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Cambiamenti climatici, l’agricoltura reciterà un ruolo importante

Anche nell’ambito del negoziato climatico internazionale l’agricoltura è chiamata a giocare un ruolo centrale. La prossima Conferenza di Copenhagen, che si svolgerà dal 7 al 18 dicembre, rappresenta, infatti, un’occasione importante per promuovere un’agricoltura sostenibile a livello globale che sia, al contempo, in grado di affrontare la sfida del raggiungimento del fabbisogno di sufficienza alimentare. Questo obiettivo può essere raggiunto riconoscendo un ruolo centrale al settore agricolo nelle strategie di adattamento e di mitigazione dei cambiamenti climatici.

Negli ultimi anni, infatti, l’impresa agricola ha recuperato un ruolo strategico, divenendo strumento necessario per raggiungere gli obiettivi di tutela dell’ambiente, salvaguardia del territorio, qualità e sicurezza alimentare, obiettivi a cui si deve aggiungere quello della mitigazione degli effetti negativi dei cambiamenti climatici.

Ecco allora che oggi le scelte produttive delle imprese agricole sono sempre più spesso indirizzate verso un’offerta comprensiva di numerosi servizi ad elevato “valore aggiunto”, quali quelli ambientali. A questo proposito, rispetto alle complesse interazioni esistenti tra agricoltura ed ambiente, è opportuno sottolineare come l’attività agricola interagisca profondamente sui sistemi naturali e finisca per rappresentare un fattore in ogni caso determinante. Infatti, se, da un lato, l’esercizio dell’attività agricola sui territori ha contribuito, nel corso dei secoli, alla creazione ed alla salvaguardia di una grande varietà di habitat naturali e di paesaggi, al tempo stesso, pratiche agricole ed un utilizzo della terra sconsiderato rischiano di incidere negativamente sulle risorse naturali.

In generale, il modello di produzione agricola, in termini di efficienza e di produttività, è condizionato in misura consistente, oltre che dalle capacità di gestione e di pianificazione dell’imprenditore, da una diretta dipendenza dagli elementi caratterizzanti il luogo di produzione, quali la fertilità del suolo e le condizioni climatiche.

Per questo motivo, nell’ambito delle tematiche connesse ai cambiamenti climatici, l’agricoltura è soggetta ad alti livelli di rischio e le imprese agricole saranno sempre più costrette ad adottare i necessari meccanismi di adattamento, per rispondere ai numerosi condizionamenti, diretti ed indiretti, apportati dai cambiamenti climatici (variazioni qualitative e quantitative delle produzioni, alterazioni degli stadi fenologici, del sistema fitopatologico e delle esigenze in termini irrigui e di lavorazioni, spostamento degli areali produttivi, modifica delle vocazionalità d’area, ecc.).

Rispetto alla vulnerabilità climatica dell’agricoltura, va rilevato come l’elemento determinante sia rappresentato dalla velocità di evoluzione dei fenomeni climatici, che caratterizza il cambiamento climatico in corso. I sempre più frequenti fenomeni estremi (incendi, violenti tempeste, inondazioni e siccità), insieme alla comparsa di altre anomalie climatiche (gelate precoci o tardive, maggiore variabilità della stagionalità, alterazioni della frequenza delle precipitazioni interstagionali e interannuali, comparsa di nuove malattie animali e vegetali) rappresentano pressioni in grado di mettere effettivamente a rischio la solidità dell’intero sistema agricolo, provocando una generale perdita di rendimento e di qualità delle produzioni nella maggior parte delle regioni mediterranee, sino a sfociare in una tendenza alla riduzione o all’abbandono delle attività agricole e forestali, in queste come in altre aree vulnerabili.

