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Carbon sink, quali opportunità per il settore agroforestale?

Quali possono essere le prospettive per il settore agroforestale nell’ambito del ruolo di conservazione del carbonio? Se ne è discusso il 31 marzo, a Roma, in occasione di un convegno organizzato dall’Inea dal titolo Mercato volontario per la compensazione delle emissioni di Co2: quali opportunità per il settore forestale?

L’evento ha rappresentato un’importante occasione di confronto su un tema, che, pur essendo di estrema attualità ed interesse, è caratterizzato da un alto livello di complessità tecnica. La difficoltà di comprensione dei meccanismi che sono alla base delle metodologie di contabilizzazione del carbonio assorbito dai sistemi agroforestali e la continua evoluzione del relativo dibattito anche a livello di negoziato internazionale sul clima hanno, infatti, impedito, fino ad ora, il diffondersi di una sensibilità diffusa nei confronti di questo tema e, conseguentemente, rallentato la messa a punto di misure in grado di assicurare un corrispettivo economico al settore agroforestale a fronte del suo ruolo di conservazione dell’anidride carbonica (Co2) nelle piante e nel suolo.

Il convegno, partendo dalla presentazione del volume "Gli Accordi volontari per la compensazione della Co2. Indagine conoscitiva per il settore forestale in Italia" redatto dall’Osservatorio foreste Inea e da La Compagnia delle foreste, è stata l’occasione per fare il punto della situazione sul livello di diffusione e sulle prospettive dei cosiddetti accordi volontari (il sistema di scambio sul libero mercato dei crediti di carbonio).

L’organizzazione e la diffusione che il mercato volontario dei crediti di carbonio ha avuto a livello internazionale e, negli ultimi anni, anche in Italia, è un fenomeno a cui gli operatori agroforestali guardano con un certo interesse proprio perché, attraverso questo sistema, si potrebbero aprire prospettive per una remunerazione economica del proprio ruolo, attraverso la sottoscrizione di impegni per la cessione dei crediti ad altri soggetti (industria, enti e i comuni cittadini), interessati ad acquistarli per azzerare le proprie emissioni di Co2.

Tuttavia, la questione non risulta così semplice, poiché, oltre alle difficoltà tecniche e metodologiche, il tema nel nostro Paese deve anche inserirsi in quel capitolo più ampio che fa capo alle modalità con cui nel nostro Paese si è attuato il Protocollo di Kyoto, ed in particolare, con la contabilizzazione e la rendicontazione dei carbon sink da parte dello Stato nell’ambito del bilancio nazionale delle emissioni di gas serra.

In Italia, infatti, con l’istituzione del registro nazionale dei serbatoi di carbonio forestali, lo Stato contabilizza gli assorbimenti forestali con un approccio inventariale senza nessun riconoscimento economico nei confronti di chi quel carbonio ha effettivamente contribuito ad immagazzinarlo, visto che più del 60% delle foreste italiane è di proprietà privata.

Grazie a questo meccanismo, infatti, lo Stato italiano risparmia cifre molto consistenti. Il valore di questi assorbimenti, secondo una stima ufficiale, sarebbe di 650 milioni di euro per il quinquennio del primo periodo di Kyoto, ma occorre considerare che in questa stima è stato applicato un prezzo della Co2 di 5 Euro a tonnellata, rispetto ad un valore di mercato che oggi è più che triplicato.

L’approccio seguito dall’Italia, di fatto, penalizza gli investimenti degli operatori forestali desiderosi di affacciarsi al mercato volontario dei crediti di carbonio in quanto determina il problema della cosiddetta doppia contabilizzazione.

Il risultato è che, attualmente, i proprietari forestali italiani non possono né iscriversi al registro nazionale per rivendicare i crediti prodotti dalle loro superfici che lo stato contabilizza nell’ambito del bilancio nazionale, né partecipare al mercato volontario, proprio in virtù del fatto che quei crediti sono stati già contabilizzati dallo Stato.

Ecco che, nonostante il ruolo del settore agroforestale nella conservazione del carbonio sia ampiamente citato in tutti i consessi politici e scientifici, sino ad ora, non si è ancora riusciti a legare gli effetti benefici delle attività agroforestali ad effettivi riconoscimenti di natura economica ed è evidente il paradosso di un settore agroforestale che viene sempre più spesso messo sul banco degli imputati per gli impatti negativi delle proprie emissioni di gas serra mentre non è stato fatto ancora nessun passo, né verso l’effettivo riconoscimento della vulnerabilità climatica del settore, né nei confronti del suo contributo positivo, quale, appunto, quello legato all’azione di carbon sink, attualmente considerato come un servizio “dovuto” alla collettività.

Ecco che, allora, con un destino ancora incerto, legato all’evoluzione dei trattati internazionali sul clima, sulle metodologie di contabilizzazione e di applicazione futura delle misure che permettono di valorizzare gli assorbimenti agroforestali (le cosiddette misure Lulucf), questi ritardi andrebbero colmati, cercando di assicurare delle forme di remunerazione economica all’azione di carbon sink dell’agricoltura, sia che questo avvenga attraverso la creazione di un mercato per lo scambio di crediti di carbonio, sia attraverso altre forme, come ad esempio un reindirizzamento, almeno parziale, delle risorse che lo Stato risparmia dalla contabilizzazione dei crediti di carbonio delle superfici private, in fondi da assegnare al settore, proprio al fine di stimolare la crescita e l’efficienza della funzione di carbon sink dell’agricoltura e della forestazione nazionale.

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