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Biodiversità, con i boschi serve tutelare le imprese agroforestali

Il 22 maggio si è celebrata la giornata mondiale della biodiversità. Questa proclamazione, decisa dalle Nazioni Unite, è avvenuta, tra l’altro, nell’anno dedicato proprio alla biodiversità, il 2011, in un clima di forte impulso alla consapevolezza globale sull’importanza delle azioni di valorizzazione, conservazione e tutela delle diverse specie animali e vegetali che popolano il nostro pianeta.

In questo contesto, le foreste sembrano essere oggetto di particolare attenzione, anche a causa del loro fondamentale ruolo nelle strategie di lotta al cambiamento climatico.

Tuttavia, nonostante gli sforzi delle Nazioni Unite per creare le condizioni di una valorizzazione anche economica del ruolo di protezione delle foreste attraverso importanti convenzioni internazionali, come la Convention on Biological Diversity (CBD) e la United Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCCC), la deforestazione nel mondo resta un problema ancora aperto.

Secondo la Fao, infatti, si è assistito ad un rallentamento di questo fenomeno solo nei paesi industrializzati, ma nel resto del pianeta la distruzione delle foreste prosegue a ritmi allarmanti, tanto che ogni anno si perdono 7,3 milioni di ettari di foreste tropicali. Per capire l’entita del problema, basti pensare che un ettaro di foresta tropicale assorbe circa 10 tonnellate di anidride carbonica per anno, producendo, nel contempo, circa 20 tonnellate di ossigeno: un ruolo, questo, fondamentale per la lotta contro i cambiamenti climatici.

Come sappiamo, inoltre, le foreste costituiscono la struttura di base della biodiversità terrestre, sia vegetale che animale, rappresentando un imprescindibile baluardo contro i processi di degrado del suolo e di desertificazione. Desta particolare preoccupazione, allora, anche un altro dato Fao, secondo il quale nella lista dei paesi che attuano i più alti livelli di deforestazione comparirebbero proprio quelli che hanno sottoscritto impegni formali per la protezione delle foreste (come il Brasile e l’Indonesia).

La classifica, infatti, vede, nell’ordine: Brasile, Indonesia, Sudan, Zambia, Messico, Congo, Myanmar, Nigeria, Zimbawe e Argentina. Per quanto riguarda la situazione del patrimonio forestale italiano, i problemi non riguardano tanto la deforestazione, ma, piuttosto, la necessità di dare gambe ad una politica nazionale in materia.

Le politiche di gestione e sviluppo del bosco, a livello nazionale, infatti, hanno come linee di indirizzo quelle contenute nel "Programma Quadro per il settore forestale" (Pqsf)”, approvato nel 2009, che ha recepito le indicazioni della politica comunitaria.

L’obiettivo generale del Programma è quello di incentivare la gestione forestale sostenibile al fine di tutelare il territorio, contenere il cambiamento climatico, attivando e rafforzando la filiera forestale dalla sua base produttiva e garantendo, nel lungo termine, la multifunzionalità e la diversità delle risorse forestali. Si osserva, tuttavia, come il principale limite del Programma sia la mancanza di un supporto finanziario di riferimento, col rischio di non poter attuare le linee di indirizzo proposte.

Per quanto riguarda le prospettive economiche, necessarie a garantire la convenienza della gestione forestale, va sottolineato come boschi e foreste possano fornire sia servizi ambientali che turistico-ricreativi, i quali rappresentano beni pubblici e soddisfano interessi collettivi.

A tal fine, si ricorda come il decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 227 (orientamento e modernizzazione del settore forestale), individui nella valorizzazione della selvicoltura l’elemento fondamentale per lo sviluppo socioeconomico e per la salvaguardia ambientale del territorio italiano, promuovendo la gestione sostenibile del bosco e la tutela della biodiversità, anche in osservanza degli impegni assunti a livello internazionale.

Appare evidente, allora, anche l’importanza di alcuni strumenti (previsti dagli articoli 14 e 15 del d.lgs. n. 228/2001 e dagli articoli 7 ed 8 del già citato d.lgs. n. 227/2001), secondo i quali le pubbliche amministrazioni, nel rispetto degli orientamenti comunitari in materia di aiuti di Stato all’agricoltura, possono concludere contratti di promozione con gli imprenditori agricoli che si impegnano, nell’esercizio dell’attività di impresa, ad assicurare la tutela delle risorse naturali, della biodiversità, del patrimonio culturale e del paesaggio agrario e forestale, nonché della cura e del mantenimento dell’assetto idrogeologico. Purtroppo, va rilevato che, attualmente, questi strumenti risultano ancora scarsamente utilizzati.