Relativamente allo scenario di riferimento, emerge, dunque, la necessità di mettere a punto misure di adattamento specificatamente rivolte all’agricoltura, finalizzate a far fronte ai cambiamenti climatici attraverso azioni di adeguamento alle mutate condizioni ambientali e di prevenzione degli effetti connessi. Tra l’altro, un’efficace strategia in questo senso può consentire non solo di ridurre il rischio ed i danni conseguenti alle variazioni del clima, ma anche di sfruttare i benefici derivanti dalle nuove opportunità economiche che si aprono in questo contesto.

Tuttavia, sempre rispetto all’indissolubile rapporto esistente tra clima ed agricoltura, non può essere sottovalutato il contributo positivo che il settore agricolo può assicurare nell’ambito della lotta ai cambiamenti climatici. Infatti, le attività agricole e quelle connesse all’agricoltura, oltre a presentare elevate potenzialità in termini di produttività e di competitività, possono rivestire un ruolo centrale di presidio ambientale del territorio, essendo  in grado di influire in modo consistente su alcuni preoccupanti fattori di rischio di interesse collettivo, quali, ad esempio, l’erosione, il dissesto idrogeologico, gli incendi e la siccità.

Il ruolo sociale dell’agricoltura in ambito climatico si deve estendere, quindi, alla sua funzione ed al suo collocamento nell’ambito delle cosiddette strategie di mitigazione. In questo senso, deve essere considerato il contributo del settore nell’ambito delle riduzioni delle emissioni nette di CO2 e di altri gas serra attraverso la produzione di biomassa per finalità energetiche in sostituzione di fonti fossili di energia e l’adozione di pratiche agricole che favoriscano il sequestro del carbonio (carbon sink) nella biomassa e nei suoli (si pensi, ad esempio, all’adozione di misure volte a ridurre l’uso di concimi azotati, alla diffusione dell’impiego del compostaggio, alla produzione di biogas, alla lavorazione dei terreni in base a principi ambientali e alla diffusione dell’agricoltura biologica).

D’altra parte, l’evoluzione stessa del modello produttivo agricolo sta ampliando notevolmente le potenzialità di questo settore nel campo dell’offerta di risposte e strumenti efficaci nella lotta al cambiamento climatico, con molteplici e differenziate opzioni, quale, a titolo di esempio, la valorizzazione e la promozione di modelli di produzione e di consumo sostenibili.

In generale, il ruolo positivo che l’agricoltura può ricoprire in ambito climatico appare strettamente legato alla capacità delle politiche settoriali di restituire al territorio una centralità, sviluppando nuove attività e nuove forme di occupazione, in un contesto culturale che necessariamente prevede anche una rivisitazione dei modelli di consumo.

Nuovi ed incoraggianti comportamenti vanno oggi in direzione di questo modello di sostenibilità. Si pensi ad esempio:
– alla promozione di modelli di consumo caratterizzati dalla riduzione dei trasporti dei prodotti alimentari (quello che Coldiretti ha denominato progetto “chilometri zero) in risposta alla domanda di un numero crescente di consumatori che adottano, anche nell’alimentazione, stili di vita attenti al risparmio energetico ed alla salvaguardia dell’ambiente e del clima;

– alla diffusione della filiera corta (intesa in senso spaziale), concetto legato alla valorizzazione del consumo dei prodotti stagionali e territoriali. Tale modello rappresenta l’occasione più a portata di mano per offrire valide opportunità reddituali alle imprese e dare impulso allo sviluppo del territorio;

– all’istituzione dei mercati di vendita diretta, ai fini della riduzione della distanza tra produttore e consumatore;

– alla difesa, attraverso opportune politiche di etichettatura, dell’identificazione delle produzioni alimentari con il territorio di provenienza, per un “made in Italy” alimentare in grado di porre il territorio al centro dello sviluppo.

E ancora:
– alla lotta agli ogm per impedire la delocalizzazione delle produzioni;

– alla diffusione dell’uso di oggetti, abiti ed utensili completamente biodegradabili e sicuri da un punto di vista sanitario, provenienti da fibre vegetali o da bioplastiche (attraverso lo sviluppo delle bioraffinerie).

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