il Punto Coldiretti

Lotta ai cambiamenti climatici, servono misure più incisive

L’Ipcc (il gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico) ha pubblicato un nuovo rapporto sui cambiamenti climatici. Il documento, oltre a tirare le conclusioni rispetto a tre precedenti studi, pubblicati dallo stesso gruppo di esperti nel corso dell’ultimo anno, sintetizza anche gli esiti di una serie di incontri tecnici che hanno avuto luogo recentemente a Copenaghen, presentandosi come uno dei report più “duri” in termini di scenario futuro.

Nel rapporto, infatti,  viene sottolineata la necessità di produrre, entro il 2050, più del 50 per cento dell’energia del pianeta attraverso l’impiego di  fonti a basse emissioni di inquinanti atmosferici, mentre l’uso dei combustibili fossili dovrà essere completamente abbandonato entro il 2100. Secondo l’Ipcc, infatti, questo approccio sarebbe l’unico in grado di limitare a 2°C l’incremento della temperatura media dell’atmosfera terrestre nel corso dei prossimi cento anni: se questo limite non venisse rispettato, infatti, le conseguenze negative dei cambiamenti climatici, sia per l’umanità che per l’intero ecosistema terrestre, assumeranno caratteristiche diffuse ed irreversibili.

Si sottolinea come, specie nel corso dell’ultimo anno, i report dell’Ipcc sull’evoluzione dei cambiamenti climatici e sulle relative conseguenze per il pianeta, siano stati caratterizzati da passaggi chiave, primo tra tutti quello che ha decretato come pressoché certa (al 95 per cento) la responsabilità umana (in termini di combustione di carboni fossili e deforestazione) sul riscaldamento globale, dalla metà del ventesimo secolo ad oggi. Col nuovo report, inoltre, vengono riconfermati anche altri preoccupanti dati: il periodo tra il 1983 e il 2012 è risultato il più caldo degli ultimi 1.400 anni, le concentrazioni di gas serra nell’atmosfera hanno raggiunto i massimi livelli da 800.000 anni a questa parte e la temperatura media della superficie terrestre e degli oceani ha subito una repentina crescita negli ultimi 130 anni (+0,85°C tra il 1880 e il 2012).

I primi effetti del riscaldamento globale sono rilevabili anche nella crescente acidificazione degli oceani, nello scioglimento dei ghiacci artici e nella minore rese dei campi in diverse parti del mondo, ma il guaio è che, sempre secondo l’Ipcc, senza un intervento deciso, lo scenario futuro è quello di un aumento della temperatura media dell’atmosfera fino a 5° rispetto all’epoca pre-industriale entro la fine del secolo (e quindi ben oltre la soglia dei 2°, considerata di “non ritorno”). Nelle sue conclusioni il nuovo report non lascia, quindi,  molti dubbi su quale dovrà essere la direzione da adottare nei prossimi anni, specificando, ad esempio, che entro il 2050 sarà necessario produrre con energie rinnovabili almeno l’80 per cento delle necessità energetiche del pianeta.

L’impegno internazionale sul tema continuerà il prossimo mese a Lima, in Perù, dove andrà in scena l’ultimo appuntamento del negoziato internazionale prima del summit che si terrà a Parigi il prossimo anno, dove dovrebbe essere adottato il tanto atteso nuovo accordo globale in materia di clima. Nel contesto globale, anche l’agricoltura sarà chiamata a fare la sua parte nell’ambito delle strategie di mitigazione climatica.

Più volte ci si è soffermati sul ruolo positivo che il settore agroforestale può giocare in questo senso, sia mediante la produzione di energia rinnovabile, sia attraverso la funzione di “sink” di carbonio, esercitata da suolo e piante, nell’ambito della  cosiddetta categoria Lulucf (Land Use, Land Use Change and Forestry). Misure agronomiche riconosciute utili in questo senso, riguardano essenzialmente la conversione d’uso delle terre agricole in pascolo, la concimazione organica e il compostaggio, l’agricoltura biologica e alcuni metodi di lavorazione del terreno, tra i quali la lavorazione minima (minimum tillage).

