il Punto Coldiretti

Per un nuovo utilizzo del patrimonio fondiario agricolo e forestale della Chiesa

L’obiettivo di questa mia riflessione è quello di offrire elementi di consapevolezza ed esempi di soluzioni possibili, che possono stimolare la conoscenza delle opportunità che i terreni amministrati dalle Diocesi possono avere per creare lavoro, reddito e solidarietà.

Nella Caritas in Veritate e nella Laudato Sì, troviamo un quadro illuminante della questione sociale, ambientale e umana, intrinsecamente legate l’una all’altra in una visione integrale. Viviamo in un mondo sempre più interdipendente e per questo non bastano espedienti ma servono soluzioni che portino alla condivisione delle risorse della terra, e a rafforzare la coesione sociale. Se le vicende umane e quelle sociali sono intrecciate occorre uno sguardo integrale che individui soluzioni integrali, prendendo le distanze da una visione solo utilitaristica della terra, perché la terra non resti priva di giustizia e di solidarietà.

Coltivare e custodire la terra è abitare tutte le relazioni, perché la terra ritorni ad essere luogo di incontro e di accoglienza. Coltivare e custodire la terra è valorizzare il patrimonio dei nostri territori, dei nostri borghi e dei nostri paesi per trasformare le loro risorse in progetti socio economici, generativi di futuro per le nuove generazioni. Ecco perché il cuore dell’ecologia integrale è il bene comune (141), per confermare che una nuova relazione con la terra è possibile. Il bene comune però (LS 137) non deve rimanere un valore astratto o una semplice cornice, ma un indirizzo concreto del nostro intraprendere e amministrare.

1. La terra.
E’ un’eredità che abbiamo ricevuto, è spazio donato. Ci sono voluti secoli perché l’uomo prendesse coscienza di questo dono da condividere. Questo indirizzo a utilità sociale è complesso e chiede alla Chiesa una nuova evangelizzazione con riferimento al settore agricolo, nel solco di quel Cristianesimo sociale che ha scritto una grande storia a servizio del Paese e dell’agricoltura italiana.

La terra è legata all’agricoltura e l’agricoltura promuove un’attività lavorativa che produce cibo, un’opportunità straordinaria, con un profilo non solo economico, ma anche culturale ed etico. L’impresa agricola oggi dà impulso a un’agricoltura sussidiaria e multifunzionale, capace di rigenerare tessuti socio economici e culturali dei nostri territori.

Si trova nelle direttrici indicate dalla dottrina sociale della Chiesa il modello di sviluppo che parte dalla terra: il prendersi cura delle pianure, delle colline, delle montagne, della vegetazione, del mantenimento della loro fertilità, della difesa del territorio, della promozione della qualità e della distintività del cibo come della lotta allo spreco. Non sono valori di nicchia, ma nuovi soggetti etici, per servire il bene comune.

Sulla terra “ci sono troppi interessi particolari e molto facilmente l’interesse economico arriva a prevalere sul bene comune” (LS, 54). Papa Francesco ci indica l’asse “lavoro, impresa ed economia” per un nuovo coinvolgimento e per una nuova progettualità. “L’attività imprenditoriale, è una nobile vocazione, orientata a produrre ricchezza, a promuovere la regione in cui colloca le sue attività, a creare posti di lavoro che è parte imprescindibile del suo servizio al bene comune” (LS, 129).
Lavoro, impresa ed economia, una direzione su cui possiamo muoverci, per dare il nostro contributo, e per scegliere l’orizzonte, la progettualità, le dinamiche delle opportunità legate al bene comune.

Papa Benedetto XVI ci fa un richiamo al quadro complessivo della responsabilità sociale, ricordando che il quadro dello sviluppo odierno è policentrico” (CIV 40). “Le attuali dinamiche economiche richiedono profondi cambiamenti anche nel modo di intendere l’impresa”, aventi scopi di utilità sociale. Una responsabilità sociale che non esclude il profitto, ma lo considera strumento efficace per realizzare finalità umane e sociali.

