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Anche il Tar del Friuli boccia il ricorso pro-Ogm

Non soltanto il Tar del Lazio e il Consiglio di Stato hanno respinto il ricorso contro il decreto adottato il 12 luglio 2013 dai Ministeri della Salute, delle Politiche agricole e dell’Ambiente che vieta sull’intero territorio nazionale la coltivazione di mais geneticamente modificato Mon810 per un periodo di 18 mesi, da poco rinnovati, ma anche il Tar della Regione Friuli Venezia Giulia, in cui è stato illecitamente seminato il mais transgenico, ha confermato lo stop.

Infatti, dopo aver seminato in 4 campi il mais contestato, la Regione è intervenuta applicando la legge regionale del 28 marzo 2014 n. 5, che vieta le coltivazioni Ogm nel proprio territorio, disponendo a carico dell’autore sanzioni pecuniarie e l’obbligo di rimozione del materiale Gm dai campi coltivati.

Accertato che non erano state completate le attività di rimozione delle colture vietate, l’Amministrazione regionale è intervenuta d’ufficio, per evitare contaminazioni con le colture dei campi limitrofi non Gm. Tuttavia, le operazioni si sono presentate ancora più difficoltose a causa di recinzioni, fili spinati e chiodi disseminati in uno dei campi coltivati, tanto da richiedere l’intervento della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Udine che ha ordinato la distruzione anche di questo ulteriore appezzamento.

L’agricoltore, percepito l’intervento dei poteri pubblici come lesivo del proprio interesse a coltivare un mais Gm autorizzato dall’Unione europea, si è rivolto al tar del Friuli Venezia Giulia per ottenere l’annullamento della legge regionale n. 5 del 2014 e dei provvedimenti con i quali era stata disposta l’estirpazione delle piante di mais Mon810 dai propri campi, oltre al risarcimento del danno.

Il Tar friulano, al contrario, ricorda, in primo luogo, che la materia agricoltura rientra, a livello europeo, nella competenza concorrente dell’Unione e dei singoli Stati e che, a livello nazionale, la materia è di competenza esclusiva delle Regioni, alle quali è anche riservata la potestà nell’adozione delle misure di coesistenza tra coltivazioni convenzionali, biologiche e transgeniche.
 
E proprio alla luce di tali competenze, la Regione ha provveduto a fissare le misure che vietano la presenza involontaria di Ogm in altre colture, in considerazione delle peculiarità del territorio del Friuli Venezia Giulia, caratterizzato da modelli produttivi e strutture aziendali che rendono impossibile la convivenza tra produzioni Gm e non Gm. In attesa di ricevere il parere favorevole della Commissione europea sulla proposta delle misure che vietano la coesistenza, la Regione ha emanato la legge regionale n. 5 del 2014 diretta a impedire, fino all’approvazione definitiva delle misure di coesistenza e comunque per un periodo non superiore a dodici mesi dalla sua entrata in vigore, la coltivazione di mais geneticamente modificato nel territorio regionale. 

Il Tar ha ribadito la legittimità di tale provvedimento alla luce dell’articolo 26 bis della direttiva 12 marzo 2001 n. 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio, che riconosce agli Stati la possibilità di adottare tutte le misure opportune per evitare la presenza involontaria di Ogm in altri prodotti, indipendentemente dalle prove scientifiche sulla pericolosità del prodotto.

A tal proposito, il Tar ha dichiarato che il divieto di coltivazione disposto dalla legge regionale non è stato previsto per motivi di tutela della salute o dell’ambiente, che consentirebbero di discutere di prove scientifiche, ma per ragioni che accertano l’impossibilità di una coesistenza tra colture biologiche, transgeniche e convenzionali.

D’altra parte, la mancanza di conoscenze scientifiche consolidate sulla potenziale pericolosità di un Ogm giustifica, in virtù del principio di precauzione, l’adozione di misure che anticipano la tutela di interessi particolarmente sensibili che potrebbero essere lesi nell’attesa di disporre di prove scientifiche certe sui rischi derivanti da attività potenzialmente pericolose (in questo senso, anche Cons. Stato, sez. III, n. 605/2015).

La direttiva 11 marzo 2015 n. 2015/412 del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2001/18/CE per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati sul loro territorio, prende atto della difficoltà di garantire la coesistenza tra colture transgeniche e non, riconoscendo, pertanto, agli Stati membri la facoltà di impedire la coltivazione di uno o più Ogm su tutto il territorio o parte di esso per motivi diversi da quelli attinenti alla salute e all’ambiente e che sono giustificati dal perseguimento di obiettivi di politica agricola o ambientale, da esigenze di pianificazione urbana e territoriale, da finalità di contenimento dell’uso del suolo, da questioni di ordine pubblico, dalla valutazione degli impatti socio-economici o, ancora, dalla necessità di evitare la presenza di Ogm in altri prodotti.

La nuova direttiva, in applicazione del principio di sussidiarietà, riconosce la libertà degli Stati di tutelare territori e produzioni agricole che garantiscono, attraverso la loro distintività, il più alto grado di ricchezza in termini di biodiversità e competitività.

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