colori. È instaurare un rapporto autentico con gli altri. Implica conoscersi a tal punto ed essere così saldi da non aver paura di mettersi in gioco e orientarsi secondo un nuovo baricentro.

Gesù, di fatto, è Colui che per primo si è immedesimato nell’uomo fin nella carne e nella morte. E proprio per questo non vuole vederci guardare il cielo a bocca aperta, bensì con i piedi sulla terra, calpestando il suolo dell’irrilevanza religiosa, dello sradicamento culturale, del sudore e dello sforzo quotidiano di ogni famiglia che con fatica riesce ad arrivare a fine mese. Il suolo dei luoghi di lavoro dove, spesso, la fede viene vissuta nascostamente e dove siamo tutti un po’ soli. E’ lì che dobbiamo riconoscerci. Tra gente, che gioisce e soffre, e ha difficoltà ad aprirsi alla speranza.

Padre Renato Gaglianone

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