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Danni da selvatici, ecco le soluzioni per eliminarli

Prosegue la discussione in sede parlamentare sulla riforma della legge quadro in materia di caccia. Durante l’audizione tenutasi l’8 luglio presso la XIII Commissione Territorio, Ambiente e Beni ambientali del Senato, Coldiretti ha evidenziato come le norme in vigore in materia di danni da fauna selvatica  abbiano fallito nella concreta attivazione sia, a monte, sul piano della prevenzione che, a valle, su quello del controllo numerico e del risarcimento dei danni, tanto che le imprese agricole sono esasperate dalla mancanza di strumenti adeguati ad arginare la presenza degli ungulati ed anche di alcune specie che non sono originarie del territorio, quali, ad esempio, le nutrie.

Pertanto, rispetto al dibattito sulla riforma della l. n. 157 del 1992, Coldiretti considera di prioritaria importanza la disciplina di tale aspetto, che incide negativamente sulla redditività delle imprese agricole e che appare, tuttavia, ampiamente sottovalutato.

Coldiretti ha evidenziato come, il ddl Orsi abbia il merito di inserire delle misure di controllo straordinarie della fauna selvatica, l’applicazione delle quali subentra nel momento in cui si rileva l’inefficacia delle misure ordinarie contenute nell’art. 19 della l. n. 157/1992, che prevede il ricorso all’abbattimento selettivo. Tuttavia, il ddl dovrebbe integrare tali misure disciplinando, in modo puntuale, anche l’aspetto della prevenzione data la necessità che il fenomeno sia contenuto alle origini.

In sostanza, il ddl dovrebbe prevedere che Regioni e Province autonome, nell’ambito dei piani faunistico venatori di cui all’art. 10, stabiliscano in modo progressivo misure di prevenzione; misure ordinarie di controllo; misure straordinarie di controllo, qualora gli interventi di prevenzione dei danni e  le misure ordinarie di controllo della fauna selvatica si rilevino inefficaci a limitare  i danni.

Il ddl dovrebbe, quindi, prevedere quali sono le misure di prevenzione che le imprese agricole devono adottare (ad esempio, recinzioni elettrificate, trappole e così via), impegnando le amministrazioni regionali ad adottare dei regimi di sostegno finanziario, sul presupposto che il singolo operatore non è tenuto a sopportare le conseguenze economiche derivanti da una cattiva gestione della fauna selvatica sul territorio.

Inoltre, qualora l’impresa agricola eserciti la propria attività o abbia sede all’interno di un’area protetta, il contributo alla realizzazione delle misure di prevenzione deve essere concesso dall’ente gestore dell’area protetta. Il contributo finanziario dovrebbe coprire l’intera spesa sostenuta dall’impresa agricola per l’acquisto dei materiali e la realizzazione delle misure di prevenzione.

D’altra parte, va sottolineato come il ddl Orsi all’art. 9, comma 1, si ponga, giustamente, il problema dell’individuazione della densità ottimale delle singole specie, ma nella formulazione della norma sarebbe più corretto stabilire che Regioni e Province autonome, di concerto con gli enti gestori delle aree protette, attraverso gli strumenti di programmazione e pianificazione, per ciascuna unità territoriale di gestione, individuino per le specie potenzialmente in grado di arrecare maggiori danni all’agricoltura – e, quindi, prioritariamente per gli ungulati – delle densità obiettivo, in modo tale che si regolamenti la presenza sul territorio della fauna selvatica, contemperando le esigenze di natura ecologico-ambientale con quelle economiche.

L’art. 10, infatti, facendo riferimento esclusivamente ai piani faunistico-venatori rischia di lasciar fuori, rispetto al problema delle densità, le aree protette che, non essendo territori in cui è consentita l’attività venatoria, sfuggirebbero ad una pianificazione della presenza delle specie di fauna selvatica. In tal modo si alleggerirebbe anche la pressione che spesso subiscono le aree contigue alle aree protette, che sono, di fatto, delle zone in cui i danni da fauna selvatica non solo non sono normalmente risarciti perché fuori dalla competenza dell’ente gestore dell’area protetta, ma soprattutto perché risultano anche prive di indirizzi di gestione.

