Biologico, le importazioni dall’estero mettono a rischio il made in Italy
Il Sistema Informativo Nazionale sull’Agricoltura biologica ha pubblicato il rapporto 2009, riportando per la prima volta dei dati dettagliati rispetto alle importazioni, in Italia, dei prodotti biologici. L’analisi dei numeri sulle importazioni di prodotti biologici da paesi terzi, pur evidenziando per il 2009 una netta diminuzione delle quantità totali di prodotto importato, pari a circa il 45% rispetto al 2008, segna comunque un trend complessivo in crescita delle importazioni, se si confrontano le 49.509 tonnellate di prodotto complessivo con le 31.252,05 del 2006 così come resta crescente il numero di importatori che nel complesso ha raggiunto il numero di 260. Un’analisi poco approfondita dei dati potrebbe, infatti, far ritenere che si sia di fronte ad un’inversione di tendenza visto che le importazioni del 2008, pari a 89.859,12 t. sono scese a 49.509 t., nel 2009, ma si tratta di un fenomeno congiunturale dovuto al fatto che nel 2008, si è verificato un netto aumento dei prezzi dei cereali italiani e di alcuni prodotti trasformati che ha indotto i trasformatori a privilegiare l’acquisto di prodotti biologici esteri a più basso prezzo. Se, infatti, si paragona il dato del 2009 con quello del 2006, si riscontra come il trend delle importazioni resti in ogni caso crescente. Infatti, a partire dal 2007 si registra un netto aumento dell’importazione di cereali, soprattutto dai paesi asiatici, che se nel 2006 erano pari a zero, nel 2008, proprio per il fenomeno congiunturale dei prezzi sopra descritto, sono arrivate a ben 44.378 tonnellate, per poi diminuire di nuovo a 23.269,98 t. nel 2009, con una netta prevalenza per il grano tenero rispetto al grano duro. Il riso, invece, segna una flessione in quanto dalle 2.043 t del 2006, le importazioni sono scese a 1.284 t. nel 2008, per poi risalire a ben 3492,23 t. nel 2009. A seguire, i quantitativi maggiori riguardano le patate con 6.651 t, la colza 6.289 t.ed un prodotto che identifica, per eccellenza, il made in Italy alimentare, quale l’olio extravergine di oliva (1.264,96 t). Il dato rispetto a tale prodotto è preoccupante in quanto nel 2006, le importazioni erano decisamente inferiori ammontando a 947,62 t. Ciò significa che esiste anche per l’olio extravergine biologico, una forte concorrenza da parte degli altri paesi mediterranei che va ad intaccare l’immagine di uno degli alimenti più caratteristici dell’alimentazione italiana. Anche l’ortofrutta che dovrebbe rappresentare la produzione di punta del settore agricolo biologico italiano, registra rispetto al 2006 un aumento delle importazioni che per le arance, i kiwi ed i limoni in tale anno il quantitativo era pari a zero, nel 2009 sono improvvisamente balzate rispettivamente a 378 t. , 647 t. e 406 t. E’ importante evidenziare che il Sinab riporta solo i dati dei prodotti biologici importati in regime di non equivalenza. Si tratta cioè di un prodotto importato da paesi extraeuropei per il quale occorre una specifica autorizzazione da parte del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali. Per i prodotti biologici che invece sono ottenuti secondo regole assimilate a quelle della legislazione comunitaria (prodotti importati in regime di equivalenza1) esiste un albo degli importatori autorizzati dal Ministero ed è sufficiente la garanzia degli organismi di controllo. Pertanto, il dato sui cereali, così quello di altri prodotti, è sicuramente più elevato in quanto non sono conteggiate le tonnellate di grano che entrano in Italia in regime di equivalenza, né quelli che transitano da altri paesi dell’Ue che importano da paesi extraeuropei. Infatti, esiste un sistema di triangolazione delle importazioni per cui il grano può ad es. essere acquistato da un importatore olandese e poi rivenduto ad un trasformatore italiano. Pertanto, i dati riportati dal Sinab sono sicuramente sottostimati, perché registrano solo una parte del fenomeno delle importazioni di prodotti biologici. Tale andamento evidenzia come le politiche di sostegno all’agricoltura biologica sia tramite i Piani di Sviluppo Rurale che attraverso il Programma Nazionale di Sviluppo dell’Agricoltura Biologica, promosso dal Ministero delle politiche Agricole Alimentari e Forestali, non stiano dando i risultati attesi e necessitino di una revisione rispetto alle tipologie di misure incentivate. Di fatto, l’Italia che investe nell’agricoltura biologica è divisa in due: la produzione agricola è concentrata al sud (Puglia, Sicilia, Calabria, Basilicata, Campania, Abruzzo e Sardegna), mentre importatori e trasformatori sono per la maggior parte residenti al nord. La filiera agroalimentare biologica è, quindi, ancora lontana dall’avere una capacità competitiva tale, da potersi difendere rispetto all’aggressione dei paesi extraeuropei e del bacino mediterraneo che puntano essenzialmente sui più bassi costi di produzione. Per questo è importante puntare sull’indicazione dell’origine in etichetta di tali alimenti, sull’introduzione di un logo che identifichi gli alimenti biologici interamente ottenuti con prodotti italiani ed investire in strutture di commercializzazione e trasformazione non limitandosi ad incentivare solo la fase di produzione, tramite gli aiuti comunitari previsti dai Psr. Lo studio del Sinab mostra, in ogni caso, l’utilità e l’importanza di avere un sistema di rilevazioni statistiche efficienti al fine di poter compiere analisi corrette sull’andamento del settore per poter, di conseguenza, orientare le politiche di sviluppo verso soluzioni più efficaci ed incisive. |
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