il Punto Coldiretti

No war… la crisi libica

All’Angelus dello scorso 20 marzo il Papa ha richiamato il dramma delle popolazioni della Libia esprimendo tutta la sua Preoccupazione: “Nei giorni scorsi le preoccupanti notizie che giungevano dalla Libia hanno suscitato anche in me viva trepidazione e timori. Ne avevo fatto particolare preghiera al Signore durante la settimana degli Esercizi Spirituali. Seguo ora gli ultimi eventi con grande apprensione, prego per coloro che sono coinvolti nella drammatica situazione di quel Paese e rivolgo un pressante appello a quanti hanno responsabilità politiche e militari, perché abbiano a cuore, anzitutto, l’incolumità e la sicurezza dei cittadini e garantiscano l’accesso ai soccorsi umanitari. Alla popolazione desidero assicurare la mia commossa vicinanza, mentre chiedo a Dio che un orizzonte di pace e di concordia sorga al più presto sulla Libia e sull’intera regione nord africana”.

Molto vivo è il dibattito sull’argomento e non pochi problemi suscita nella coscienza dei cristiani. Per quanto mi riguarda, sono convinto che la violenza, la guerra più o meno dichiarata, non risolverà nessun problema, anzi, li aggraverà.

Gli interventi della Chiesa a favore dell’intervento della Comunità internazionale per risolvere la crisi libica trova il suo fondamento nella Dottrina sociale della Chiesa e sintetizzato nel discorso di Benedetto XVI all’Assemblea generale dell’Onu nell’aprile del 2008.

Diceva il Papa: “Il riconoscimento dell’unità della famiglia umana e l’attenzione per l’innata dignità di ogni uomo e donna trovano oggi una rinnovata accentuazione nel principio della responsabilità di proteggere. Ogni Stato ha il dovere primario di proteggere la propria popolazione da violazioni gravi e continue dei diritti umani, come pure dalle conseguenze delle crisi umanitarie, provocate sia dalla natura che dall’uomo. Se gli Stati non sono in grado di garantire simile protezione, la comunità internazionale deve intervenire con i mezzi giuridici previsti dalla Carta delle Nazioni Unite e da altri strumenti internazionali”.

Benedetto XVI, per evitare equivoci e/o tentazioni per singole Nazioni, riteneva che solo la Comunità internazionale dovesse farsi carico del problema in modo che: “L’azione della comunità internazionale e delle sue istituzioni, supposto il rispetto dei principi che sono alla base dell’ordine internazionale, non deve mai essere interpretata come un’imposizione indesiderata e una limitazione di sovranità… ricordando che “Al contrario, è l’indifferenza o la mancanza di intervento che recano danno reale”.

In quella occasione il Papa, evocando gli interventi del Papa Giovanni Paolo II in occasione della crisi irachena, ribadiva: “Ciò di cui vi è bisogno e una ricerca più profonda di modi di prevenire e controllare i conflitti, esplorando ogni possibile via diplomatica e prestando attenzione ed incoraggiamento anche ai più flebili segni di dialogo o di desiderio di riconciliazione”.

Il tutto va rapportato al riferimento all’umana dignità, che è il fondamento e l’obiettivo della responsabilità di proteggere che trova la sua collocazione naturale nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Il Papa ricordò nel suo intervento come tale "Dichiarazione" fosse  "il risultato di una convergenza di tradizioni religiose e culturali, tutte motivate dal comune desiderio di porre la persona umana al cuore delle istituzioni, leggi e interventi della società, e di considerare la persona umana essenziale per il mondo della cultura, della religione e della scienza. I diritti umani sono sempre più presentati come linguaggio comune e sostrato etico delle relazioni internazionali. Allo stesso tempo, l’universalità, l’indivisibilità e l’interdipendenza dei diritti umani servono tutte quali garanzie per la salvaguardia della dignità umana”.

Tutte queste considerazioni, comunque,  non fugano alcuni interrogativi che non possiamo non porci. Interrogativi che sono al centro dei nostri ragionamenti e che mi permetto di sottoporre alla vostra attenzione. Interrogativi a cui è difficile dare risposta ma che, comunque non credo possano essere elusi.

L’intervento in difesa dei diritti umani era richiesto da tempo… come mai l’atteggiamento del governo italiano e della comunità internazionale e, diciamolo, di tanta parte dei responsabili della politica ha oscillato tra l’inerzia e le complicità con Gheddafi? Se si interveniva prima, non saremmo giunti a questo punto!

Siamo sicuri che si rispetti  la risoluzione dell’Onu 1973 che indica due obiettivi principali: l’immediato cessate il fuoco e la fine delle violenze contro i civili? Qualunque iniziativa intrapresa in attuazione di questa risoluzione deve essere coerente con questi obiettivi. Ovvero deve spegnere l’incendio e non alimentarlo ulteriormente, deve proteggere i civili e non esporli a una nuova spirale della violenza. Gli stati che si sono assunti la responsabilità di intervenire militarmente non possono permettersi di perseguire obiettivi diversi e devono agire con mezzi e azioni coerenti sotto il "coordinamento politico" dell’Onu previsto dalla Risoluzione 1973.

Perché l’Onu non attua, effettivamente, quel dispositivo politico, diplomatico, civile e militare capace di attuare quelle decisioni e di realizzare quanto previsto dall’art. 43 della sua Carta che gli permetterebbe  di adempiere al suo mandato cioè la costruzione di un vero e proprio sistema di sicurezza comune globale?

Non è questione di pacifismo. Ma, ne sono convinto: la storia e il realismo politico ci insegnano che la guerra non è mai stata una soluzione. La guerra non è uno strumento utilizzabile per difendere i diritti umani. La guerra non è in grado di risolvere i problemi ma finisce per moltiplicarli e aggravarli.

L’Italia ha un solo grande interesse e una sola grande missione da compiere: fermare l’escalation della violenza, togliere rapidamente la parola alle armi e ridare la parola alla politica, promuovere il negoziato politico a tutti i livelli per trovare una soluzione pacifica e sostenibile. L’Italia deve diventare il crocevia dell’impegno europeo e internazionale per la pace e la sicurezza umana nel Mediterraneo. Per questo l’Italia non doveva e non deve bombardare.

Anche se il presidente Napolitano si affanna a precisare che l’Italia non è entrata in guerra, siamo sicuri di rimanere fedeli alla Costituzione  che all’Art. 11 dice: "L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali?".

Padre Renato Gaglianone

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