il Punto Coldiretti

La Ue “mette i sigilli” al ristorante La Mafia

Il marchio dei ristoranti spagnoli La Mafia se sienta a la mesa offende la reputazione dell’Italia e del cibo italiano. Lo ha espressamente dichiarato l’Ufficio europeo per l’armonizzazione nel mercato interno di Alicante (Uami, da poco rinominato Euipo) che ha finalmente disposto il divieto di continuare ad impiegare un marchio che assicura lavoro ad una catena di circa 40 ristoranti diffusi su territorio spagnolo sfruttando una delle più dolorose pagine della storia italiana attraverso lo sdoganamento del trito e ritrito stereotipo mafia, pizza, pasta e mandolino che svilisce l’immagine del nostro Paese.

La vicenda risale all’esperienza Erasmus di uno studente italiano dell’Università degli studi di Milano che, nel 2012, dopo la sua permanenza in Spagna, durante la quale aveva provato indignazione per il legame tra il termine Mafia e l’attività di ristorazione, decise di scrivere una tesi di laurea dal titolo «Legittimare la mafia: il caso dei ristoranti “La Mafia se sienta a la mesa” in Spagna».

Il caso fece notizia, coinvolgendo anche gli organi di stampa e le istituzioni italiane. Diversi deputati e senatori chiesero al Ministro dell’Interno di prendere provvedimenti nei confronti di un’attività «contraria all’ordine pubblico e agli sforzi di promozione della cultura della legalità che le istituzioni dello Stato portano avanti».

E oggi, la decisione presa dall’Ufficio europeo, di dichiarare nullo il marchio, conferma la gravità del messaggio racchiuso nell’espressione La Mafia se sienta a la mesa (la mafia si siede a tavola) percepito da parte della maggioranza dei consumatori europei, e non solo italiani, come contrario non soltanto all’ordine pubblico ma alle basilari norme morali della società.

L’Ufficio europeo basa le proprie osservazioni sulle numerose prove presentate dall’Ambasciata italiana in Spagna manifestando preoccupazione per l’impiego di un marchio che cerca di presentare come invitante ed attraente il fatto di gustare la cucina italiana in un locale che vuole ricordare i set cinematografici in cui sono state girate le immagini sui codici di comportamento e sui rituali adottati dalle associazioni criminali per imporsi non solo in Italia ma anche all’estero.

Ma la mafia non è un film. E presentarla come tale è gravemente diseducativo perché irrispettoso nei confronti di chi si batte per affermare la cultura della legalità e di chi subisce o ha subito le conseguenze di azioni intimidatorie al di fuori di un set.
Associare la mafia a concetti quali l’onore, la famiglia e il rispetto fa perdere di vista il fatto che tali valori – fondamentali per l’onesta e corretta convivenza nel contesto di qualsiasi società che possa considerarsi civile – sono strumentalizzati dall’associazione criminosa per perseguire obiettivi illeciti.

Pertanto, nessuna banalizzazione può essere fatta di questo termine, suggerendo ai commensali di trascorrere una serata piacevole cui si accompagna dell’ottima cucina italiana accostata a qualche spregiudicato.

La decisione europea, ben articolata e densa di passaggi significativi sulla piaga della criminalità, consente di confermare l’importanza delle battaglie condotte in questi anni da Coldiretti – con il sostegno dell’Osservatorio sulla criminalità in agricoltura e sul sistema agroalimentare – finalizzate non soltanto a denunciare casi offensivi ed imbarazzanti di italian sounding che, pur di sfruttare il valore dei prodotti agroalimentari italiani, ricorrono ad espedienti di dubbio gusto, ma soprattutto a sensibilizzare i consumatori italiani e stranieri sui danni che provoca all’identità del patrimonio culturale ed agroalimentare italiano l’acquisto di un caffè Mafiozzo, di un amaro Il Padrino o di spezie Palermo Mafia Shooting.

Condotte, queste, che cancellano la nostra storia e la nostra identità e che rischiano di far scomparire il vero Made in Italy dalle tavole della vera convivialità italiana. Ma lascia, tuttavia, ben sperare il fatto che siano sempre più spesso i giovani a manifestare indignazione per fatti che danneggiano la reputazione e la dignità di chi lavora a tutela delle bellezze italiane.     

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