Come riuscirà, allora, il settore forestale italiano ad integrarsi con le politiche di sviluppo europee? La strategia forestale europea, infatti, oggi trova attuazione nella politica comunitaria ambientale, agricola e di sviluppo rurale e nell’ambito del dibattito europeo sulla riforma delle politiche comunitarie post 2013, permane la necessità di riconoscere, attraverso scelte concrete di programmazione, il ruolo delle foreste nelle politiche europee di sviluppo socio-economico.

Occorre, quindi, realizzare, anche attraverso strumenti finanziari dedicati, una strategia forestale europea che favorisca, per le aree montane e rurali, la salvaguardia dell’ambiente ed il contenimento dei cambiamenti climatici, investendo sulla competitività del settore forestale, incrementando e incentivando la gestione forestale sostenibile e valorizzando la multifunzionalità dei servizi forestali.

Tuttavia, per essere questo percorso rispondente alle esigenze e alle caratteristiche del settore forestale italiano, si dovrà operare ponendo la giusta attenzione ad alcuni punti chiave. Nelle strategie europee si riscontra, infatti, una preoccupante assenza di un programma di difesa, tutela e sviluppo dedicato specificatamente alle foreste mediterranee.

Rispetto alle foreste ed alle economie del centro-nord Europa, infatti, le realtà mediterranee presentano esigenze notevolmente diverse, che richiedono la configurazione di strumenti programmatici ad hoc. Nelle foreste mediterranee, ad esempio, operano imprese medio-piccole, il cui principale prodotto è costituito dalla legna da ardere.

Queste imprese forestali, in molti territori dell’Europa mediterranea rurale, montana e marginale, rappresentano, oggi, l’ultima reale attività che sia in grado di fornire una funzione produttiva, occupazionale e di presidio ambientale (si pensi, a questo proposito, ai fenomeni dello spopolamento delle aree montane, della fuga dei giovani, della disoccupazione e del dissesto idrogeologico).

In questo quadro appare chiara la necessità di incentivare, con azioni specifiche di supporto e di innovazione, gli investimenti e la diversificazione produttiva delle microimprese forestali, così come è necessario favorire, con azioni integrate, lo sviluppo di filiere locali e autosufficienti di tipo legno-energia.

Anche per quanto riguarda la vulnerabilità ai cambiamenti climatici, sono proprio gli ecosistemi forestali mediterranei a subirne in modo particolare le conseguenze negative, trovandosi a dover affrontare nuovi scenari, il cui impatto deve essere opportunamente valutato e monitorato.

Si fa riferimento all’aumento degli incendi, al cambiamento dei regimi pluviometrici, alla diffusione ed al rafforzamento di nuove e già presenti patologie, all’alterazioni degli stadi fenologici ed alle conseguenti variazioni delle produzioni, alla perdita di diversità biologica e paesaggistica ed alle ripercussioni sugli equilibri economici e sociali delle comunità locali.

Rispetto alle politiche di mitigazione climatica, va, tuttavia, sottolineato anche il ruolo positivo del settore agroforestale. Così come riconosciuto dal Protocollo di Kyoto e ribadito nelle strategie europee per la riduzione delle emissioni di gas serra, il sistema forestale contribuisce, infatti, in modo rilevante alla sfida ai cambiamenti climatici grazie alla sua funzione di carbon sink (assorbimento di carbonio da parte delle piante e del suolo).

I proprietari forestali (il 60% della superficie forestale nazionale è di proprietà privata), attraverso molteplici e riconosciuti interventi di gestione sostenibile, contribuiscono, infatti, a tutelare e ad incrementare l’efficienza di questo ruolo.

Nell’interesse complessivo della politica di riduzione delle emissioni, si rende, quindi, sempre più urgente la predisposizione di specifici strumenti in grado di riconoscere ai propietari forestali, quantificandolo e certificandolo, il loro contributo all’assorbimento del carbonio, tanto più che, secondo una stima ministeriale, il valore del carbon sink forestale nazionale è valutabile intorno ai 633 milioni di euro.

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