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Le rinnovabili abbassano il prezzo dell’energia elettrica ma è caro bollette

Secondo l’ultimo rapporto di Terna nei primi sei mesi del 2014 nell’ambito del mercato elettrico nazionale la domanda è calata del 3 per cento rispetto allo stesso periodo del 2013. In calo è risultata anche la produzione (- 4 per cento). Tuttavia, le fonti rinnovabili (con oltre 59 TWh) coprono il 38,6 per cento della domanda elettrica e il 44,7 per cento della produzione energetica totale (includendo circa 6-6,5 TWh da biomasse, contabilizzati nel termoelettrico).

Le statistiche per fonte mostrano un aumento della generazione da parte del settore idroelettrico (+11,1 per cento), pari al 51,4 per cento di tutte le rinnovabili, così come quella del fotovoltaico (+8,6 per cento) e del geotermoelettrico (+4,7 per cento). In calo, invece, quella da eolico (-8,1 per cento) e da termoelettrico (-10,1 per cento). In leggero aumento le importazioni (+3,1 per cento) mentre il l saldo estero è positivo (+4,1 per cento).

I dati di Terna, che riguardano solo le rinnovabili elettriche, sono confermati anche dalla relazione annuale del Gme (Gestore dei Mercati Energetici), che però sottolinea anche come i consumi in calo, insieme alla progressiva crescita delle rinnovabili (+21 per cento rispetto al 2012), abbiano portato il prezzo dell’energia all’ingrosso in Italia ai minimi registrati nel 2005. Il Pun (prezzo unico nazionale), ossia il prezzo dell’elettricità in borsa, nell’anno appena concluso ha infatti interrotto la tendenza al rialzo registrata negli ultimi 3 anni, scendendo di molto.

Nel 2013, in media, è stato di 62,99 €/MWh (il 16,6 per cento in meno rispetto al 2012) con una tendenza al calo che si conferma anche nella prima metà del 2014, con un prezzo medio di 52,39 €/MWh nel primo trimestre, mai registrato prima (a giugno è arrivato a poco più di 47 €/MWh). Tuttavia, questo calo dei prezzi all’ingrosso dell’energia elettrica non si sta riflettendo sulla bolletta, visto che la differenza tra il Pun e la voce “componente energia” (Pe) che finisce in bolletta (nella tariffa D2) oggi risulta superiore ai 20 €/MWh.

La colpa di questo “mancato” risparmio per i consumatori, tuttavia, non sembra solo essere degli oneri di sistema (di solito sul banco degli imputati), né degli altri costi necessari a mantenere il sistema elettrico. La componente A3, infatti, con la drastica riduzione degli incentivi al Fotovoltaico, ha praticamente arrestato la sua crescita e i costi di dispacciamento, nonostante siano cresciuti nell’ultimo trimestre, hanno subito un calo netto rispetto all’estate scorsa.

Osservando alcuni dati riferiti alla componente della bolletta D2, infatti, sembrerebbe proprio la voce relativa alla componente energia (Pe) ad essere  tra quelle maggiormente responsabili del disallineamento tra diminuzione del prezzo dell’energia sul mercato (Pun) e costo totale della bolletta elettrica.

La differenza tra Pun e Pe, infatti, è caratterizzata da un costante aumento dal 2009 in poi (l’ultimo aggiornamento delle tariffe registra una Pe in vigore dal 1° luglio a oltre 69 €/MWh, circa 22 euro in più rispetto al Pun medio dell’ultimo mese, sui 47 €/MWh). Ma dove finiscono i circa 20 € a MWh di differenza che i consumatori potrebbero risparmiare in bolletta, soprattutto grazie alle (e non per colpa delle) fonti rinnovabili?

