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Natura 2000: per la Corte di Giustizia Ue giustificati i vincoli senza indennizzo

La Corte interpreta le disposizioni del diritto dell’Unione in materia d’indennità di compensazione Natura 2000 e chiarisce che la tutela dell’ambiente può giustificare una restrizione all’esercizio del diritto di proprietà che non conferisce necessariamente un diritto ad indennizzo (Causa C-234/20 e causa C-238/20).

Nel corso del 2002, in Lettonia, una società ha acquistato 7,7 ettari di torbiere, situati in una zona naturale protetta e in una zona di conservazione d’importanza comunitaria Natura 2000 presentando al Servizio di sostegno al mondo rurale una domanda di indennizzo, per gli anni 2015 e 2016, nonostante il divieto d’impiantare coltivazioni di mirtilli rossi in tali torbiere. Tale servizio ha respinto la domanda in quanto la normativa nazionale applicabile non prevede un tale indennizzo.

La questione è stata sottoposta alla Corte di giustizia Europea che si è pronunciata su diverse questioni riguardanti il reg. UE n. 1305/2013, sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (Feasr) , nonché sull’articolo 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea relativo al diritto di proprietà. Tale articolo stabilisce che nessuno può essere privato della proprietà se non per causa di pubblico interesse, nei casi e nei modi previsti dalla legge e contro il pagamento in tempo utile di una giusta indennità per la perdita della stessa.

Nella sentenza la Corte ha constatato che «torbiere» o «terreni torbosi» situati in zone Natura 2000 che non rientrano nella definizione di «superficie agricola» o in quella di «foresta» ai sensi del regolamento citato non possono beneficiare d’indennità.

La Corte ha esamina poi la questione se tale regolamento consenta a uno Stato membro di escludere le torbiere dal beneficio delle indennità Natura 2000 o di limitare la concessione del sostegno per tali zone alle situazioni in cui la loro designazione come «zone Natura 2000» abbia l’effetto di ostacolare l’esercizio nelle stesse di un tipo specifico di attività economica, in particolare la selvicoltura.

A tale proposito, la Corte precisa che uno Stato membro può stabilire una definizione della nozione di «foresta» escludendo le torbiere o i terreni torbosi dal diritto a beneficiare d’indennità, quand’anche si trattasse di zone rientranti nella definizione del reg. UE n. 1305/2013. Peraltro, in linea di principio, il diritto dell’Ue conferisce agli Stati membri la libertà di scelta delle misure che essi intendono attuare tra quelle previste da tale diritto e, dall’altra, la definizione delle restrizioni o degli svantaggi per i quali concedere i pagamenti.

Secondo la Corte è permesso a uno Stato membro di escludere dalle indennità Natura 2000, da un lato, le «zone agricole Natura 2000» ai sensi di detta disposizione, comprese le torbiere che rientrino in tali zone, e, dall’altro lato, torbiere situate in zone Natura 2000 che rientrino in linea di principio nella nozione di «foresta» ai sensi del regolamento e, pertanto, in quella di «zone forestali Natura 2000» ai sensi di tale regolamento. Inoltre, uno Stato membro può limitare i pagamenti di tali indennità per zone forestali Natura 2000 comprendenti, eventualmente, torbiere alle situazioni in cui la designazione di tali zone quali «zone Natura 2000» ha l’effetto di ostacolare l’esercizio nelle stesse di un tipo particolare di attività economica, nello specifico la silvicoltura.

Infine, la Corte evidenzia come, nella sua formulazione, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea conferisca espressamente un diritto ad indennità solo in caso di privazione del diritto di proprietà, come un’espropriazione, ipotesi che non si verifica nel caso specifico.

Nel caso in esame, il divieto di coltivazione di mirtilli rossi in un bene rientrante nella rete Natura 2000 rappresenta non una privazione del diritto di proprietà su tale bene, bensì una restrizione del suo uso che può essere disciplinato dalla legge nei limiti imposti dall’interesse generale.

Secondo la Corte, non risulta che una misura che si limita a vietare la coltivazione di mirtilli rossi nelle torbiere affinché siano tutelati la natura e l’ambiente costituisca, in assenza di un indennizzo a favore dei proprietari interessati, un intervento sproporzionato e inaccettabile che lede la sostanza stessa del diritto di proprietà di questi ultimi.

La Corte stabilisce in merito che, se è vero che gli Stati membri possono all’occorrenza considerare, sempre che agiscano così facendo nel rispetto del diritto dell’Unione, che è opportuno indennizzare, parzialmente o totalmente, i proprietari delle parcelle interessate dalle misure di conservazione adottate in forza delle direttive «uccelli» e «habitat», da tale constatazione non si può tuttavia dedurre l’esistenza, nel diritto dell’Unione, di un obbligo di concedere un tale indennizzo.

