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Bioshoppers, i chiarimenti del Ministero sull’applicazione delle deroghe

Sono soltanto due le categorie di shoppers esenti dal divieto di commercializzazione nelle more dell’adozione delle ulteriori disposizioni tecniche previste dalla normativa vigente: i sacchi realizzati con materiali compostabili (polimeri conformi alla norma armonizzata UNI EN 13432:2002) e quelli che sono realizzati con materiali non compostabili (altri polimeri), quando siano riutilizzabili, in quanto provvisti o di una maniglia esterna alla dimensione utile dello stesso sacco ed abbiano spessore superiore a 200 micron se trattasi di sacchi destinati all’uso alimentare (cioè per il trasporto di alimenti) e 100 micron se destinati ad altri usi; o di una maniglia interna alla dimensione utile del sacco ed abbiano spessore superiore ai 100 micron se destinati all’uso alimentare e 60 micron se destinati agli altri usi.  Per la seconda categoria indicata, quindi (sacchi realizzati con polimeri non conformi alla norma armonizzata UNI EN 13432:2002), la normativa richiede anche che gli shoppers contengano una percentuale di plastica riciclata di almeno il 10 per cento e del 30 per cento per quelli ad uso alimentare.

E’ quanto chiarito dal Ministero dell’Ambiente nella risposta all’interrogazione n.3-02871, presentata dal senatore Francesco Ferrante, in cui si contestava l’interpretazione data da una circolare di Unionplast ai propri aderenti in ordine alla tipologia di sacchi commercializzabili ai sensi dell’articolo 2 del decreto legge n.2/2012 (convertito con legge n.28/2012).

In particolare Unionplast, nella circolare del 12 aprile 2012, diramata ai propri associati, aveva interpretato le disposizioni del decreto legge individuando una terza categoria di sacchi commercializzabili, vale a dire i sacchi ottenuti impiegando plastiche da riciclo post consumo, senza vincoli di spessore e di maniglia, aventi un contenuto di materiale plastico riciclato nella percentuale di non meno del 30% per quelli ad uso alimentare e del 10 %se destinati ad altri usi.

Nella interrogazione, quindi, sono stati richiesti chiarimenti al Ministero dell’ambiente, evidenziando il potenziale effetto elusivo del divieto conseguente a tale interpretazione. Il Ministero ha espressamente precisato che l’articolo 2, comma 3 del decreto legge n.2/2012 sancisce che “i sacchi realizzati con polimeri non compostabili, quindi tutti quelli fatti di plastica tradizionale, devono contenere una percentuale di plastica riciclata proveniente dalla raccolta differenziata di almeno il 10 per cento e di almeno il 30 per cento se trattasi di sacchi destinati al trasporto di alimenti. Il dettato di tale comma esaurisce al momento l’elenco delle specifiche tecniche che i sacchi devono avere per essere commerciabili. 

Dall’analisi del testo, nella successione dei commi, si evince che il comma 1, nello specificare quali sacchi sono commerciabili, fa una prima distinzione tra i sacchi compostabili e quelli che non lo sono. Quelli che non lo sono, possono però essere commercializzati se rispondono ai requisiti di spessore ivi dettagliati, in quanto si presume che siano riutilizzabili dall’utente finale per il fatto di avere spessori elevati e quindi essere più resistenti all’uso ripetuto. Il comma 3 aggiunge un’ulteriore specifica tecnica a cui devono rispondere i sacchi per essere commercializzati e cioè che debbano contenere plastica riciclata. Il fatto che le buste siano realizzate con plastica riciclata nelle percentuali previste al comma 3 non esime però dall’osservanza dei requisiti di cui al comma 1 in quanto a tipo di maniglia e spessore, come erroneamente diffuso da Unionplast ai suoi associati”.

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