il Punto Coldiretti

Effluenti di allevamento e responsabilità, la Corte di Giustizia fa chiarezza

Gli effluenti di allevamento sono rifiuti o sottoprodotti? E chi è responsabile della loro corretta gestione? Con la sentenza 3 ottobre 2013, nella causa C‑113/12, la Corte di Giustizia ha fornito alcuni importanti chiarimenti sulla normativa in materia di rifiuti e, in particolare, sull’inquadramento degli effluenti di allevamento, sulla nozione di produttore e sulle relative responsabilità. I criteri enunciati dalla Corte risultano molto importanti, in quanto applicabili, in via generale, anche ad altre fattispecie in cui è necessario dimostrare  la sussistenza dei requisiti per la qualifica di un residuo come sottoprodotto.

Il primo quesito formulato alla Corte, nell’ambito di un contenzioso relativo ad un allevamento intensivo di suini, era finalizzato a chiarire a quali condizioni il liquame prodotto in uno stabilimento di allevamento intensivo di suini ed immagazzinato in attesa di essere venduto ad imprenditori agricoli per un successivo impiego come fertilizzante possa essere qualificato come sottoprodotto e non un «rifiuto» e, in particolare, quale sia, a questo proposito, il grado di certezza richiesto in merito al previsto riutilizzo del liquame e in che misura l’onere di provare il rispetto delle suddette condizioni possa gravare sul produttore del liquame medesimo.

Con riferimento alle condizioni in presenza delle quali il liquame immagazzinato da un produttore in attesa di cederlo ad imprenditori agricoli perché lo utilizzino come fertilizzante sui loro terreni deve essere qualificato come sottoprodotto invece che come «rifiuto» la Corte ha chiarito che gli effluenti prodotti da uno stabilimento di allevamento intensivo di suini, che non rappresentano la produzione principale perseguita dall’imprenditore e il cui eventuale impiego come fertilizzante deve avvenire in condizioni particolari di prudenza rientrerebbero, in via di principio, nella categoria dei rifiuti.

Tuttavia, è stato precisato che gli effluenti possono sfuggire alla qualifica di rifiuti, se vengono utilizzati come fertilizzanti dei terreni nel contesto di una pratica legale di spargimento su terreni ben identificati e se lo stoccaggio è limitato alle esigenze di queste operazioni, precisando, a tal proposito, che non occorre limitare quest’analisi agli effluenti d’allevamento utilizzati come fertilizzanti sui terreni che appartengono allo stesso stabilimento agricolo che li ha prodotti.

Per quanto attiene alla verifica del carattere sufficientemente certo del riutilizzo del liquame immagazzinato in attesa di essere sparso, la Corte europea ha ricordato, in via preliminare, che il solo fatto che tale riutilizzo sarà in concreto del tutto certo solo dopo l’effettivo compimento delle operazioni di spargimento da parte dei terzi acquirenti interessati non osta alla qualifica dello stesso come sottoprodotto.  Infatti, la destinazione futura di un oggetto o di una sostanza non è di per sé decisiva per quanto riguarda la sua eventuale natura di rifiuto, salvo dover dimostrare che il riutilizzo del liquame presenta, nel caso di specie, un livello di certezza sufficiente affinché, durante il suo immagazzinamento e sino alla effettiva consegna ai terzi interessati, detto liquame possa essere considerato un sottoprodotto di cui l’interessato non cerca di «disfarsi», ma di sfruttare o di commercializzare.

Tale circostanza non inciderebbe in alcun modo sul fatto che il suddetto liquame possa, eventualmente, divenire un rifiuto dopo tale consegna, ove dovesse risultare che i suddetti terzi lo hanno scaricato senza controlli nell’ambiente a condizioni che consentono di considerarlo come tale. In un tal caso, infatti, la Corte ha ricordato che chi si trova, di fatto, in possesso dei prodotti immediatamente prima che essi divengano rifiuti deve essere considerato come colui che ha «prodotto» tali rifiuti ed essere qualificato come «detentore» dei medesimi.

Per verificare se il riutilizzo del liquame mediante spargimento da parte di altri imprenditori agricoli rivesta un carattere sufficientemente certo da giustificare il suo immagazzinamento per un periodo diverso da quello necessario alla sua raccolta ai fini dello smaltimento sarà necessario accertare,  in particolare, che i terreni sui quali dovrà avvenire tale riutilizzo siano immediatamente ben identificati. Tale identificazione è idonea infatti a comprovare che le quantità di liquame che verranno cedute sono, in linea di principio, effettivamente destinate a essere impiegate quale fertilizzante per i terreni degli imprenditori considerati.