Risulta importante, tuttavia, anche la diffusione di buone pratiche agricole in grado di ridurre l’impatto diretto del settore, in termini di emissioni di gas serra. In termini di incidenza sulle emissioni globali, da parte del settore agricolo, come anche riportato nell’ultimo rapporto Ispra, dalla fermentazione enterica degli animali allevati, dalle deiezioni degli stessi animali, dai processi fisico-chimici e biologici che avvengono nei suoli agricoli, dalle risaie e dalla combustione dei residui agricoli si liberano in atmosfera due importanti gas serra: metano (CH4) e protossido di azoto (N2O). Nonostante, sempre secondo l’Ispra, il trend delle emissioni di gas serra provenienti dall’agricoltura è in diminuzione (il dato del 2011 segna una riduzione del 17,7 per cento rispetto a quello del 1990), risulta interessante un analisi contenuta nell’opuscolo dal titolo  “Emissioni di gas serra degli allevamenti italiani. quali scenari?”, recentemente pubblicato dall’Inea ed in cui viene ben sintetizzato il quadro conoscitivo delle fonti di emissioni di gas serra in agricoltura,  descrivendo anche alcune azioni utili, con particolare rifermento al settore agro-zootecnico (che costituisce la filiera di maggiore più impatto, in termini di emissioni di gas serra, soprattutto a causa dell’elevato coefficiente di conversione del gas metano – per lo più proveniente dalla fermentazione enterica tipica dei ruminanti – in CO2 equivalente).

Secondo l’opuscolo Inea, infatti, ridurre le emissioni enteriche (dei ruminanti) è, infatti, possibile intervenendo sia con strategie alimentari, sia attraverso la selezione genetica di animali fisio-logicamente predisposti a produrre meno metano. Per quanto riguarda la dieta, ad esempio, si può incidere positivamente riducendo il contenuto di fibra e aumentando il rapporto concentrati/foraggi e/o utilizzando alcuni particolari alimenti quali grassi, oli essenziali, acidi organici e probiotici. È da tenere presente, inoltre,  che, nell’alimentazione dei ruminanti, l’utilizzo dei foraggi risulta essenziale e per questo è auspicabile un miglioramento della digeribili¬tà della fibra con aumento dell’efficienza metabolica della proteina digerita (il tutto senza dimenticare di considerare i vincoli all’uso di alcuni additivi, così come le quantità minime di foraggi, quando si opera nelle aree produttive regolate da specifici discipli¬nari di produzione, come quella, ad esempio, del formaggio Parmigiano-Reggiano).

Un altro contributo positivo alla riduzione delle emissioni, sempre nell’ambito degli interventi sulla dieta, può venire dalla riduzione dell’apporto proteico della razione alimentare. Il livello proteico della dieta fornita agli animali da reddito, infatti, è proporzio¬nale alla escrezione di composti azotati con le deiezioni, soprattutto nelle urine. Per questo interventi di miglioramento dell’efficienza metabolica della proteina dietetica (riduzione della quantità di proteina ingerita, miglioramen¬to del suo valore biologico, aumento delle sintesi proteiche endogene per i ruminanti) possono avere un effetto di riduzione importante dell’azoto escre¬to.

Questa tipologia di intervento possiede una grande potenzialità di mitigazione della emissione di protossido di azoto (N2O), perché permette di ridurre le quantità di azoto sin dall’inizio della catena emissiva. Per quanto riguarda la corretta gestione delle deiezioni, una riduzione delle emissioni ammoniacali, che sono fonte indiretta del¬le emissioni di protossido di azoto (N2O), è ottenibile dalla rimo¬zione rapida degli effluenti nei ricoveri, dalla copertura degli stoccaggi dei liquami, dall’interramento rapido degli effluenti ad uso agronomico e dall’au¬mento dell’efficienza della concimazione organica.

