il Punto Coldiretti

L’allevamento italiano è sostenibile

L’allevamento italiano è assolutamente sostenibile grazie al percorso di qualità portato avanti dalla zootecnia nazionale, capace, ad esempio, di abbattere di un quarto le emissioni di ammoniaca. Sono le conclusioni di un evento proposto dal Crea – Centro di ricerca Politiche e Bioeconomia, nell’ambito delle attività della Rete Rurale Nazionale, per fare il punto rispetto ai progressi fatti per ridurre gli impatti ambientali e climatici del settore, con particolare riguardo alle implicazioni relative alla revisione della Direttiva Ied (Industrial Emissions Directive), la direttiva Nec sulle emissioni di ammoniaca e di altre normative (ad esempio nitrati e la stessa Pac). Il dibattito si è soffermato principalmente sull’ammoniaca e sui gas climalteranti e sulle migliori tecniche disponibili (Bat-Best Available Techniques) per evitare o ridurre al minimo le emissioni inquinanti nell’atmosfera, nelle acque e nel suolo.

In tale contesto, sono state illustrate le misure previste nel Piano Strategico della Pac (Psp) in materia di qualità dell’aria, oltre ad una serie di riflessioni circa le potenziali ricadute per la zootecnia italiana e per il commercio estero dei prodotti di origine animale.

Tra i numerosi dati presentati spiccano i buoni progressi conseguiti nel contenimento delle emissioni di ammoniaca dal nostro comparto zootecnico, ottenuti proprio grazie alle buone pratiche introdotte dal Programma Nazionale di controllo dell’inquinamento atmosferico e al Codice Nazionale di buone pratiche agricole per il controllo delle emissioni di ammoniaca che ne costituisce una parte integrante.

Le emissioni di ammoniaca del comparto agro-zootecnico nazionale, infatti, hanno visto una consistente riduzione dal 1990 al 2015, registrando un -24%, mentre, rispetto agli obiettivi fissati dalla direttiva Nec, si è già ampiamente conseguito il risultato relativo alla diminuzione delle emissioni totali del 5% rispetto ai valori del 2005 (nel periodo dal 2020 al 2029), e, sempre rispetto al 2005, è prossimo ad essere conseguito anche l’obiettivo del -16% entro il 2030, grazie ad una percentuale di riduzione conseguita del -13%.

Questi risultati sono senz’altro dovuti ad un accrescimento di un approccio sostenibile da parte degli imprenditori agricoli ma anche all’introduzione di particolare misure, attraverso il citato codice, in parte volontarie (e quindi fatte oggetto di sostegno Pac) ed in parte obbligatorie, con riferimento all’obbligo di incorporazione dei fertilizzanti a base di urea; alle modalità di spandimento dei materiali non palabili (divieto di distribuzione della frazione liquida con attrezzature in pressione su terreni con pendenza media minore del 15%); all’obbligo di incorporazione del liquame e dei materiali palabili (solido) in determinate condizioni in termini tempo e mezzo tecnico impiegato e all’obbligo di copertura dei siti di stoccaggio delle deiezioni attraverso formazione di crosta, con, in aggiunta, divieto di costruzione di nuove lagune per lo stoccaggio a partire dal 2022.

I risultati sin qui conseguiti lasciano ben sperare anche in considerazione dell’aggiornamento del Programma nazionale di controllo dell’inquinamento atmosferico attualmente in corso e rispetto all’importanza delle misure di sostegno presenti nella nuova Pac, tra le quali possono essere citate l’eco schema 1 “Pagamento per la riduzione dell’antimicrobico resistenza e il benessere animale” e la Sra 30 “Pagamento per il miglioramento del benessere animale”.

Proprio il benessere animale, tra l’altro, secondo i dati scaturiti da un progetto di ricerca del Crea, sembra essere uno degli aspetti che incide favorevolmente sulla riduzione delle emissioni. Il mantenimento degli animali in buona salute, infatti, è alla base di un efficiente equilibrio tra produttività e impiego delle risorse necessarie alla produzione stessa e della conseguente massimizzazione dei risultati relativi all’abbattimento degli impatti climatico-ambientali per kg di prodotto.

Viceversa, una riduzione di questa efficienza, così come un eccessivo peso sulle imprese in termini di costi di adeguamento per la sostenibilità che possa portare ad una contrazione dei capi o, addirittura a fenomeni di abbandono delle attività zootecniche, porterebbe gravi ripercussioni in molteplici ambiti.

Secondo i dati presentati sul bilancio import export emerge, infatti, come l’Italia sia ai primi posti nel campo delle importazioni delle materie prime agricole (bovini di allevamento, carni bovine e suine, latte), primeggiando, al tempo stesso, nell’esportazione dei prodotti trasformati. Ne consegue che una eccessiva pressione sugli allevamenti italiani, che rischia di generarsi quando le normative ambientali su acqua, suolo e atmosfera mancano di una necessaria integrazione, potrebbe comportare un ulteriore aumento delle importazioni di animali vivi, carne e latte, senza nessun beneficio climatico-ambientale perché le emissioni sarebbero solo spostate nei paesi di provenienza (quasi completamente europei), arrecando, contestualmente, un ulteriore danno al bilancio nazionale dell’import export dei prodotti agroalimentari nazionali.

 

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