il Punto Coldiretti

Acque reflue urbane nel mirino dell’Europa

L’Italia non ha dato correttamente attuazione, in varie parti del suo territorio nazionale, alla direttiva 91/271/CEE del Consiglio del 21 maggio 1991 concernente il trattamento delle acque reflue urbane. Questo l’oggetto del contenzioso tra Italia ed Europa e dell’udienza della Corte di giustizia dell’Unione europea svoltasi il 23 gennaio per la discussione della causa  C-85/13 Commissione europea/Italia.

La Commissione, con il suo ricorso, ha chiesto alla Corte di dichiarare che l’Italia  è inadempiente rispetto agli obblighi derivanti dalla direttiva comunitaria concernente il trattamento delle acque reflue urbane, osservando, in particolare, che l’Italia ha omesso di prendere le disposizioni necessarie per garantire che gli agglomerati aventi un numero di abitanti equivalenti superiore a 10 000 e scaricanti in acque recipienti considerate "aree sensibili" siano provvisti di reti fognarie per le acque reflue urbane (comuni lombardi di Bareggio, Cassano d’Adda, Melegnano, Mortara, Olona Nord, Olona Sud, Robecco sul Naviglio, San Giuliano Milanese Est, San Giuliano Milanese Ovest, Seveso Sud, Trezzano sul Naviglio, Turbigo e Vigevano).

Non sono state inoltre prese le disposizioni necessarie per garantire che negli agglomerati aventi un numero di abitanti equivalenti superiore a 10 000, le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie siano sottoposte, prima dello scarico, ad un trattamento secondario o ad un trattamento equivalente (comuni di Pescasseroli (Abruzzo), Aviano Capoluogo, Cormons, Gradisca d’Isonzo, Grado, Pordenone / Porcia / Roveredo / Cordenons, Sacile (Friuli Venezia Giulia), Bareggio, Broni, Calco, Cassano d’Adda, Casteggio, Melegnano, Mortara, Orzinuovi, Rozzano, San Giuliano Milanese Ovest, Seveso Sud, Somma Lombardo, Trezzano sul Naviglio, Turbigo, Valle San Martino, Vigevano, Vimercate (Lombardia), Pesaro, Urbino (Marche), Alta Val Susa (Piemonte), Nuoro (Sardegna), Castellammare del Golfo I, Cinisi, Terrasini (Sicilia), Courmayeur (Valle d’Aosta) e Thiene (Veneto)).
 
Né sono state assunte le disposizioni necessarie per garantire che negli agglomerati aventi un numero di abitanti equivalenti superiore a 10 000 e scaricanti in acque recipienti considerate "aree sensibili",   le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie siano sottoposte, prima dello scarico, ad un trattamento più spinto di un trattamento secondario o equivalente (comuni di Pescasseroli (Abruzzo), Aviano Capoluogo, Cividale del Friuli, Codroipo / Sedegliano / Flaibano, Cormons, Gradisca d’Isonzo, Grado, Latisana Capoluogo, Pordenone / Porcia / Roveredo / Cordenons, Sacile, San Vito al Tagliamento, Udine (Friuli Venezia Giulia), Frosinone (Lazio), Francavilla Fontana, Monteiasi, Trinitapoli (Puglia), Dorgali, Nuoro, ZIR Villacidro (Sardegna) e Castellammare del Golfo I, Cinisi, Partinico, Terrasini e Trappeto (Sicilia));