La risposta può essere data analizzando quelle che sono le sostanziali differenze, nelle modalità di determinazione, tra Pun e Pe: il primo, infatti, è una media dei prezzi sul mercato spot del giorno prima (Mgp), mentre la Pe riflette il mix di acquisto effettuato dall’Acquirente Unico (Au), il “grossista pubblico” che compra l’energia per conto dei clienti del mercato tutelato. Come si legge anche nell’ultimo comunicato dell’Autorità per l’energia elettrica (Aeegsi) sull’aggiornamento delle tariffe, "il sensibile calo (-7,1 per cento) della materia prima all’ingrosso – che rappresenta circa il 50 per cento della bolletta – è stato in parte compensato dalle coperture assicurative contro il rischio di rialzo dei prezzi dei contratti di approvvigionamento dell’Acquirente Unico”.

Negli ultimi tempi, infatti, i contratti conclusi dall’Acquirente Unico sui mercati a termine si stanno regolarmente rivelando ‘lunghi’. Ciò vuol dire che, comprando l’energia in grande anticipo (cercandone di prevedere il costo futuro), questa finisce per costare di più. In tutto ciò, chi guadagna è chi vende energia a termine (di solito all’Au), mentre ci rimettono i consumatori. Tra questi risultano danneggiati non solo gli utenti del mercato tutelato, riforniti dall’Au, ma anche quelli del mercato libero. Le offerte del mercato libero, infatti, si adagiano in genere sul benchmark dei prezzi fatti dall’Au, rimanendo solitamente più alte (da dati dell’Autorità – riferiti al 2011-  in media, sul mercato libero i consumatori pagano l’energia il 12,8 per cento più cara che nel regime di maggior tutela).

Ecco che allora, senza scendere troppo in profondità sulle cause tecniche, come minimo si evidenzia una inefficienza del mercato a lungo termine e/o del modo in cui l’Au fa gli acquisti. Questo, infatti, sta compromettendo i benefici potenziali in bolletta, sulla base della riduzione del prezzo dell’energia. Occorre considerare, tuttavia, che l’obiettivo dell’Au non è quello di ottenere il minor prezzo possibile (e dunque attirare clienti), ma, semmai, quello di garantire una fornitura efficiente a chi non è ancora passato al mercato libero.

Osserviamo invece che, se l’Acquirente Unico, per rispondere alle sue funzioni primarie, è costretto ad un “approccio prudente” e non può operare solo nella logica del prezzo più basso possibile, questo non vale per gli operatori del mercato libero, che invece potrebbero farlo, rispondendo alle leggi della libera concorrenza, ma che decidono di non assumersi alcun rischio per cercare di portare in bolletta i risparmi che provengono dal trend di riduzione del prezzo di borsa dell’energia elettrica. Il risultato è che, sul mercato libero, l’energia elettrica si paga in media addirittura di più anche perché le offerte sembrano quasi prendere “a riferimento” il prezzo dell’Au, evidenziando un atteggiamento, da parte degli operatori del mercato libero, che potrebbe definirsi ai limiti del collusivo.

Il risultato è che la strategia dell’Au, basata in gran parte su acquisti a termine per attutire gli effetti in bolletta delle dinamiche del mercato elettrico (per garantire i consumatori da possibili aumenti futuri) finisce per alimentare la tendenza, da parte di altri soggetti, ad intascare i risparmi generati dalle rinnovabili, impedendo che questi si traducano in effettivi vantaggi per i consumatori.

E’ vero che si tratta di meccanismi complessi, ma alla luce di tutto ciò, si ritiene che sia giunto il momento di cominciare ad affrontare la questione, se non altro per evitare, quando si parla di caro-energia, di accanirsi sempre ed esclusivamente sul peso delle rinnovabili sulla componente A3. Il rischio, infatti, è quello di far prevalere una tendenza generalizzata a ridurre sensibilmente, in prospettiva, il sostegno alle rinnovabili sulla base di motivazioni non sempre corrette, rispetto, invece, alla necessità di re-indirizzare gli investimenti in direzione di modelli di produzione energetica più sostenibili per il territorio e per l’ambiente.

Registrato presso il Tribunale Civile di Roma, Sezione per la Stampa e l'Informazione al n. 367/2008 del Registro della Stampa. Direttore Responsabile: Paolo Falcioni.
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