La Corte conclude che non occorre concedere un’indennità Natura 2000 al proprietario di una torbiera rientrante in detta rete per il motivo che è stata posta una restrizione a un’attività economica esercitabile in tale torbiera, in particolare il divieto di coltivare mirtilli rossi, poiché, nel momento in cui ha acquisito l’immobile in questione, il proprietario era a conoscenza dell’esistenza di tale restrizione prevista dalla legislazione nazionale.

La decisione della Corte profila uno scenario preoccupante nella misura in cui riconosce ad uno Stato membro la possibilità di escludere alcune aree situate in zone di Natura 2000 dalla definizione di area agricola o forestale impedendo alle imprese agricole che esercitano in dette aree la loro attività la possibilità di beneficiare di indennità che compensino il mancato reddito per la presenza di vincoli ambientali. Di conseguenza è importante sensibilizzare le Regioni rispetto all’importanza di non penalizzare le imprese agricole insistenti nella aree Natura 2000 affinché non adottino misure restrittive come la preclusione dell’accesso alle indennità che si andrebbero ad aggiungere ai vincoli ambientali.

La decisione della Corte appare inoltre in contrapposizione con le finalità per cui sono ste previste nei Piani di Sviluppo Regionale le indennità per le imprese che operano in aree della rete Natura 2000. Tale sentenza desta delle forti perplessità perché mostra come si creino delle contraddizioni nell’ambito della Pac: da un lato, si promuove l’agricoltura sostenibile, dall’altro, le si sottraggono gli strumenti perché questo possa avvenire senza una penalizzazione del reddito agricolo creando delle distorsioni concorrenziali tra imprese ricadenti nelle zone SIC e ZPS rispetto a quelle che invece sono al di fuori delle zone appartenenti alla rete Natura 2000.

Nella seconda sentenza (causa -238/20), rispetto ad una domanda di indennizzo per i danni causati all’acquacoltura da uccelli ed altri animali tutelati l’autorità nazionale ha respinto la domanda in quanto alla società ricorrente era già stato concesso un importo totale corrispondente al massimale dell’aiuto de minimis di 30.000 euro, per un periodo di tre esercizi finanziari. Tale sentenza è stata impugnata di fronte alla Corte di Giustizia europea che per motivi in sostanza analoghi a quelli addotti nell’ambito della causa C-234/20, dichiara che l’art. 17 della Carta deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che l’indennizzo concesso da uno Stato membro per le perdite subite da un operatore economico in ragione delle misure di protezione applicabili in una zona della rete Natura 2000 in forza della direttiva «uccelli» sia sensibilmente inferiore ai danni effettivamente subiti da tale operatore.

Successivamente, invitata a stabilire se un’indennità concessa mediante risorse statali, quale quella di cui al procedimento principale, conferisca al suo beneficiario un vantaggio ai sensi della legislazione vigente, riguardante gli aiuti di Stato, tenuto conto del suo carattere compensativo, la Corte osserva che i costi connessi al rispetto degli obblighi regolamentari in materia di tutela dell’ambiente, e in particolare della fauna selvatica, e all’assunzione dei danni che quest’ultima può finire col causare ad un’impresa del settore dell’acquacoltura rientrano nei normali costi di esercizio di una tale impresa. Pertanto, la concessione di un indennizzo per i danni causati alla propria impresa da animali protetti costituisce un vantaggio economico di cui l’impresa interessata non può, in linea di principio, rivendicare il beneficio in condizioni nomarli di mercato.

Secondo la Corte, un indennizzo concesso da uno Stato membro per le perdite subite da un operatore economico in ragione delle misure di protezione applicabili in una zona della rete Natura 2000 in forza della direttiva «uccelli» conferisce un vantaggio che può costituire un «aiuto di Stato» ai sensi di tale disposizione, qualora siano soddisfatte le altre condizioni relative a una siffatta qualificazione. Infine, il giudice del rinvio domanda se a tale indennizzo si applica il tetto degli aiuti de minimis di 30.000 euro, previsto da tale disposizione.

La Corte constata che, nella misura in cui è applicabile il regolamento n. 717/2014, lo Stato membro interessato, se decide, come nel caso di specie, di introdurre un massimale di 30.000 euro per l’aiuto in questione, può qualificare quest’ultimo come «aiuto de minimis» e astenersi, di conseguenza, dal notificarlo alla Commissione.

Registrato presso il Tribunale Civile di Roma, Sezione per la Stampa e l'Informazione al n. 367/2008 del Registro della Stampa. Direttore Responsabile: Paolo Falcioni.
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