Lo studio che assolveva il Glifosato era un fake
La rivista scientifica internazionale Regulatory Toxicology and Pharmacology ha ritrattato dopo 25 anni lo studio che affermava la sicurezza dell’erbicida Glifosato, cancellando di fatto dal corpus della letteratura scientifica. La decisione è stata motivata evidenziando “serie criticità etiche legate all’indipendenza degli autori e all’integrità accademica dei dati sulla cancerogenicità presentati”. L’accusa, in pratica, è che a scrivere lo studio sia stata la stessa Monsanto, avvalendosi della complicità dei tre ricercatori i quali avrebbero fatto da semplici prestanome, omettendo i rischi legati all’uso della sostanza. La revoca (retraction) di uno studio rappresenta la sanzione più grave per un lavoro scientifico: interviene quando emergono errori sostanziali o quando si configurano veri e propri casi di frode. L’articolo, dal titolo “Safety Evaluation and Risk Assessment of the Herbicide Roundup and Its Active Ingredient, Glyphosate, for Humans”, è stato pubblicato nel 2000 a firma di tre ricercatori – Gary Williams (New York Medical College), Robert Kroes (Università di Utrecht) e Ian Munro (società di consulenza Cantox, oggi Intertek) – e si presentava come una valutazione indipendente della sicurezza del glifosate, principio attivo dell’erbicida Roundup di Monsanto, giudicato non dannoso per la salute umana. Dal 2000 ad oggi le autorità di regolamentazione di molti Paesi hanno utilizzato proprio questo studio come tassello chiave a sostegno della presunta sicurezza degli erbicidi a base di glifosate, inclusa l’Agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente (EPA). La stessa ricerca è stata citata in oltre seicento pubblicazioni successive, rappresentando di fatto la base che ha consentito di evitare la messa al bando della sostanza nonostante i possibili effetti nocivi sulla salute dei lavoratori agricoli. Il ruolo della Coldiretti La Coldiretti è stata la prima organizzazione a denunciare pubblicamente i pericoli legato all’uso del glifosato a partire dal suo utilizzo in fase di preraccolta sulle coltivazioni. Il caso simbolo è quello del grano canadese che arriva nei porti italiani dopo essere stato fatto seccare grazie all’uso della sostanza. Grano che viene usato da parte dell’industria alimentare italiana per produrre pasta. Un rischio per la salute dei consumatori oltre che un danno per gli agricoltori italiani, messi all’angolo da quella che è una vera e propria concorrenza sleale, consentita dalla mancanza del principio di reciprocità. I rischi per la salute di tutti, il glifosato nel latte materno Nel corso degli anni sono state molte le sentenze che hanno visto la Monsanto (acquisita nel 2028 dalla Bayer) versare risarcimenti milionari in seguito a cause civili promosse da agricoltori e giardinieri colpiti da tumore legato all’uso del glifosato. Ma il contatto diretto e prolungato non è l’unico pericolo. Diversi studi hanno rilevato residui di glifosato nel latte materno, sollevando preoccupazioni per gli effetti sulla crescita infantile, data la vulnerabilità dei neonati e il ruolo cruciale del latte come nutriente e prima difesa immunitaria. La prima analisi del 2014, commissionata da “Moms Across America” e “Sustainable Pulse”, ha trovato residui elevati in 3 su 10 campioni di latte materno di donne americane. Nel 2017, uno studio sul Journal of Agromedicine ha confermato la presenza di glifosato e paraquat nel siero materno e nel cordone ombelicale di 82 donne thailandesi in gravidanza, chiedendo maggiore regolamentazione (2). Conferme arrivano anche dallo studio dell’Università di Paranà sul Brazilian Journal of Medical and Biological Research, che ha rilevato glifosato in tutti i 67 campioni di latte materno analizzati, oltre che in acqua potabile e di pozzo della zona, con stime significative di ingestione nei primi 6 mesi di allattamento che amplificano i rischi ambientali e per la salute neonatale. |
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