2. I terreni
C’è un rapporto stretto tra gestione delle risorse economiche e lo sviluppo umano integrale. Le ottimistiche separazioni fra economia ed etica, fiorite negli anni del boom economico, quando l’aumento del benessere e della ricchezza nascondeva ogni altra esigenza, oggi sono riduttive e paralizzanti.

Una Chiesa, come quella italiana, che ha celebrato una Settimana Sociale sul tema, “Il lavoro che vogliamo. Libero, creativo, partecipativo e solidale”, è ben consapevole della necessità di mettere a frutto le indicazioni delle encicliche sociali, valorizzando e approfondendo le risposte che in parte sono già sorte dal territorio, dalle comunità più virtuose. In questa cornice sono lodevoli e promettenti, le iniziative legate al Progetto Policoro, e a quelle di agricoltura sociale o di sostegno all’occupazione giovanile.

Questa nuova attenzione della Chiesa ci permette di guardare con fiducia il futuro attraverso il lavoro agricolo che in questi anni raccoglie l’adesione di molti giovani. Il lavoro dei campi è libero perché pieno di sacrificio e di passione; creativo perché ricco di ingegno e di coraggio; partecipativo perché coerente con la sua funzione principale che è quella di produrre cibo buono e sicuro; solidale perché strumento aperto a una visione sociale ed etica.

Anche gli Istituti del Sostentamento del Clero e le Congregazioni Religiose, nelle gestione delle loro proprietà terriere e forestali, potrebbero individuare percorsi virtuosi che generino valori rurali, sociali, culturali, occupazionali. Non vogliamo che la Chiesa, nell’amministrazione del suo patrimonio terriero, che ha la sua giustificazione e trova il suo limite in relazione all’adempimento dei fini pastorali che le sono propri (sostentamento del culto, del clero, delle opere di misericordia corporale e spirituale), rimanga nella vecchia concezione padronale che considera le proprietà come strumento esclusivo di una rendita da massimizzare.
Perché non valorizzare porzioni il patrimonio fondiario forestale, di proprietà delle chiese locali e congregazioni, per una gestione produttiva delle aree boscate sulla filiera del legno.

Si tratta di cominciare, specialmente nelle aree montane che si stanno spopolando, con i terreni dormienti o abbandonati, tenendo conto dell’avvicinarsi dei giovani alla terra e della numerosa presenza di migranti. Una triangolatura di successo: montagna, giovani e sviluppo, uno spazio vitale unico che fa crescere la cultura della cura e volano per uno sviluppo integrale del territorio, denso di responsabilità, di relazionalità, un modo buono di “abitare” la terra.

3. Le buone pratiche.
La terra è davanti a noi come un laboratorio sempre aperto. L’agricoltura può diventare occasione per percorsi di rigenerazione in cui sostenibilità, legalità e prossimità sono compatibili con il reddito. Le buone pratiche che mettono la faccia sui valori distintivi della dottrina sociale della Chiesa, danno una risposta strategica ad un’economia inclusiva e solidale.

La motivazione sta nella volontà di liberare le potenzialità etiche, sociali ed economiche delle campagne perché sono un patrimonio umano, storico, ambientale e socio-culturale straordinario, che coinvolge numerosi giovani che stanno dando vita a forme inedite di un’agricoltura di prossimità, multi ideale e multi professionale, nell’alveo della sussidiarietà.

Le proprietà terriere delle nostre chiese locali, possono essere strumento di processi creativi e fecondi a partire dalle iniziative a favore dell’ambiente, delle risorse primarie del territorio e della sua grande biodiversità; possono diventare il terreno di una sperimentazione che fa vivere i valori della DSC nella vita delle loro comunità.

