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Gestione delle acque reflue urbane, la Commissione Ue bacchetta l’Italia

La Commissione europea ha deciso di ricorrere contro l’Italia dinnanzi alla Corte di giustizia per il ritardo nell’applicazione della Direttiva del Consiglio 91/271/Ce sul trattamento delle acque reflue urbane.

Secondo quanto previsto dalla normativa dell’Unione europea in materia di trattamento delle acque reflue urbane, gli agglomerati con oltre 10.000 abitanti devono dotarsi di sistemi per la raccolta e il trattamento delle acque reflue.

Si deve garantire che le acque che entrano nei sistemi di raccolta subiscano un trattamento secondario volto a rimuovere le sostanze inquinanti prima che siano scaricate in mare o in acqua dolce. Gli impianti di trattamento devono, inoltre, essere in grado di far fronte alle variazioni stagionali di carico delle acque reflue.

Rispetto a tali prescrizioni, secondo la Commissione, l’Italia non è stata in grado di fornire garanzie sull’adeguata gestione delle acque reflue, provenienti da 143 agglomerati con più di 10.000 abitanti,  prima di essere scaricate in aree sensibili.

Il termine dell’Italia per conformarsi agli obblighi derivanti dalla Direttiva è scaduto nel lontano 1998 e nel maggio 2011 la Commissione ha richiesto informazioni al nostro Paese attraverso un parere motivato, rispetto alle città in tutto il Paese che non risultavano ancora collegate a un idoneo sistema fognario e/o non disponevano di impianti di trattamento secondario o questi ultimi avevano capacità insufficiente.

Non sono bastate neanche le misure adottate successivamente dall’Italia per soddisfare gli obiettivi previsti dalla Direttiva sulla gestione delle acque urbane, in quanto, secondo la Commissione, 14 anni dopo la scadenza del termine iniziale, almeno 50 agglomerati presentano ancora lacune e ulteriori lavori sono necessari affinché i centri urbani non ancora conformi raggiungano gli standard previsti.

E’ il secondo procedimento dinanzi alla Corte nei confronti dell’Italia per il trattamento delle acque reflue urbane. Nel maggio 2010, in un altro caso concernente città più grandi, con oltre 15.000 abitanti che scaricano in aree non sensibili e che avrebbero dovuto conformarsi alla legislazione sul trattamento delle acque reflue urbane entro il 2000, è stato proposto ricorso dinanzi alla Corte di giustizia europea. Inoltre, sono attualmente in corso indagini per valutare la situazione negli agglomerati di dimensioni inferiori, per i quali il termine per conformarsi scadeva nel 2005.

E’ chiaro che il mancato rispetto della normativa comunitaria rispetto alla gestione delle acque urbane fa riflettere sull’urgente necessità di approfondire ed individuare le fonti di pressione di origine urbana presenti sul territorio, che sono causa di inquinamento da nitrati. A riguardo, infatti, le relative responsabilità non possono concentrarsi sul settore zootecnico, addossandogli eccessivi obblighi e limiti allo svolgimento delle attività produttive.

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