il Punto Coldiretti

Moria delle api e neonicotinoidi, serve un approccio scientifico

Nell’affrontare il problema della moria delle api, oggetto di ampio dibattito, si sta perdendo l’approccio scientifico che ha individuato in una pluralità di fattori la causa del fenomeno e si sta  concentrando l’attenzione esclusivamente sui neonicotinoidi e sulla sostanza attiva fipronil, imputati secondo la Commissione Europea, orientamento condiviso senza margini di dubbio  dalle amministrazioni italiane, di essere l’unica vera causa della perdita degli insetti impollinatori.

Si è completamente perso, quindi, l’approccio multifattoriale al problema volto a prestare la medesima attenzione a tutte le possibili cause individuate dal mondo scientifico quali il cambiamento climatico, la diffusione di virus come il nosema, l’assenza di nuovi farmaci per la varroa la mancanza di pratiche corrette da parte degli apicoltori nella gestione igienico sanitaria degli alveari.

Una voce fuori dal coro viene dalla cattedra di Chimica agraria della sede piacentina dell’Università Cattolica del Sacro Cuore che ha evidenziato come “per adesso di moria delle api non si può parlare, perché non è dimostrata scientificamente. Esistono periodiche variazioni delle popolazioni delle api in alcune zone italiane ed europee, che non vanno imputate solo ai fitofarmaci, ma ad una serie di fattori”.

Secondo l’università di Piacenza, oltre ai neonicotinoidi, divenuti ”capro espiatorio”, tra le cause che possono incidere sul numero delle api ci sono ”variazioni delle condizioni climatiche, il livello di foraggiamento sia naturale sia artificiale che deve essere adeguato al superamento di periodi prolungati di freddo o di caldo, infezioni da parassiti per cui non ci sono farmaci veterinari, riduzione degli habitat, incidenti da scorretto uso dei fitofarmaci come riversamenti o trattamenti durante la fioritura, e l’incapacità professionale, perché la maggior parte degli apicoltori italiani ed europei non sono professionisti, ma hobbisti”.

Stando all’Ateneo emiliano, per tale ragione “il divieto europeo di usare per due anni alcuni fitofarmaci, i neonicotinoidi, se è vera la causa multifattoriale non porterà alcun reale beneficio per il benessere delle api” e al contempo sulla base di uno studio costerà all’Europa circa 7 miliardi di euro tra perdite di posti di lavoro e costi di produzione, mettendo in difficoltà gli agricoltori”, in particolare i maiscoltori, “ incidendo pesantemente sui prezzi finali dei prodotti agricoli imposti ai consumatori”.

Del resto, Coldiretti, in occasione del divieto d’impiego dei neonicotinoidi  imposto dall’Ue con il reg. CE 485/2013 ha evidenziato come in nome di un uso opinabile del  principio di precauzione, la Commissione Europea abbia adottato un divieto generalizzato dell’uso di tali prodotti che va ben oltre le conclusioni scientifiche alle quali è giunta l’Efsa con il rapporto pubblicato quest’anno, dimostrando così di voler privilegiare un approccio politico  che trova riscontra solo in parte nei dati scientifici, senza valutare quali siano le conseguenze economiche di tale scelta.

Il fatto è che anche in Italia si è seguito il medesimo orientamento: il DM 25 giugno 2013 (v. in Internet: http://www.ambienteterritorio.coldiretti.it/tematiche/Ogm/Documents/divieti%20neonic.pdf) ha, ad esempio, vietato un neonicotinoide a base di imidacloprid (nome commerciale del formulato Sombrero, prodotto da Makhtheshim) senza che questo abbia le caratteristiche per ricadere nel divieto stabilito dal reg.CE 485/2013. Si tratta, infatti, di un insetticida in forma liquida, applicato alle sementi di mais al momento della semina, che vengono immediatamente interrate.

L’applicazione è fatta tramite speciali attrezzature e può essere effettuata solo da operatori professionali. Tale metodologia di impiego esclude categoricamente la possibilità che ci sia rilascio di polveri nell’aria e contaminazione delle api.  Nel caso di specie, il neonicotinoide non è un conciante e non viene impiegato per trattamenti fogliari, quindi, non ricade in alcun modo nel campo di applicazione del reg. CE 485/2013. Ciò nonostante le Amministrazioni competenti non hanno operato alcuna distinzione.

