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Copenhagen, l’agricoltura rivendica il suo ruolo

L’agricoltura rivendica il suo ruolo al summit di Copenhagen. Durante la giornata di mercoledì 9 dicembre, alla Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite sul clima in corso nella capitale danese, è stata ribadita l’importanza del ruolo del settore primario nell’ambito delle strategie climatiche. In particolare, durante la sessione plenaria che si occupa degli emendamenti al nuovo protocollo di Kyoto, la Federazione Internazionale dei Produttori Agricoli (Ifap) ha chiesto una maggiore attenzione all’agricoltura e il suo inserimento nei meccanismi flessibili.

L’intervento ha chiarito, infatti, che, con la crescente tendenza alla riduzione delle risorse disponibili in conseguenza dei cambiamenti climatici, l’agricoltura, non deve essere vista come produttrice di inquinamento, ma come sink (assorbitore) di carbonio e bene primario dell’umanità. Per questo deve essere supportata nell’ambito delle strategie climatiche e il suo inserimento nei meccanismi flessibili previsti dal protocollo di Kyoto (misure che permettono la compensazione delle emissioni del comparto energetico e industriale mediante l’acquisto di crediti di carbonio prodotti da imprese che invece hanno un bilancio delle emissioni positivo) risponde alla necessità di assicurare alle imprese agricole climaticamente virtuose un riconoscimento economico ai loro sforzi.

Riteniamo che questo intervento abbia toccato un punto fondamentale circa la possibilità di un riconoscimento definitivo del ruolo dell’agricoltura nelle strategie di mitigazione e di adattamento e ci auguriamo che il dibattito che seguirà nei giorni successivi sia particolarmente costruttivo in questo senso.

Si segnala che nell’ambito della stessa sessione la discussione è state anche caratterizzata da diffuse proteste circa l’attuale gestione dei meccanismi flessibili. In particolare, è stata denunciata un inflazione di progetti per il Clean Development Management (il meccanismo flessibile che permette lo scambio dei diritti di emissione tra i paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo) e dei crediti alle emissioni acquisiti in Cina da parte dei Paesi dell’Unione Europea. Inoltre, Giappone, Arabia Saudita e altri paesi produttori di combustibili fossili (Emirati Arabi, Nigeria, Algeria, Libia, ecc) hanno protestato perché i progetti CCS (carbon capture and storage – progetti che prevedono lo stoccaggio fisico della CO2, attraverso l’immagazzinamento in appositi depositi) attualmente non fanno parte dei progetti ammissibili per il Clean Devolpment Management e chiedono che al più presto si decida positivamente in proposito.

Tuttavia, contro l’inclusione dei progetti CCS nei meccanismi del CDM sono intervenuti il Brasile e la Corea del Sud che sostengono sia più conveniente, invece di assorbire l’anidride carbonica con impianti CCS che aumentano inutilmente l’industrializzazione e minacciano l’integrità territoriale, usare metodi e meccanismi naturali, quali quelli della forestazione, della riforestazione e della lotta alla deforestazione. Ancora una volta, dunque, le attività agroforestali sono state indicate come una risorsa imprescindibile per il conseguimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni mondiali.

Per quanto riguarda la sessione giornaliera della COP (la commissione che si occupa delIa preparazione del nuovo trattato) si è articolata, sostanzialmente, su diverse proposte presentate rispettivamente da Tuvalu, Costa Rica, Australia, Giappone ed Usa. Al termine di lunghe discussioni, le posizioni si sono radicalizzate in 3 proposte distinte.

La prima è quella di Tuvalu, AOSIS (alleanza dele piccole isole) e LCD (stati più poveri) caratterizzata  da due protocolli legalmente vincolanti di cui uno fondamentale ed uno aggiuntivo.

Una seconda proposta è quella sostenuta dalla Cina e dai paesi cosiddetti BASIC e G-77, anche qui per due trattati distinti, uno di base, fondato sulla “road map di Bali” e un protocollo di Kyoto emendato (per il breve periodo).

La terza, quella della Unione Europea e della maggior parte dei paesi industrializzati, prevede invece un trattato unico, costruito sulla road map di Bali, nel quale far confluisce parte o tutto il protocollo di Kyoto emendato.
Nonostante il dibattito, queste posizioni sono risultate ancora inconciliabili e la sessione è stata sospesa per consultazioni del Presidente ed aggiornata al giovedì successivo. C’è ancora da attendere, dunque, per sapere se nuove risorse saranno destinate alle strategie di adattamento che interessano in modo particolare il settore a gricolo e, soprattutto, quale sarà il destino degli articoli di interesse agricolo del Protocollo di Kyoto (l’art. 3.3 e l’art. 3.4), particolarmente importanti in funzione delle implicazioni legate alle metodologie di contabilizzazione (e valorizzazione) dell’assorbimento di carbonio ad opera del settore agricolo e forestale.

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