Anche le fertilizzazioni azotate utilizzando le deiezioni animali, infatti, possono essere otti¬mizzate (ai fini della riduzione delle emissioni)  attraverso la scelta delle epoche di som¬ministrazione; l’uso delle dosi migliori per le colture e il ricorso a tecnologie di precisione nei dosaggi e nei posizionamenti (agricoltura di precisione). Con questi accorgimenti si ottiene un aumento dell’efficienza dell’azoto zootecnico ai fini della concimazione e una riduzione anche importante delle emissioni di ammoniaca (NH3) e protossido di azoto (N2O) e del rilascio dei nitrati nelle acque superficiali e di falda. Altro vantaggio indiretto è rappresentato dal risparmio dei fertilizzanti di sintesi, con azzeramento delle emissioni di CO2 dovute alla loro produzione e distri¬buzione.

In riferimento alla possibilità, da parte del settore agro-zootecnico, di produrre e risparmiare energia, si ricorda anche come la digestione anaerobica degli effluenti per la produzione di biogas costituisca una tecnica ormai ben affermata e ad elevata potenzialità di mitigazione delle emissioni di gas serra degli allevamenti, in quanto, da un lato, riduce le emissioni di metano dalla fase di stoccaggio degli effluenti (soprattutto se anche la vasca del digestato residuale viene dotata di copertura) e, dall’altro, produce energia elettrica da fonte “rinnovabile”, sostituendola a quella di origine fossile (evitandone, così,  la produzione e le relative emissioni di CO2).

A livello generale, inoltre, anche tutti gli interventi di risparmio energetico e di aumento della effi-cienza energetica di macchine ed edifici costituiscono misure in grado di ridurre l’impronta carbonica delle produzioni agricole, anche se, in genere, i consumi energetici non sono la voce che ha maggiore peso sulle emissioni complessive di gas serra del settore. La diffusione di comportamenti virtuosi ai fini della riduzione degli impatti climatici del settore agricolo è ovviamente una priorità anche della Politica Agricola Comune (Pac), visto che, specie in assenza di meccanismi in grado di permettere al settore agro-forestale di compensare le proprie emissioni con i propri assorbimenti, sarebbe impensabile scaricare l’intero costo “economico” dell’adeguamento, tecnico e strutturale, sulle imprese agricole. Stabilendo un opportuno siste¬ma di incentivi, infatti, la Pac si conferma come lo strumento principale attraverso il quale convogliare, a livello nazionale, le politiche di mitigazione e di adatta¬mento comunitarie per il settore agricolo. Il tema “clima” non è certo una novità nella Pac, ciò che cambia, con la nuova programmazione 2014-2020, è la rilevanza sostanziale data alla temati¬ca, sia in termini di obiettivi, che di strumenti messi a disposizione, nel futuro primo pilastro delle Pac, con il greening dei pagamenti diretti, e con la nuova proposta di politica di sviluppo rurale. In particolare, essi istituiscono opportune misure per assistere gli agricol¬tori ad affrontare i rischi derivanti dalle mutate condizioni in cui si trovano ad operare, aiutandoli da una parte ad intraprendere azioni mirate all’adattamen¬to, dall’altra ad incentivare misure volte alla mitigazione.

Il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (Feasr), infatti, prevede uno stanziamento di 10,5 miliardi di euro per l’Italia ed inserisce diverse misure volte ad incentivare gli investimenti destinati al miglioramento delle presta¬zioni e della sostenibilità delle aziende agricole, a prevenire o ripristinare i danni causati da avversità atmosferiche, a sviluppare aree forestali. In particolare, nella programmazione 2014-2020, almeno il 30 per cento del con¬tributo totale a ciascun Psr deve essere speso per determinate misure di ge¬stione delle terre e per la lotta contro i cambiamenti climatici.

