il Punto Coldiretti

Agricoltura italiana e Ogm, un connubio impossibile

La diffusione degli organismi geneticamente modificati appartiene ad un modello di produzione agricola antitetico rispetto a quello italiano. E’ quanto ribadito dalla Coldiretti in occasione dell’Audizione al Senato del 2 luglio scorso, avente come oggetto un indagine conoscitiva sugli Ogm.

L’agricoltura italiana, infatti, non ha nulla da guadagnare dall’introduzione del, transgenico perché coltivare questo tipo di piante significa mettersi in concorrenza con forme di agricoltura diverse, caratterizzate da aziende agricole di grandi dimensioni, connotate da costi di produzione bassi, nessuna limitazione nell’uso di concimi e di antiparassitari, uso di manodopera a basso costo ed assenza di tutele sociali.

Il modello produttivo che va associato agli Ogm, infatti, non può conciliarsi con la qualità delle produzioni, né si raccorda con lo sviluppo sostenibile e tantomeno è orientato a preservare l’identità culturale, economica, sociale e professionale di un territorio.

Con ogni probabilità, gli unici in grado di guadagnare dalle applicazioni Ogm sarebbero i produttori di beni alimentari di scarsa qualità e ottenuti a basso costo, produzioni con cui la nostra agricoltura non può competere sul mercato globale, avendo preferito, da tempo, una strategia di competitività basata sulla qualità.
E, per il momento, il consumatore ha deciso che l’alimento di qualità non è certo quello transgenico.

Il mercato ha già bocciato gli Ogm, giudicandoli come il prodotto di una tecnologia inaffidabile, pericolosa per l’ambiente e la salute, oltre che diseconomica, se non per chi ne detiene i brevetti.
E’ chiaro, infatti, come il consumatore non abbia ottenuto finora alcun vantaggio dagli Ogm, in quanto ai fini nutrizionali questi non comportano nessun beneficio rispetto a quelli non modificati.

Anzi, la perdita di variabilità qualitativa determina una modificazione e una omologazione dei gusti del consumatore, che rischia di non essere più in grado di distinguere i sapori tradizionali dai sapori tecnologici (ad ulteriore dimostrazione della chiara tendenza del consumatore europeo va segnalata, ad esempio, l’ostinazione delle imprese cinesi a vendere i pomodori in Europa dichiararandoli a tutti gli effetti liberi da Ogm).

Nella partita Ogm, come in numerose altre, gli interessi dei produttori vengono a coincidere, quindi, con quelli dei consumatori e appare necessario consolidare una alleanza che rappresenti un forte momento di confronto e di incontro per garantire una alimentazione sana, territoriale e di qualità.

E’ infatti fin troppo evidente che il modello produttivo cui appare orientato l’impiego di Ogm sia il grande nemico della tipicità e il grande alleato dell’omologazione.
La più importante considerazione in questo senso riguarda, pertanto, gli effetti riconducili all’impiego degli Ogm nella politica di valorizzazione del made in Italy agroalimentare. Gli Ogm, infatti, svincolano gli alimenti dalle condizioni ambientali e, quindi, di fatto, spingono alla delocalizzazione e alla perdita di ogni legame con il territorio.

Da queste considerazioni emergono allora alcuni legittimi interrogativi: per quale motivo il nostro Paese dovrebbe aprire al transgenico se il consumatore non lo vuole? Perché la nostra agricoltura dovrebbe abbandonare una strategia sicura, basata sulla qualità, sulla tracciabilità e sulla sicurezza alimentare, per far posto a una produzione anonima e indifferenziata? Perché mai, in un’ottica di sicurezza alimentare, dovremmo adattarci a coltivare prodotti non ancora sicuri per la salute umana e per l’ambiente? In sostanza, perché dunque dovremmo rinunciare a produrre ciò che il mercato più apprezza e più ricerca?

L’audizione di Coldiretti al Senato si è conclusa con l’auspicio che la strategia nazionale sul tema della coesistenza tra le forme di agricoltura transgenica, convenzionale e biologica esca dall’impasse attuale. Infatti, come sottolineato più volte anche dalla stessa Commissione europea (nella Comunicazione 153 del 2 aprile 2009), la normativa sulla coesistenza è ancora tutt’altro che definita.

A ciò si aggiunga che sulle “Linee Guida per le normative regionali di coesistenza tra colture convenzionali, biologiche e geneticamente modificate” approvate nel 2007 dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome non è stata ancora raggiunta l’intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni.

E’ opinione di Coldiretti che, al fine di poter assicurare la effettiva coesistenza, queste linee guida vadano al più presto definite escludendo il rischio di qualsiasi contaminazione e prevedendo la messa a punto di misure da applicare ad una scala riferibile ad ambiti geografici particolari e, cioè, aree agricole omogenee, da individuarsi su base regionale.

Non può, infatti, esservi vera coesistenza, né può essere garantito che nessuna forma di agricoltura sia esclusa dal territorio, se alle Regioni non venga data facoltà di adottare tutte le misure che ritengono necessarie, fino a dichiarare l’intero territorio libero da Ogm. Solo così, tra l’altro, è possibile assicurare il rispetto del diritto di scelta del consumatore.

Registrato presso il Tribunale Civile di Roma, Sezione per la Stampa e l'Informazione al n. 367/2008 del Registro della Stampa. Direttore Responsabile: Paolo Falcioni.
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