Identica sorte è toccata, mesi fa, ad un altro neonicotinoide, in forma granulare  a  base di chlotianidin (nome commerciale Santana, prodotto dalla Sumitomo) quando il rapporto Efsa dichiara esplicitamente che non ci sono dati scientifici che dimostrino che  tale formulato sia letale per le api (v. in Internet: http://www.efsa.europa.eu/it/efsajournal/doc/3066.pdf).

E’ interessante evidenziare che, in realtà, la conclusione alla quale è giunta l’università di Piacenza è condivisa anche da una parte degli apicoltori, la cui voce minoritaria è stata soffocata dal prevalente approccio emotivo volto a criminalizzare tali prodotti che vengono ormai classificati con l’appellativo “pesticidi killer”, una terminologia davvero poco scientifica e molto faziosa. Tali apicoltori invocano, ad esempio, la disponibilità sul mercato di nuovi farmaci per la lotta alla varroa che al momento costituisce la vera piaga degli alveari italiani, ma questo problema ovviamente non fa notizia e non è degno di attenzione da parte delle Amministrazioni competenti..

A fronte di questo contesto cosa sarebbe opportuno fare? Secondo Coldiretti è urgente ricondurre la valutazione dei neonicotinoidi e del fipronil a criteri strettamente scientifici, attenendosi scrupolosamente alle indicazioni emerse dal rapporto Efsa, investire ulteriormente nel progetto Apenet per affinare le tecniche di prevenzione nell’uso dei neonicotinoidi in modo che si possa garantire un uso sicuro di tali prodotti. In tal modo si può  rispondere con scelte equilibrate, sia  alle esigenze degli apicoltori che a quelle dei maiscoltori che quest’anno non è chiaro con quali strumento di difesa fitosanitaria riusciranno a contrastare la presenza della diabrotica in campo. Parimenti occorre che i Ministeri competenti prestino adeguata attenzione anche agli altri fattori che provocano la moria delle api attivandosi con misure adeguate.

Nel contesto della politica agricola italiana, se un da un lato, occorre tutelare le api per ragioni ambientali e per lo sviluppo che esse garantiscono all’agricoltura tramite l’attività di impollinazione, dall’altro lato, si deve tener presente che una riduzione della produzione di mais per mancanza di strategie efficaci di difesa fitosanitara di tale coltura, significa mettere in crisi la zootecnia italiana ed aprire le porte all’importazione di mais dall’estero che come è noto è ad alto rischio di contaminazione da Ogm.

Un approccio, quindi, solo in chiave ambientalista del problema della moria delle api o comunque legato ad individuare soluzioni dettate dall’emotività e dalla ricerca del consenso,  invece, che basate su valutazioni scientifiche ed economiche delle conseguenze relative ad un bando assoluto dei neonicotinoidi rischia di avere conseguenze molto importanti sulla filiera agricola italiana, in termini anche di svantaggio  competitivo delle nostre produzioni rispetto a quelle di altri paesi dove si segue su tale problematica un orientamento meno dettato dall’emotività e più orientato a tener conto dei riscontri scientifici e delle conseguenze economiche di alcune scelte.

Infine, viene da chiedersi: ma quanti di costoro che invocano a gran voce un divieto assoluto ed indeterminato dell’uso dei  neonicotinoidi hanno letto i quattro report pubblicati dall’Efsa in Internet  con le relative conclusioni, prendendo atto così dell’assoluta carenza di dati per gli usi diversi dalla concia ?

In sostanza,  il problema di trovare delle soluzioni al fenomeno della moria delle api non può essere risolto con scelte dirette a creare consenso in un’opinione pubblica spesso mal  informata,  ma richiede un’attentissima analisi di tutte le conseguenze, se si intende seguire una politica seria a favore dell’agricoltura italiana senza creare danni alle imprese in un momento in cui la congiuntura economica non consente errori di valutazione.

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