Attraverso questi processi la Chiesa interpreta nel migliore dei modi lo spirito con cui quelle terre le furono donate, e può metterle in gioco come servizio, restituendo Bene al Bene ricevuto. Come ieri i monaci reinventarono nuove modalità di coltivare la terra, così la Chiesa oggi con i suoi terreni può contribuire a generare una nuova imprenditoria agricola, inclusiva e solidale, dove c’è posto per i giovani, con un ruolo da protagonisti per la loro sensibilità socio ambientale, integrando la dimensione economica e sociale, e lanciando forme di impresa con progetti diversificati e multifunzionali.

A disposizione abbiamo la legge si di orientamento del 2001 che ha promosso l’agricoltura multifunzionale con opportunità di diversificazione dell’attività agricola. Si va dalle prime esperienze legate all’agricoltura biologica alla trasformazione in azienda dei prodotti agricoli; dalla valorizzazione dei mercati locali, alla vendita diretta in azienda, aprendo una nuova relazione con i consumatori, che raggiunge le sue forme più mature con il “consumo informato e responsabile”.

Le esperienze che incidono più direttamente sulla dimensione socio-culturale della multifunzionalità, sono le fattorie didattiche, gli agri-asili, le sinergie aperte con il terzo settore da parte dell’agricoltura sociale. Si moltiplicano nelle campagne i progetti imprenditoriali dedicati esplicitamente ai soggetti con problemi di dipendenza (droga, alcool), all’agricoltura terapeutica (ortoterapia, ippoterapia) con disabili fisici e psichici di diversa gravità, ma anche al reinserimento lavorativo di persone emarginate, minori a rischio, e disoccupati di lunga durata.

Le terre amministrate dagli Istituti di Sostentamento del Clero o dalle Congregazioni Religiose, se in sinergia con le comunità che vivono nei territori, possono avvicinarsi a quell’economia “samaritana” richiamata da Papa Francesco. Un’opportunità tanto più preziosa, se si considera che sta per partire la nuova programmazione del Piano di Sviluppo Rurale con misure apposite per le nuove generazioni che investono in campagna.

Abbiamo il dovere di far conoscere ciò che sta avvenendo nel mondo operoso dell’agricoltura italiana. Il comparto agricolo oggi è innovativo, multifunzionale e multiprofessionale e sta mostrando un’enorme vitalità, “ma non è ancora molto conosciuto dal mondo ecclesiale” (Messaggio del Card. Bagnasco all’assemblea dei pensionati di Coldiretti). Questa comprensione permetterebbe agli amministratori dei terreni integrare dimensioni che tradizionalmente sono escluse da una rigida logica della sola rendita.

Concludendo.
1. Un’amministrazione fondata sul solo profitto non regge più. 2. Va riscritta la gestione dei terreni della Chiesa, tenendo conto che la stagione ecclesiale che stiamo vivendo ci incoraggia a un cambiamento, con realismo e creatività.
3. Le proprietà non esistono per se stesse, ma piuttosto per servire il bene comune.
4. Sarebbero da premiare gli Istituti di Sostentamento del Clero che hanno assunto il ruolo di “animatori territoriali”, e che hanno inserito tematiche e iniziative sociali all’interno della propria strategia, con l’inclusione di persone svantaggiate, con l’anti corruzione, con il rispetto dell’ambiente.

Al di là delle argomentazioni generali, su cui occorrerà continuare a riflettere, si può procedere alla costituzione di un gruppo di lavoro che recepisca quelle iniziative che sono nel solco dei più alti valori etici raccomandati dalle encicliche sociali, per governare i cambiamenti con realismo e creatività.

Non dobbiamo aver paura dei cambiamenti perché siamo figli di una grande storia, che ha saputo già coniugare innovazione e tradizione, conoscendo le strade del coraggio e delle responsabilità attiva.

Don Paolo Bonetti

Registrato presso il Tribunale Civile di Roma, Sezione per la Stampa e l'Informazione al n. 367/2008 del Registro della Stampa. Direttore Responsabile: Paolo Falcioni.
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