il Punto Coldiretti

Quindicimila preti con il Papa

Benedetto XVI ha celebrato la messa di chiusura dell’Anno sacerdotale – lo scorso 11 giugno, in piazza San Pietro – con il calice usato da san Giovanni Maria Vianney. Un gesto significativo non soltanto per i quindicimila preti che hanno concelebrato con il Papa, ma anche per tutti i Sacerdoti del mondo che avranno nel santo Curato d’Ars il loro patrono.

A San Giovanni Maria Vianney, al centro dell’Anno sacerdotale, il Santo Padre ha affidato  tutti i presbiteri proclamandolo loro patrono. Inoltre, al termine della celebrazione, prima della benedizione conclusiva, il Papa ha anche rinnovato l’atto di affidamento e di consacrazione dei sacerdoti alla Vergine Maria, secondo la formula usata in occasione del recente pellegrinaggio a Fátima. Gesto molto bello e suggestivo dal momento che è avvenuto davanti all’originale della Madonna Salus populi Romani in considerazione del significato particolare che tale immagine mariana ha in Roma.

Nella veglia del giorno precedente il Papa nel rispondere ad alcune domande di Sacerdoti dei vari Continenti, ha delineato la figura e il ruolo del Sacerdote nella Società odierna. Un Sacerdote impegnato nella pastorale vive innanzi tutto una relazione personale con Cristo. “Nel Breviario, il 4 novembre, leggiamo un bel testo di san Carlo Borromeo, grande pastore, che ha dato veramente tutto se stesso, e che dice a noi, a tutti i sacerdoti: "Non trascurare la tua propria anima: se la tua propria anima è trascurata, anche agli altri non puoi dare quanto dovresti dare. Quindi, anche per te stesso, per la tua anima, devi avere tempo", o, in altre parole, la relazione con Cristo, il colloquio personale con Cristo è una priorità pastorale fondamentale, è condizione per il nostro lavoro per gli altri!

E la preghiera non è una cosa marginale: è proprio ‘professione’ del sacerdote pregare, anche come rappresentante della gente che non sa pregare o non trova il tempo di pregare. La preghiera personale, soprattutto la Preghiera delle Ore, è nutrimento fondamentale per la nostra anima, per tutta la nostra azione. E, infine, riconoscere i nostri limiti, aprirci anche a questa umiltà. Ricordiamo una scena di Marco, capitolo 6, dove i discepoli sono “stressati”, vogliono fare tutto, e il Signore dice: “Andiamo via; riposate un po’” (cfr Mc 6,31). Anche questo è lavoro – direi – pastorale: trovare e avere l’umiltà, il coraggio di riposare.

Il Sacerdote si alimenta ad una “sana teologia” e alla fedeltà al “Magistero”. Dice il Papa: “occorre avere il coraggio della grande, ampia ragione, avere l’umiltà di non sottomettersi a tutte le ipotesi del momento, vivere della grande fede della Chiesa di tutti i tempi. Non c’è una maggioranza contro la maggioranza dei Santi: la vera maggioranza sono i Santi nella Chiesa e ai Santi dobbiamo orientarci! Poi, ai seminaristi e ai sacerdoti dico lo stesso: pensate che la Sacra Scrittura non è un Libro isolato: è vivente nella comunità vivente della Chiesa, che è lo stesso soggetto in tutti i secoli e garantisce la presenza della Parola di Dio.

Al Sacerdote europeo che chiede lumi sulla profondità e sul senso autentico del celibato ecclesiastico il Papa, tra l’altro sottolinea: “centro della nostra vita deve realmente essere la celebrazione quotidiana della Santa Eucaristia; e qui sono centrali le parole della consacrazione: “Questo è il mio Corpo, questo è il mio Sangue”; cioè: parliamo “in persona Christi”. Cristo ci permette di usare il suo “io”, parliamo nell’“io” di Cristo, Cristo ci “tira in sé” e ci permette di unirci, ci unisce con il suo “io”. E così, tramite questa azione, questo fatto che Egli ci “tira” in se stesso, in modo che il nostro “io” diventa unito al suo, realizza la permanenza, l’unicità del suo Sacerdozio; così Lui è realmente sempre l’unico Sacerdote, e tuttavia molto presente nel mondo, perché “tira” noi in se stesso e così rende presente la sua missione sacerdotale.

E ancora: “Un grande problema della cristianità del mondo di oggi è che non si pensa più al futuro di Dio: sembra sufficiente solo il presente di questo mondo. Vogliamo avere solo questo mondo, vivere solo in questo mondo. Così chiudiamo le porte alla vera grandezza della nostra esistenza. Il senso del celibato come anticipazione del futuro è proprio aprire queste porte, rendere più grande il mondo, mostrare la realtà del futuro che va vissuto da noi già come presente.

In un certo senso, può sorprendere questa critica permanente contro il celibato, in un tempo nel quale diventa sempre più di moda non sposarsi. Ma questo non-sposarsi è una cosa totalmente, fondamentalmente diversa dal celibato, perché il non-sposarsi è basato sulla volontà di vivere solo per se stessi, di non accettare alcun vincolo definitivo, di avere la vita in ogni momento in una piena autonomia, decidere in ogni momento come fare, cosa prendere dalla vita; e quindi un “no” al vincolo, un “no” alla definitività, un avere la vita solo per se stessi.

Mentre il celibato è proprio il contrario: è un “sì” definitivo, è un lasciarsi prendere in mano da Dio, darsi nelle mani del Signore, nel suo “io”, e quindi è un atto di fedeltà e di fiducia, un atto che suppone anche la fedeltà del matrimonio; è proprio il contrario di questo “no”, di questa autonomia che non vuole obbligarsi, che non vuole entrare in un vincolo; è proprio il “sì” definitivo che suppone, conferma il “sì” definitivo del matrimonio. Perciò il celibato conferma il “sì” del matrimonio con il suo “sì” al mondo futuro, e così vogliamo andare avanti e rendere presente questo scandalo di una fede che pone tutta l’esistenza su Dio. Il celibato, proprio le critiche lo mostrano, è un grande segno della fede, della presenza di Dio nel mondo.

L’eucarestia è la dimensione fondamentale dell’esistenza sacerdotale: “Sappiamo che il clericalismo è una tentazione dei sacerdoti in tutti i secoli, anche oggi; tanto più importante è trovare il modo vero di vivere l’Eucaristia, che non è una chiusura al mondo, ma proprio l’apertura ai bisogni del mondo. Dobbiamo tenere presente che nell’Eucaristia si realizza questo grande dramma di Dio che esce da se stesso, lascia – come dice la Lettera ai Filippesi – la sua propria gloria, esce e scende fino ad essere uno di noi e scende fino alla morte sulla Croce (cfr Fil 2). L’avventura dell’amore di Dio, che lascia, abbandona se stesso per essere con noi – e questo diventa presente nell’Eucaristia; il grande atto, la grande avventura dell’amore di Dio è l’umiltà di Dio che si dona a noi. Pensiamo a Madre Teresa, veramente l’esempio grande in questo secolo, in questo tempo, di un amore che lascia se stesso, che lascia ogni tipo di clericalismo, di estraneità al mondo, che va ai più emarginati, ai più poveri, alle persone vicine alla morte e si dà totalmente all’amore per i poveri, per gli emarginati.

Infine il Papa affronta il tema della mancanza di vocazioni e indica ai Sacerdoti che è necessario “pregare Dio, bussare alla porta, al cuore di Dio, affinché ci dia le vocazioni; pregare con grande insistenza, con grande determinazione, con grande convinzione anche, perché Dio non si chiude ad una preghiera insistente, permanente, fiduciosa, anche se lascia fare, aspettare, come Saul, oltre i tempi che noi abbiamo previsto.” Quindi: “incoraggiare i fedeli ad avere questa umiltà, questa fiducia, questo coraggio di pregare con insistenza per le vocazioni, di bussare al cuore di Dio perché ci dia dei sacerdoti.

Ecco, poi, tre punti importanti per una vera animazione vocazionale. “Il primo: ognuno di noi dovrebbe fare il possibile per vivere il proprio sacerdozio in maniera tale da risultare convincente, in maniera tale che i giovani possano dire: questa è una vera vocazione, così si può vivere, così si fa una cosa essenziale per il mondo. Cerchiamo di essere noi stessi sacerdoti convincenti. Il secondo punto è che dobbiamo invitare, come ho già detto, all’iniziativa della preghiera, ad avere questa umiltà, questa fiducia di parlare con Dio con forza, con decisione. Il terzo punto: avere il coraggio di parlare con i giovani se possono pensare che Dio li chiami, perché spesso una parola umana è necessaria per aprire l’ascolto alla vocazione divina; parlare con i giovani e soprattutto aiutarli a trovare un contesto vitale in cui possano vivere. I giovani hanno bisogno di ambienti in cui si vive la fede, in cui appare la bellezza della fede, in cui appare che questo è un modello di vita, “il” modello di vita.

Il testo integrale del colloquio del Papa con i sacerdoti lo trovate sul sito del Vaticano: http://www.vatican.va/

Padre Renato Gaglianone

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