La base per garantire il sostegno del Feasr alle zone rurali dell’Ue, sarà data dalle sei priorità tematiche che nei Psr si considerano più strettamente correlate all’azione per il clima, così come delineate dal Regolamento (UE) n. 1305/2013 sul sostegno allo sviluppo rurale. In particolare, nel citato regolamento, nell’ambito delle priorità n. 4 (Preservare, ripristinare e valorizzare gli ecosistemi connessi all’agricoltura e alla silvicoltura) e n. 5 (Incentivare l’uso efficiente delle risorse e il passaggio a un economia a basse emissioni di carbonio e resiliente al clima nel settore agroalimentare e forestale), si individuano gli articoli di particolare rilevanza “climatica”, tra cui il n. 21 (Investimenti nello sviluppo delle aree forestali e nel miglioramento della redditività delle foreste), il n. 22 (Forestazione e imboschimento), il n. 23 (Allestimento di sistemi agroforestali), il n. 25 (Investimenti diretti ad accrescere la resilienza e il pregio ambientale degli ecosistemi forestali), il n. 28 (Pagamenti agro-climatico-ambientali), il n. 29 (Agricoltura biologica), il 30 (Indennità Natura 2000 e indennità connesse alla direttiva quadro sulle acque) ed il 34 (Servizi silvo-climatico-ambientali e salvaguardia delle foreste).

Tutte le sei priorità dello sviluppo rurale, inoltre, devono concorrere alla realizzazione degli obiettivi trasversali, tra cui l’azione per il clima (insieme all’innovazione e all’ambiente).  In particolare, per quanto riguarda l’azione per il clima, sono previsti spe¬cifici pagamenti agro-climatico-ambientali agli agricoltori che si impegnano volontariamente (per almeno 5 anni) a realizzare interventi consistenti in uno o più impegni agro-climatico-ambientali su terreni agricoli determinati dagli Stati membri. Scopo principale dei pagamenti agro-climatico-ambientali, infatti, è: “l’introdu¬zione o il mantenimento di pratiche agricole che contribuiscano a mitigare i cambiamenti climatici o che favoriscano l’adattamento ad essi e che siano compatibili con la tutela e con il miglioramento dell’ambiente, del paesaggio e delle sue caratteristiche, delle risorse naturali, del suolo e della diversità ge¬netica”.

Oltre alle pratiche utili nella mitigazione dei cambiamenti climatici già citate (diminuzione delle emissioni di metano e protossido di azoto dagli alle¬vamenti, risparmio energetico e produzione di energie rinnovabili), vanno menzionate anche quelle, ad esempio, che fanno capo alla cosiddetta “agricoltura conservativa”: l’apporto di carbonio organico sotto forma di residui colturali consente, infatti, di ridurre il tasso di mineralizzazione della sostanza organica e quindi le perdite in ragione della riduzione dell’arieggiamento del terreno dovuto alla non effettuazione dell’aratura. Come già sottolineato, anche la conversione dei terreni da seminativi a prati pascoli o pascoli, insieme allo sviluppo dell’agro-forestazione, rappresentano due importanti opportu¬nità in termini di incremento di sostanza organica attraverso l’apporto di bio¬massa e la riduzione del tasso di mineralizzazione.

A queste si aggiungono le attività rivolte alla conservazione di aree ad elevata biodiversità come siepi, boschetti, alberi in filari, fasce tampone, che favoriscono il sequestro della CO2 atmosferica nel suolo, oltre a mitigare gli effetti degli inquinanti e ridurre i fenomeni erosivi.
Nell’ambito della mitigazione dei cambiamenti climatici e dell’adattamen¬to ad essi, gli Stati membri possono inoltre inserire nei Psr dei sottoprogram¬mi tematici, che rispondano a specifiche esigenze, per i quali le aliquote di sostegno possono essere maggiorate del 10 per cento.

Infine, anche nel caso dell’azione per il clima in agricoltura, sarà molto importante il ruolo dell’innovazione, perché alcune misure di mitigazione dovranno essere necessariamente innovative, ma anche e soprattutto della diffusione dell’innovazione e dell’assistenza tecnica alle imprese agricole, che consentiranno di tradurre sul territorio le innovazioni apportate, ma anche di aiutare nell’adozione di tecniche e nell’indirizzo delle attività, coerentemente col mutato contesto climatico.

Registrato presso il Tribunale Civile di Roma, Sezione per la Stampa e l'Informazione al n. 367/2008 del Registro della Stampa. Direttore Responsabile: Paolo Falcioni.
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