il Punto Coldiretti

We shall overcome (Ce la faremo!?)

Ancora una volta la voce del Papa si leva alta a favore delle popolazioni civili coinvolte, loro malgrado, in azioni di guerra. All’Angelus di domenica scorsa, 27 marzo, la voce accorata di Benedetto XVI: “Di fronte alle notizie, sempre più drammatiche, che provengono dalla Libia, cresce la mia trepidazione per l’incolumità e la sicurezza della popolazione civile e la mia apprensione per gli sviluppi della situazione, attualmente segnata dall’uso delle armi. Nei momenti di maggiore tensione si fa più urgente l’esigenza di ricorrere ad ogni mezzo di cui dispone l’azione diplomatica e di sostenere anche il più debole segnale di apertura e di volontà di riconciliazione fra tutte le Parti coinvolte, nella ricerca di soluzioni pacifiche e durature”.

Se avete letto l’intervento della settimana scorsa su “il punto”, si ribadivano concetti riassunti nei numeri 504 e 505 del Compendio della Dottrina sociale della Chiesa e richiamati da Benedetto XVI nell’intervento all’ Onu del 2008. Cito: “Il diritto all’uso della forza per scopi di legittima difesa è associato al dovere di proteggere e aiutare le vittime innocenti che non possono difendersi dall’aggressione. Nei conflitti dell’era moderna, frequentemente interni ad uno stesso Stato, le disposizioni del diritto internazionale umanitario devono essere pienamente rispettate. In troppe circostanze la popolazione civile è colpita, a volte perfino come obiettivo bellico. …In tali tragiche circostanze, è necessario che gli aiuti umanitari raggiungano la popolazione civile e che non siano mai utilizzati per condizionare i beneficiari: il bene della persona umana deve avere la precedenza sugli interessi delle parti in conflitto”.

La Dottrina Sociale osserva che “Il principio di umanità, iscritto nella coscienza di ogni persona e popolo, comporta l’obbligo di tenere al riparo la popolazione civile dagli effetti della guerra: quel minimo di protezione della dignità di ogni essere umano, garantito dal diritto internazionale umanitario, è troppo spesso violato in nome di esigenze militari o politiche, che mai dovrebbero avere il sopravvento sul valore della persona umana”.

Questo non attenua la preoccupazione del Papa che rivolge un appello non solo per la Libia ma per tutti quei paesi le cui popolazioni  stanno vivendo momenti difficili: “In questa prospettiva, mentre elevo al Signore la mia preghiera per un ritorno alla concordia in Libia e nell’intera Regione nordafricana, rivolgo un accorato appello agli organismi internazionali e a quanti hanno responsabilità politiche e militari, per l’immediato avvio di un dialogo, che sospenda l’uso delle armi. Il mio pensiero si indirizza, anche , alle Autorità ed ai cittadini del Medio Oriente, dove nei giorni scorsi si sono verificati diversi episodi di violenza, perché anche là sia privilegiata la via del dialogo e della riconciliazione nella ricerca di una convivenza giusta e fraterna”.

Detto questo permettetemi che richiami alcuni atteggiamenti che dovrebbero appartenere all’essere del cristiano oltre che, primariamente, ad un popolo che non molti decenni addietro sperimentava sulla propria pelle la triste realtà dell’emigrazione. Bene ha fatto il Presidente Napoletano, a New York, a richiamare il recente passato di milioni di Italiani che sono stati costretti a lasciare le loro case per Paesi ove era possibile vincere la povertà, la miseria, e realizzarsi come essere umani capaci di offrire opportunità di sviluppo ai Paesi “accoglienti”. Fa tristezza solo l’immaginare che un “popolo di migranti” opponga resistenza ad accogliere altri esseri umani in difficoltà.

Ho paura che, come in occasione del precipitare degli eventi in Libia, si è tergiversato per arrivare poi alla “guerra”, cosi, per le masse di immigrati e rifugiati si perda tempo per poi esasperare la situazione e trovare cosi avvallo a decisioni che nulla avranno a che vedere ne con gli interventi cosi detti umanitari, né con la salvaguardia dei diritti umani.

Anche in questo caso, come cristiani abbiamo la luce del magistero che dovrebbe accompagnare le nostre scelte e costringere la stessa politica ad uniformarsi ad essa. Il Pensiero della Chiesa sull’argomento è riassunto dal Papa nell’ultimo Messaggio per la giornata dei Migranti (più specificatamente per i rifugiati, molto ricco è il Messaggio della Quaresima 1990 di Giovanni Paolo II).

Dice Benedetto XVI: “Alla luce del tema “Una sola famiglia umana”, va considerata specificamente la situazione dei rifugiati e degli altri migranti forzati, che sono una parte rilevante del fenomeno migratorio. Nei confronti di queste persone, che fuggono da violenze e persecuzioni, la Comunità internazionale ha assunto impegni precisi. Il rispetto dei loro diritti, come pure delle giuste preoccupazioni per la sicurezza e la coesione sociale, favoriscono una convivenza stabile ed armoniosa.

Anche nel caso dei migranti forzati la solidarietà si alimenta alla “riserva” di amore che nasce dal considerarci una sola famiglia umana e, per i fedeli cattolici, membri del Corpo Mistico di Cristo: ci troviamo infatti a dipendere gli uni dagli altri, tutti responsabili dei fratelli e delle sorelle in umanità e, per chi crede, nella fede. Come già ebbi occasione di dire, “accogliere i rifugiati e dare loro ospitalità è per tutti un doveroso gesto di umana solidarietà, affinché essi non si sentano isolati a causa dell’intolleranza e del disinteresse” (Udienza Generale del 20 giugno 2007: Insegnamenti II,1 (2007), 1158).

Ciò significa che quanti sono forzati a lasciare le loro case o la loro terra saranno aiutati a trovare un luogo dove vivere in pace e sicurezza, dove lavorare e assumere i diritti e doveri esistenti nel Paese che li accoglie, contribuendo al bene comune, senza dimenticare la dimensione religiosa della vita”.

Avremo noi la “coerenza” dalla nostra? E la politica saprà fare la sua parte al di la di logiche egoistiche, di parte e/o elettorali? Voglio essere ottimistia con il Presidente Napoletano e dire: “We shall overcome”.

Padre Renato Gaglianone

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