Il produttore, ove intenda immagazzinare il liquame per un periodo più lungo rispetto a quello necessario per la sua raccolta per fini di smaltimento, deve quindi disporre di impegni concreti da parte degli operatori a prendere in consegna tale liquame ed a servirsene come fertilizzante su terreni debitamente individuati.

Quanto alla condizione secondo cui lo stoccaggio degli effluenti d’allevamento deve essere limitato alle esigenze delle operazioni di spargimento, la Corte di giustizia ricorda che ciò si spiega, in particolare, in considerazione del fatto che le operazioni di deposito in vista di un riutilizzo di una sostanza possono, tenuto conto della loro durata, rappresentare un onere per il detentore ed essere potenzialmente fonte di quei danni per l’ambiente che la direttiva quadro  mira, specificamente, a limitare.

In generale, è necessario, quindi, garantire che gli impianti di stoccaggio di cui si serve il produttore di liquame siano pensati in modo tale da impedire lo scorrimento e l’infiltrazione nel suolo di tale sostanza e che essi dispongano di una capacità sufficiente per potervi depositare il liquame prodotto in attesa della sua effettiva consegna agli imprenditori agricoli interessati.

L’immagazzinamento vero e proprio del liquame deve altresì essere strettamente limitato alle esigenze delle previste operazioni di spargimento, il che richiede, da una parte, che le quantità di liquame immagazzinato siano contenute in modo da garantire che esso verrà impiegato per intero secondo tali modalità e, dall’altra, che la durata dell’immagazzinamento sia limitata in funzione delle esigenze poste dal carattere stagionale delle operazioni di spargimento, vale a dire, che essa non superi quanto necessario al produttore per essere in grado di adempiere gli impegni contrattuali assunti di fornire il liquame per l’applicazione nella stagione di spargimento in corso o in quella successiva.

Sarà necessario verificare, inoltre, tenendo conto dell’insieme delle circostanze rilevanti, che il riutilizzo dei liquami da parte dei terzi interessati, come previsto dal produttore, sia tale da procurare a quest’ultimo un vantaggio superiore rispetto a quello derivante dal mero fatto di potersi disfare di tale prodotto, posto che tale circostanza rafforza, ove si verifichi, la probabilità di un effettivo reimpiego.

Per quanto attiene all’individuazione del soggetto su cui grava l’onere di provare il rispetto dei criteri che comportano  la classificazione di una sostanza come sottoprodotto e non come «rifiuto» la Corte ha osservato  che la direttiva comunitaria di riferimento non contiene disposizioni specifiche in relazione a tale aspetto e che compete al giudice nazionale applicare le norme nazionali in materia di onere della prova, purchè la dimostrazione non risulti eccessivamente difficile.

La seconda importante questione sottoposta alla Corte di giustizia era finalizzata a chiarire se, nello specifico caso in cui il liquame prodotto e detenuto da un’azienda di allevamento di suini debba essere classificato come «rifiuto»,  il  produttore, che si disfa del suddetto liquame cedendolo ad altri imprenditori perché lo usino come fertilizzante sui propri terreni, sia  personalmente responsabile del rispetto da parte di questi ultimi della normativa in materia di gestione dei rifiuti e dei fertilizzanti. La Corte ha chiarito che il  «detentore» di rifiuti è tenuto a consegnarli ad un raccoglitore privato o pubblico, o ad un’impresa che effettua le operazioni di recupero o smaltimento.

In tale contesto, ove si accerti che gli imprenditori a cui vengono conferiti i rifiuti per il successivo utilizzo sono titolari delle autorizzazioni richieste, la consegna dei rifiuti a tali imprenditori non potrà essere subordinata, nei confronti del produttore, a condizioni volte a renderlo responsabile del rispetto, da parte dei suddetti imprenditori, della normativa  in materia di gestione dei rifiuti e dei fertilizzanti.

infatti  una volta compiuta la consegna dei rifiuti, l’impresa titolare di un’autorizzazione diviene «detentore» dei rifiuti in parola e la normativa di riferimento prevede che compete al «detentore dei rifiuti» provvedere eventualmente al recupero di tali rifiuti conformandosi alle disposizioni in materia.

Inoltre, quando un detentore di rifiuti li consegna a un’impresa titolare di un’autorizzazione che la legittima a procedere al recupero di tali rifiuti, è solo su tale impresa e non sul precedente detentore che grava la responsabilità di compiere le operazioni di recupero nel rispetto dell’insieme delle condizioni cui sono soggette tali operazioni, in forza tanto della normativa applicabile quanto del contenuto dell’autorizzazione in parola.

Registrato presso il Tribunale Civile di Roma, Sezione per la Stampa e l'Informazione al n. 367/2008 del Registro della Stampa. Direttore Responsabile: Paolo Falcioni.
2008 © Copyright Coldiretti - powered by BLUARANCIO S.p.A. | Redazione contenuti

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi