il Punto Coldiretti

Oltre l’evento Palalottomatica

Una verità deve accompagnarci in questa riflessione. Forse non ce ne siamo resi conto, o, forse, abbiamo avuto difficoltà a esplicitarlo, ma l’evento dello scorso 30 aprile è stato un’operazione culturale di alto livello.

Parlo della Cultura (in senso sociologico: un insieme di relazioni, valori, punti di riferimenti, atteggiamenti, comportamenti, stili di vita) chiamata a dare un’anima ad una società incapace di superare il “vuoto” lasciato dal naufragio delle promesse della modernità e in difficoltà ad orientarsi in una postmodernità dalle promesse inconsistenti.

Attraverso il riconoscimento della centralità del lavoro agricolo si recupera quel processo virtuoso che ridona la dignità di persona al lavoratore agricolo e, conseguentemente a tutti lavoratori siano essi dell’industria dei servizi o di quant’altro. Infatti il lavoro agricolo consente all’uomo di realizzare un rapporto diretto e assiduo con la terra. Fedele al progetto originario di Dio, egli offre alla terra le sue cure e la terra gli offre i suoi frutti.

È una reciprocità nella quale si rivela e si compie un disegno finalizzato alla vita, all’essere e al benessere (bene-esse) dell’umanità, allo sviluppo di tutti e di ciascuno. Questo postula la ricerca di relazioni nuove, anche nella consapevolezza che nelle società ricche è cresciuta, come mai prima, l’attenzione dei consumatori verso i contenuti non solo di qualità intrinseca ma anche culturali del cibo.

Da qui nascono alcune considerazioni di ordine etico. La prima si basa sul fatto che la percezione dell’incontro tra natura e uomo suppone la percezione della terra come dono di Dio, da accogliere e da rendere produttiva, non da distruggere o abbandonare e rimanda ad una equa e solidale distribuzione delle risorse della terra donate da Dio a tutti e a ciascuno.

La seconda afferma che dalla libertà dell’uomo, come “segno altissimo dell’immagine divina” (GS 17), discendono diritti che implicano una responsabilità personale che si estende a ciascuna famiglia, a ciascuna società e a ciascun Paese, e che va esercitata nel rispetto del bene di tutti e di ciascuno e dei diritti degli altri.

Da questi presupposti può nascere una “cultura” capace di proporsi come strumento capace di traghettare la nostra società, in crisi di identità, oltre le sabbie mobili di una postmodernità avanescente. Del resto è inimmaginabile una forza sociale che non si faccia carico della responsabilità di operare per il rinnovamento della “cultura”. E’ questo vuol dire anche rinnovamento della “società”.

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