il Punto Coldiretti

Riforma Pac: sì all’agroambiente, no al greening che penalizza le imprese

E’ in discussione, presso il Consiglio Europeo, la proposta della riforma della Politica Agricola Comunitaria relativa al greening (‘rinverdimento’) con il quale si intende  rendere obbligatorie, per tutti gli agricoltori, alcune pratiche ecologiche che si vanno ad aggiungere a quelle tutt’ora previste nell’ambito del regime di condizionalità degli aiuti. Chi non rispetta le nuove  misure di sostenibilità ecologica perde il 30% dei finanziamenti e può incorrere in ulteriori sanzioni aggiuntive.

Rispetto al  greening le imprese agricole italiane ed europee hanno avanzato diversi dubbi ed attualmente è in atto un confronto piuttosto vivace con le associazioni ambientaliste che plaudono, invece, a tali misure.

Coldiretti, già sulla proposta iniziale della Commissione, ha sollevato alcune perplessità in quanto il vincolo di diversificazione delle colture a seminativo non assicura di per sé effetti ambientali positivi, perché non è una rotazione delle colture, mentre il vincolo del 7% a destinazione ecologica infligge costi molto diversi da zona a zona e penalizza troppo le aree più produttive.

Nel corso della riunione del Consiglio del 18 giugno scorso è stato presentato, da parte del commissario europeo Dacian Ciolos,  un “Concept Paper” con il quale si effettua una prima analisi  del dibattito,  sorto sul “greening”,  tra gli Stati membri in merito alla proposta iniziale e riconosce che alcuni elementi meritano un’ulteriore riflessione. A tal fine, la Commissione Ue formula dei  suggerimenti su come semplificare la Pac e migliorare le relative pratiche agricole benefiche per il clima e l’ambiente.

A seguito delle sollecitazioni provenienti dalle imprese agricole europee, la proposta iniziale greening è stata, quindi, riformulata “alleggerendo” in parte gli impegni a carico delle aziende.

Ciò nonostante, secondo Coldiretti, oltre ai problemi legati a un’eccessiva burocratizzazione e a pratiche considerate da molte imprese agricole troppo complicate e costose, il pacchetto del greening così come è stato formulato,  presenta alcuni elementi di ciriticità: le risorse per il rinverdimento finirebbero per finanziare coloro che detengono semplicemente dei terreni, non tenendo conto, invece, di quanto investono in colture con un impatto positivo sull’ambiente.

La proposta di destinare il 30% delle risorse al greening per favorire una maggiore cura dell’ambiente è in realtà da rivedere, perché esclude la maggior parte delle colture virtuose in termini di sostenibilità del territorio e di cattura di CO2, ampiamente diffuse nell’agricoltura italiana quali olivo, vite e alberi da frutta, che sono la base della dieta mediterranea. In pratica, per Coldiretti, paradossalmente con il greening  un olivicoltore italiano non prenderebbe i pagamenti ‘verdi’, mentre i prati della regina d’Inghilterra sì.

Inoltre, sarebbe opportuno ampliare il menù di misure ammissibili per il greening, inserendo anche pratiche virtuose ampiamente diffuse nell’agricoltura mediterranea (colture promiscue, pratiche anti-erosione, alberature corsi d’acqua, utilizzo razionale delle risorse idriche…). In generale, il greening andrebbe applicato in modo flessibile nei diversi Stati membri per adattarlo alle diverse specificità territoriali ed ambientali.
Si ritiene, inoltre, che gli agricoltori che già applicano misure che vanno oltre le prescrizioni obbligatorie dell’Unione in materia ambientale dovrebbero automaticamente poter fruire del pagamento di inverdimento.

Del resto, Coldiretti ritiene che sul versante ambientale, l’agricoltura stia già dando da diversi anni un contributo notevole considerato che, oltre alle misure obbligatorie di tutela ambientale previste nell’ambito della condizionalità, l’Italia ha finora speso il 54,35% delle risorse destinate dai Psr per le misure agroambientali alle quali gli agricoltori possono aderire volontariamente.

Sull’ambiente, però, intervengono anche altre misure dei Piani di sviluppo rurale  quali la 216 (investimenti non produttivi),  la 221 e la 223 (primo imboschimento di terreni agricoli e non agricoli), la  222 (primo impianto di sistemi agroforestali), la 225 (interventi silvo-ambientali), la 226 (ricostituzione del potenziale forestale) ed, infine, la 224 (Natura 2000, tutte misure che  già legittimano fortemente la spesa comunitaria a favore dell’agricoltura e operanti da diversi anni. 

Pertanto, per Coldiretti, la riforma della Pac, post 2013 dovrebbe rappresentare l’occasione per risolvere ben altri problemi quali quelli strutturali di volatilità dei prezzi e del ridotto potere negoziale lungo la filiera, conferendo alle produzioni europee una maggiore competitività rispetto a quelle provenienti dai paesi extracomunitari.