Riguardo al cinghiale, da cui dipendono gran parte dei danni da fauna selvatica arrecati all’agricoltura, è stato sottolineato in uno studio ad hoc (Distribuzione, gestione, prelievo venatorio e potenzialità delle popolazioni di ungulati , di  Luca Pedrotti, Eugenio Duprè, Damiano Preatoni, Silvano Toso), che l’attuale mancanza di criteri di gestione venatoria razionali ed omogenei rende difficoltosa l’organizzazione di un controllo programmato della specie. Nei territori maggiormente interessati dalle produzioni agricole il cinghiale crea un forte impatto sulle coltivazioni, per asporto diretto a fini alimentari di numerose essenze e per il danneggiamento dovuto all’attività di scavo.

Tale fenomeno raggiunge spesso dimensioni considerevoli: sino all’80% dei fondi a disposizione delle amministrazioni provinciali per far fronte all’impatto causato dalla fauna selvatica sulle attività antropiche di interesse economico vengono annualmente destinati al risarcimento dei danni causati da tale specie.

Pertanto, sarebbe utile introdurre dei criteri di zonizzazione per cui le Regioni siano tenute ad individuare: aree a prevalente destinazione agricola, in cui non è ammessa la presenza di cinghiali; aree a rilevante compresenza di agricoltura ed ambienti naturali, in cui é tollerata una bassa densità di cinghiali ed, infine, aree a prevalente destinazione naturalistica, caratterizzate dalla presenza di zone boscate, in cui è ammessa una densità elevata di cinghiali. Si tratta in sostanza – come più volte sostenuto anche dall’INFS, oggi, ISPRA nelle Linee guida per la gestione del cinghiale pubblicate di concerto con il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali – di stabilire densità obiettivo in modo da pianificarne la presenza sul territorio.

Inoltre, è importante introdurre il divieto di immissione di nuovi capi, fatta eccezione per le imprese agricole che esercitino attività da allevamento in recinti.
In merito alle misure di controllo faunistico introdotte dal ddl con l’art. 21, si condivide, pertanto, la norma con cui si attribuisce al Prefetto o al Presidente della Regione il potere di emanare, con un’ordinanza contingibile e urgente, le misure straordinarie di controllo numerico.

E’ necessario, però, aggiungere una disposizione ai sensi della quale le specie oggetto degli interventi includano anche le forme domestiche di specie selvatiche nonché le forme inselvatichite di specie domestiche, che per la loro presenza in densità eccessive provocano danni all’equilibrato sviluppo delle specie vegetali ed animali, all’agricoltura, alla rinnovazione delle risorse forestali ed agli assetti idrogeologici ed idrogeologici del territorio. Si ricevono, infatti, sempre più segnalazioni in merito, ad esempio, alla presenza invasiva di piccioni e cani inselvatichiti, provocando gli uni gravi danni alle colture poiché si cibano di sementi e del raccolto stoccato nei silos, gli altri al bestiame senza che gli imprenditori agricoli siano adeguatamente risarciti.

In ogni caso, il disegno di legge dovrebbe prevedere dei criteri di stima e valutazione dei danni introducendo l’obbligo che tale computo sia effettuato sulla base delle quotazioni dei prodotti agricoli vegetali e degli animali, registrate nei Mercuriali delle Camere di Commercio o, in alternativa, delle quotazioni riportate dall’Ismea. Attualmente, infatti, i danni sono spesso sottostimati e si traducono in un indennizzo piuttosto che in un vero e proprio risarcimento a favore dell’imprenditore agricolo.
Qualsiasi danno da fauna selvatica dovrebbe essere comunicato alla Provincia subito dopo essere stato constatato. Alla Provincia compete, quindi, la nomina di un numero sufficiente di esperti incaricati di procedere alla stima, scelti tra agronomi iscritti all’albo professionale.
Inoltre, è stato evidenziato come sia indispensabile che il complesso degli interventi a favore dell’agricoltura debba essere accompagnato da un’adeguata copertura finanziaria proveniente dai fondi costituiti dalle tasse di concessione venatoria senza la quale non sarebbe possibile affrontare in modo efficiente il problema.

Infine, un ultimo aspetto che è stato segnalato riguarda il collegamento, nel contesto della pianificazione territoriale, dei due strumenti consistenti nel piano faunistico venatorio e nel piano di sviluppo rurale. Infatti, le misure relative alla gestione faunistico venatoria dovrebbero essere collegate con quelle previste nell’asse II dei Psr, riguardante il miglioramento dell’ambiente e dello spazio rurale, in quanto le azioni a tutela della biodiversità contribuiscono a promuovere sistemi produttivi virtuosi in cui le buone pratiche agricole favoriscono la tutela dell’avifauna mantenendo o ricostituendo gli habitat più idonei alla sopravvivenza delle specie.

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