Non sono state poi prese le disposizioni necessarie affinché la progettazione, la costruzione, la gestione e la manutenzione degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane realizzati per ottemperare ai requisiti fissati agli articoli da 4 a 7 della direttiva 91/271/CEE siano condotte in modo da garantire prestazioni sufficienti nelle normali condizioni climatiche locali e affinché la progettazione degli impianti tenga conto delle variazioni stagionali di carico  (comuni di Pescasseroli (Abruzzo), Aviano Capoluogo, Cividale del Friuli, Codroipo / Sedegliano / Flaibano, Cormons, Gradisca d’Isonzo, Grado, Latisana Capoluogo, Pordenone / Porcia / Roveredo / Cordenons, Sacile, San Vito al Tagliamento, Udine (Friuli Venezia Giulia), Frosinone (Lazio), Bareggio, Broni, Calco, Cassano d’Adda, Casteggio, Melegnano, Mortara, Orzinuovi, Rozzano, San Giuliano Milanese Ovest, Seveso Sud, Somma Lombardo, Trezzano sul Naviglio, Turbigo, Valle San Martino, Vigevano, Vimercate (Lombardia), Pesaro, Urbino (Marche), Alta Val Susa (Piemonte), Francavilla Fontana, Monteiasi, Trinitapoli (Puglia), Dorgali, Nuoro, ZIR Villacidro (Sardegna), Castellammare del Golfo I, Cinisi, Partinico, Terrasini, Trappeto (Sicilia), Courmayeur (Valle d’Aosta) e Thiene (Veneto)).

Il contenzioso in corso, che dovrà essere deciso dalla Corte di giustizia, mette in luce i limiti e le criticità della disciplina in materia di nitrati, che comporta l’applicazione a carico delle imprese agricole di onerosi e talvolta insostenibili adempimenti, attribuendo esclusivamente al settore agricolo la responsabilità del superamento dei valori soglia stabiliti dalla normativa comunitaria per la presenza di nitrati.

In realtà, la sovrapposizione della mappa delle zone designate come vulnerabili con quella dei punti di superamento della concentrazione dei nitrati rivela che ci sono intere zone designate che non presentano alcun superamento della soglia dei 50 mg/l, necessaria a giustificare la designazione come vulnerabile dell’area. Altre aree mostrano, invece, un diffuso superamento della soglia dei 50 mg/l, ma, se non risulta un ruolo realmente significativo del carico zootecnico, invece, rileva in tali ambiti proprio la pressione delle acque reflue urbane in relazione alle criticità depurative o delle acque reflue di origine industriale.

D’altra parte, risulta ancora inattuata la previsione dell’articolo 36, comma 7 ter del decreto legge 18 ottobre 2012, n.179, che pone a carico delle Regioni e delle Province autonome l’obbligo di provvedere all’aggiornamento delle zone vulnerabili da nitrati di origine agricola, secondo quanto concordato sulla base dell’Accordo Stato-Regioni, stipulato il 5 maggio 2011 ed in conformità ai criteri ivi indicati. L’accordo citato, in particolare, prevedeva, tra l’altro, la predisposizione di uno studio da parte di ISPRA, finalizzato alla verifica della congruità dell’attuale perimetrazione rispetto ai monitoraggi ed alla definizione dei carichi inquinanti attribuibili ai diversi settori civili e produttivi, per una razionale ed equa ripartizione delle rispettive responsabilità e dei conseguenti oneri.

La norma assegnava alle Regioni ed alle Province autonome il termine di novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (termine scaduto il 18 marzo 2013), prevedendo che, in caso di inerzia degli enti competenti, il Governo dovesse esercitare il potere sostitutivo entro un anno dalla data di entrata in vigore della medesima legge di conversione (termine scaduto il 18 dicembre 2013).  

La decorrenza infruttuosa dei termini lascia irrisolto il problema della necessaria rivisitazione delle zone vulnerabili e dei relativi criteri di individuazione, con conseguenze onerosissime sulle imprese agricole che operano all’interno dei territori designati. 

Il settore agricolo, quindi, ancora oggi, paga un prezzo pesantissimo in termini di limitazioni e costi produttivi e della sovrapposizione, nei valori rilevati dalle analisi periodicamente comunicate alla Commissione Europea, degli scarichi civili con quelli agricoli, mentre sarebbe necessario garantire la proporzionalità e l’adeguatezza delle misure di contenimento dell’apporto di nitrati applicate al settore agricolo.

Registrato presso il Tribunale Civile di Roma, Sezione per la Stampa e l'Informazione al n. 367/2008 del Registro della Stampa. Direttore Responsabile: Paolo Falcioni.
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