Le perplessità di Coldiretti sulla componente ecologica della riforma della Politica agricola  sono condivise da molti Stati membri, poiché il pacchetto delle misure proposte comporta un aumento dei costi amministrativi ed incrementa la burocrazia in controtendenza rispetto all’obiettivo di semplificazione che si pone la riforma. Inoltre la diversificazione delle colture, i pascoli permanenti e le aree ecologiche, in considerazione dei rilevanti costi amministrativi, rendono necessario compiere un’analisi del valore aggiunto.

Insomma, secondo Coldiretti, al momento, il rafforzamento delle misure a favore dell’ambiente tramite il greening non rappresenta  una priorità, anche perché  i dati dimostrano che l’Italia  possiede, già,  un altissimo patrimonio di biodiversità, grazie alla grande varietà di climi e di ambienti presente sul suo territorio. Per stessa ammissione del Wwf “Il paesaggio italiano accoglie un gran numero di habitat, specie animali e vegetali. Una moltitudine tale da rendere il nostro paese uno dei più ricchi di biodiversità a livello europeo e mondiale: oltre 57 mila specie animali, più di un terzo cioè dell’intera fauna europea e 9 mila tra piante, muschi e licheni ovvero la metà delle specie vegetali del continente. Per numero assoluto di specie floreali, inoltre, siamo i primi in Europa”.

Secondo la Rete Rurale Nazionale, inoltre, le specie di uccelli presenti in Italia sono circa 500. Quasi la metà delle specie è legato agli ambienti agricoli. Questo dato evidenzia, oltre al fatto che gli uccelli sono un indicatore di biodiversità, l’importanza della prosecuzione di azioni di conservazione della natura rivolte agli habitat agricoli italiani tramite le politiche agricole regionali, nazionali e comunitarie.

Tuttavia,  il rapporto Uccelli comuni in Italia evidenzia che negli ultimi 10 anni, grazie alle misure che hanno un impatto positivo sull’ambiente previste dalla Pac, i due indici (Farmland Bird Index (FBI) ed il Woodland Bird Index), impiegati per misurare lo stato di conservazione delle specie comuni,  segnano un andamento il primo, stabile, il secondo in miglioramento.

Quindi, non si comprende perché sia necessario obbligare gli agricoltori ad ulteriori impegni ambientali che, occorre ricordare, creano comunque un aumento dei costi di produzione, attualmente insostenibile per le imprese agricole, ma, soprattutto, forzano il sistema agricolo verso una funzione, quella ecologica, che è obiettivo importante, ma non prioritario in un sistema agroalimentare che deve garantire l’autosufficienza alimentare ad una popolazione mondiale che nel 2050, si prevede raggiungerà il record di 9 miliardi di persone.

Greening:  proposta iniziale della Commissione UE
 
Gli agricoltori devono:
1) avere almeno tre colture diverse sulle loro superfici a seminativo, se queste ultime occupano oltre 3 ettari e non sono interamente utilizzate per la produzione di erba (seminata o spontanea) o interamente lasciate a riposo o interamente investite a  colture sommerse per una parte significativa dell’anno; 
2)  mantenere il prato permanente esistente nella loro azienda;
3) avere un’area di interesse ecologico almeno sul 7% della  superficie agricola aziendale ammessa ad aiuti.

Le aree di interesse ecologico sono:
 a) terreni lasciati a riposo,
 b) terrazze,
 c) elementi caratteristici del paesaggio,
 d) fasce tampone (da facoltative, diventano obbligatorie)
 e) superfici oggetto di imboschimento.

Greening:  il concept paper (giugno 2012)
 
– previsione di un  sistema di certificazione ambientale per le misure del II pilastro che possono essere considerate come un adempimento (o più) delle misure di greening e un sistema di certificazione ambientale per la corretta esecuzione gli adempimenti;
– estensione della definizione di "prati permanenti" anche alle zone con sistemi tradizionali di agricoltura pastorizia che svolgono un ruolo chiave per la biodiversità, l’erosione del suolo e le emissioni di carbonio e quindi rendere ammissibili le superfici dove le specie non erbacee sono predominanti. Inoltre, si propone che la definizione di prati permanenti interessi i terreni non compresi nell’avvicendamento delle colture dell’azienda da almeno 8 anni o più;
– per la diversificazione delle colture, al fine di affrontare le preoccupazioni espresse dalle piccole aziende e di ottenere maggiore semplificazione per gli agricoltori e le amministrazioni nell’attuazione della misura, si prevede la possibilità di aumentare la soglia  di esenzione  definita tra 3 e 10 ettari e prevedere di esonerare le aziende con una superficie sino a 50 ettari, di cui una parte significativa sia coperta da prati permanenti e/o temporanei, maggese o coperti da una combinazione di questi. Inoltre, il requisito minimo del 5%, relativo alle tre colture, potrebbe essere raggiunto con la somma di diverse colture, purché la coltura principale  non superi il 70% della superficie a seminativo.

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