il Punto Coldiretti

Agricoltura in prima linea nella lotta all’inquinamento

Recenti vicende di cronaca e lo stop del traffico in numerose città italiane stanno riportando all’attenzione il tema dell’inquinamento. Specie negli ultimi tempi, inoltre, anche a seguito del verificarsi, con maggiore frequenza e numero, di eventi climatici violenti e disastrosi, questo problema è stato spesso associato proprio agli aspetti di maggiore influenza climatica e cioè alla necessità di contenimento dell’effetto serra mediante la riduzione delle emissioni.

Sappiamo, tuttavia, che l’inquinamento è una macrocategoria nella quale è necessario tenere distinte le connessioni esistenti tra attività, impatti ed effetti. Ad esempio, è noto che l’inquinamento dell’aria nelle nostre città dipende in misura maggiore dal traffico e dal riscaldamento degli edifici, mentre per quanto riguarda la responsabilità e il ruolo del settore agricolo nell’ambito delle strategie climatiche, va ricordato che l’agricoltura, in quanto principale utilizzatrice dei terreni, interagisce profondamente sui sistemi naturali e rappresenta un fattore determinante per la qualità dello spazio rurale e dell’ambiente.

Nell’ambito delle problematiche legate ai cambiamenti climatici, le attività agricole possono, dunque, agire sia come sorgenti di gas serra o, inversamente, come assorbitori netti di carbonio. Il settore agricolo, quindi, deve essere considerato in una duplice prospettiva: da un lato, come soggetto attivo, in quanto possibile responsabile di emissioni di gas climalteranti e, dall’altro, come soggetto passivo, rispetto alla vulnerabilità del settore nei confronti degli effetti negativi del clima.

In specifico, riguardo le responsabilità dell’agricoltura in termini di emissioni nazionali, secondo i dati dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra), le emissioni agricole risultano pari a 36,64 MtCo2/eq/a. La stessa relazione evidenzia, tra l’altro, una riduzione costante delle emissioni del settore agricolo nel periodo 1990-2006 e questo trend risulta tutt’ora in atto. In termini percentuali, secondo i dati elaborati e comunicati ufficialmente dall’Ispra alla Convenzione sui Cambiamenti Climatici (Unfccc), riferiti all’anno 2007, l’agricoltura, è responsabile soltanto del 6,7% delle emissioni nazionali totali.

Il contributo dell’agricoltura al totale delle emissioni di gas-serra in Italia è pressoché in linea con quello della media dell’Ue. Inoltre, secondo una stima effettuata dal Copa-Cogeca, prendendo il periodo1990-2007, le emissioni del settore agricolo nell’Ue a 27 sono calate del 20% (grazie alla riforma della Pac, ad un uso più efficiente di concimi e fertilizzanti e a causa di un notevole sforzo degli allevatori europei nell’attuazione di iniziative agricole e ambientali). Nella quota di emissioni di origine agricola, l’11,68% proviene dalle deiezioni zootecniche, mentre più della metà (57,68%) deriva dalle pratiche agricole (Ispra, 2008). Nell’ambito zootecnico, le principali fonti di emissioni riguardano il protossido di azoto (N2O) ed il metano (CH4).

er quanto riguarda il protossido di azoto, le emissioni provengono dallo stoccaggio e spandimento degli effluenti zootecnici e dall’apporto diretto delle deiezioni sui terreni da parte degli animali al pascolo (ma anche gli stessi insilati possono produrre emissioni di questo gas). In generale, le emissioni di N2O variano a seconda sia del tipo di stabulazione degli animali, sia delle tecniche che vengono utilizzate per ridurre le emissioni di ammoniaca nell’atmosfera. Per quanto riguarda le emissioni di metano, in generale, occorre tener presente che, negli allevamenti, queste sono dovute a due fattori: la emissione enterica dei ruminanti (ossia dovuta alla fermentazione anaerobica nel cosiddetto secondo stomaco – rumine – vera e propria digestione con produzione di biogas ed altri gas climalteranti) e l’emissione dovuta alla fermentazione dei letami e dei liquami nel corso della stabulazione, soprattutto quando la ridotta superficie agraria dell’azienda non permette l’applicazione immediata dei reflui al terreno, sottoponendo la massa alla degradazione microbica anaerobica.

