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Ilva, la Corte costituzionale non trova l’equilibrio tra salute e impresa

La recentissima sentenza della Corte costituzionale (15 maggio 2013, n. 83) delude le aspettative di quanti credono ancora che la salute viene prima di tutto. Infatti, nel cercare un punto di equilibrio tra diritto all’esercizio dell’attività d’impresa e diritto alla salute, i giudici hanno preferito porre al vertice della classifica il lavoro, senza, tuttavia, assicurare le condizioni che rendono davvero effettivo e sicuro questo diritto. E tra queste condizioni, la salute riveste, evidentemente, un ruolo di primissimo piano.

Lo sanno molto bene gli agricoltori italiani, che ogni giorno si impegnano per garantire uno sviluppo sostenibile delle filiere agricole, ricordandoci che soltanto un ambiente salubre è in grado di offrire efficaci e durature opportunità di crescita non solo economica, ma anche culturale e sociale del Paese e delle persone che ne fanno parte. Occorre prendere ad esempio le iniziative del mondo agricolo e abbandonare modelli di sviluppo inefficienti, incapaci di riconoscere la vita e la dignità quali valori supremi da difendere con misure concrete di prevenzione, contro i rischi derivanti da gravi forme di inquinamento ambientale.
 
L’impianto siderurgico Ilva di Taranto aveva dovuto sospendere la propria attività a causa della protratta emissione di sostanze nocive, ritenute pericolosissime per la salute e per l’ambiente. Pertanto, l’autorità giudiziaria aveva disposto il sequestro degli impianti e di parti dello stabilimento, impedendo, così, la prosecuzione dell’attività illecita.

Tuttavia, nel mese di dicembre del 2012, il governo adotta un decreto legge (n. 207/2012, convertito nella legge n. 231 del 2012) nella prospettiva di dettare misure urgenti a tutela della salute, dell’ambiente e dei livelli occupazionali. In quell’occasione, si prende la decisione di consentire allo stabilimento Ilva di Taranto di proseguire l’attività sospesa, per un periodo non superiore a 36 mesi, perché, dice la legge, si tratta di salvaguardare la produzione e l’occupazione. In particolare, il riavvio dello stabilimento viene giustificato richiamando il ruolo strategico dell’impresa nell’economia nazionale e facendo riferimento al numero di dipendenti occupati (almeno duecento).

Secondo la Corte costituzionale, la legge in commento deve essere valutata positivamente perché terrebbe conto della necessità di sostenere le attività produttive ed i livelli occupazionali in un momento particolare di grandi incertezze economiche e di preoccupazioni sociali diffuse, e perché tutelerebbe comunque il diritto ad un ambiente salubre. La Corte fornisce una soluzione che lascia piuttosto amareggiati, perché, nel bilanciare il diritto al lavoro con il diritto alla salute, definito, quest’ultimo, come “fondamentale” dalla nostra Carta costituzionale (art. 32), ritiene ragionevole e proporzionato attribuire un peso maggiore al lavoro, garantito, tra l’altro, per un tempo limitato, e  degradare la salute a valore non assoluto, come se garantire per altri 36 mesi un’entrata economica a chi lavora in stabilimenti insalubri e nocivi sia più importante della necessità di prevenire attività e comportamenti rischiosi per l’intera collettività.

Il bilanciamento tra interessi così complessi, che coinvolgono tutti i cittadini sotto angolazioni differenti, avrebbe, forse, richiesto un maggiore approfondimento: lavoro e salute costituiscono, infatti, nel contesto attuale, diritti che richiedono una cura particolare, per le numerose difficoltà che l’ambiente, da un lato, ed il sistema produttivo, dall’altro, stanno attraversando. È vero che la crisi di oggi richiede soluzioni occupazionali immediate, dirette a tamponare le criticità economiche  in cui versano un numero sempre maggiore di famiglie; ma è anche vero, tuttavia, che la necessità di adottare misure strategiche efficaci finalizzate a garantire tutela a quel delicato e straordinario involucro che si chiama ambiente, e grazie al quale viviamo e respiriamo, dovrebbe essere sostenuta con maggiore entusiasmo, nella prospettiva di consentire a tutti di godere delle condizioni di salute necessarie a fare del lavoro non un rischio ma un’opportunità.

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