In termini quantitativi, il metano di origine agricola (21,50 MtCo2eq/a) rappresenta il 40% del totale (Ispra 2008). Le emissioni di metano di origine agricola interessano quasi per la totalità il settore zootecnico. La fermentazione enterica degli animali, infatti, è responsabile del 70%, mentre il 20% è a carico delle deiezioni. Tuttavia, in termini di evoluzione del trend, sempre secondo le rilevazioni Ispra, anche i valori delle emissioni di gas serra della zootecnia risultano in costante discesa nel periodo 1990-2006. Il metano di origine zootecnica, in particolare, è calato, nel periodo considerato, del 12%. Questa riduzione è legata principalmente alla riduzione di numero dei capi (- 31% per le vacche da latte e – 16% per gli altri bovini).

Sempre rispetto alle emissioni di metano, con specifico riferimento all’acceso dibattito in corso a livello mondiale circa le responsabilità del settore zootecnico e della filiera di produzione della carne nell’ambito della competizione tra feed e food, si ritiene utile formulare alcune ulteriori riflessioni. I dati più volte menzionati sono quelli riportati in diversi rapporti di organismi internazionali e che attribuiscono consistenti contributi percentuali di emissioni di gas serra alla filiera carne. Ad esempio, un rapporto Fao del 2009 dichiara che il 18% dei gas serra mondiali deriva dagli allevamenti zootecnici. Si noti come, a livello nazionale (Ispra 2008) il dato non trovi corrispondenza in quanto le emissioni di metano di origine agricola (21,50 MtCo2eq/a) rappresentano poco più del 3% delle emissioni totali nazionali (455,71 MtCo2eq/a).

La discordanza si spiega considerando che il dato Fao è, infatti, riferito all’intera filiera zootecnica (compresi i processi a monte, quali la produzione e il trasporto di mangimi). Si tratta, dunque, di un dato medio, fortemente influenzato dall’elevato indice di industrializzazione ed intensivizzazione degli allevamenti del modello Usa. Resta il fatto che il dato Fao, così come viene diffuso (e spesso strumentalizzato) sembra non tenere in debito conto le varietà di metodo delle produzioni zootecniche a livello mondiale (in paesi come Brasile, Argentina, Uruguay e Australia la carne viene prodottta ancora con l’allevamento allo stato brado e sembra quanto mai improbabile che il modello Usa sia così determinante nell’ottica di un bilancio globale).

In generale, con riferimento agli impatti ambientali degli allevamenti zootecnici Coldiretti ritiene, come peraltro più volte affermato anche dalla Commissione Europea, che vi siano le condizioni per una consistente riduzione. Tra le possibili misure rientrano, ad esempio, la prevenzione del sovrappascolo e la rotazione dei terreni adibiti all’alimentazione del bestiame. In questo modo non si pregiudica, ma, anzi, si sviluppa ulteriormente la funzione di assorbimento del carbonio, prevenendo, altresì, l’erosione del suolo nei pascoli.

Per quanto riguarda l’alimentazione, le razioni di cibo somministrate al bestiame dovrebbero essere oggetto di specifica attenzione e riconsiderate al fine di ridurre la formazione di metano nell’apparato digerente dei ruminanti, senza per questo rallentare la produzione. Migliorando l’alimentazione e la produttività del bestiame è possibile ridurre le emissioni legate all’allevamento degli animali da latte. Anche la selezione genetica, rivolta a razze bovine, ovine e caprine, con l’ottenimento di animali in grado di emettere metano in modo ridotto, è un potente strumento per migliorare l’impatto ambientale dovute alle emissioni di gas climalteranti.

Altri contributi positivi possono venire dalla diffusione degli impianti di biogas per la produzione di energia dai reflui zootecnici, in grado di concorrere alla riduzione delle emissioni di metano, nel rispetto dei criteri di economicità e di gestione sostenibile. Inoltre, l’indicazione sulle etichette della carne del tipo di produzione utilizzato può costituire un ausilio per le scelte dei consumatori, indirizzandoli il più possibile verso sistemi produttivi più sostenibili dal punto di vista ambientale.

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